Un dialogo israelo-palestinese a Ventotene.

Quest’anno durante il seminario di Ventotene nel mezzo di una “tempesta perfetta”, nella terrazza di un bar tra i vicoli della piccola isola, la JEF e la GFE hanno promosso un incontro tra due attivisti per la pace: Ahmad L., palestinese di Ramallah, e Dvir, israeliano-olandese residente in Germania.

È interessante rintracciare una “genealogia” del federalismo: non una catena cronologica di teorie e pratiche ma un sentire comune che, in alcuni momenti della storia e in alcune parti del mondo, è emerso come risposta a conflitti, crisi e a un passato e a un presente dolorosi. La genealogia ricostruisce le intermittenze del passato senza ordinarle in modo lineare, conseguente e definitivo. Per questo è una lente perfetta per ricostruire la coesistenza del mondo di orizzonti condivisi di pensiero e d'azione.

Raccontaci qualcosa di te. Come sei diventato federalista?

Dvir: Sono Dvir, ho 27 anni, sono israeliano-olandese, avvocato, dottorando all'Università Goethe di Francoforte, attivista per la pace, federalista, caporedattore del TNF (giornale online della JEF Europe) 

Sono nato vicino a Tel Aviv, in una famiglia prevalentemente di origine europea. Fin dall'età di 13 anni ho iniziato a partecipare a manifestazioni per la pace e contro l'occupazione in Israele, lavorando con partiti politici e iniziative locali per la pace  per facilitare il dialogo israelo-palestinese come unica via per la pace.

Penso che, concettualmente, io sia sempre stato federalista. Il libero scambio e le frontiere aperte mi hanno sempre attratto fin da giovane. Quando visitavo l'Europa da bambino con i miei genitori, ero affascinato dalle frontiere aperte europee, mentre nel Medio Oriente potevano volerci 10 ore per attraversare una frontiera. 

Solo dopo essermi trasferito in Belgio per lavoro, cinque anni fa, ho compreso appieno cosa significa essere federalista. Vivendo a Bruxelles, mi sono subito unito alla JEF Belgio. 

Ahmad L.: Credevo nel boicottaggio dei prodotti alimentari israeliani in Cisgiordania anche prima che il BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni ndr) diventasse popolare. In seguito, ho iniziato a discutere con persone israeliane dell'occupazione, scoprendo che alcune di loro desiderano la pace e una soluzione giusta. Nello stesso periodo, ho avuto la possibilità di visitare per la prima volta la spiaggia di Jaffa incontrando palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana, rendendomi conto quindi che una convivenza è possibile. Più avanti nel mio percorso di discussioni approfondite e riflessioni politiche, è diventato evidente che gli ebrei israeliani non accetteranno mai collettivamente un'unica nazione a causa delle paure di squilibri demografici futuri. Anche noi palestinesi abbiamo bisogno di uno stato, di autodeterminazione e di liberazione, ma non possiamo permetterci una separazione totale dal resto del paese in caso di creazione di uno stato palestinese. Di conseguenza, mi sono imbattuto in federalisti palestinesi e israeliani che hanno una visione diversa, ma più pratica, per una soluzione duratura rispetto allo stato unico.

Perché il federalismo è rilevante nella situazione attuale in Palestina e Israele?

Dvir: Tra il 1967 e il 1993, nonostante l'impatto terribile dell'occupazione israeliana, la comunicazione tra israeliani e palestinesi era comune. 

Gli Accordi di Oslo del 1993, pur con buone intenzioni, cambiarono tutto questo. Anziché impegnarsi in un dialogo profondo per risolvere questioni controverse e narrazioni conflittuali, gli accordi hanno istituito una separazione permanente tra israeliani e palestinesi.

La vera pace non è separazione. Le persone sono troppo intrecciate per essere separate e divise in categorie. La tradizionale soluzione dei due stati dovrebbe essere modificata in un quadro di frontiere aperte, sicurezza per tutti e pari diritti politici, ovvero soluzioni confederative o federative. 

Ahmad L.: È rilevante perché il federalismo è l'unica garanzia per una pace duratura. Abbiamo disperatamente bisogno di una soluzione e di una struttura che consideri le aspirazioni nazionali di entrambe le nazioni, palestinesi e israeliani. Gerusalemme è sacra per entrambi e nessuno dei due la abbandonerà, i rifugiati hanno bisogno di una soluzione praticabile, e, soprattutto, siamo sul punto di creare uno stato palestinese. Uno Stato del genere può prosperare al meglio solo in una confederazione/federazione con Israele e altri paesi vicini, se lo desiderano.

Come possono contribuire le organizzazioni della società civile (OSC) in Europa?

Dvir: Possono scegliere di impegnarsi con voci moderate e sensate da entrambe le parti. La sessione nel Seminario Internazionale di Ventotene, organizzata dalla GFE e dalla JEF, è stata per me fonte di ispirazione; sono stato onorato di discutere del conflitto accanto al mio amico e attivista palestinese Ahmad L..

Possono anche dimostrare il loro impegno per i diritti umani sostenendo posizioni di principio, ad esempio chiedendo la fine della guerra e dell'occupazione illegale israeliana in Cisgiordania, condannando anche l'uccisione di civili il 7 ottobre.

Le organizzazioni federaliste hanno un ruolo speciale perché il conflitto dimostra la nostra tesi: senza una governance regionale e internazionale efficace, non ci sarà sicurezza e i conflitti violenti come le ingiustizie continueranno a proliferare.

Ahmad L.: Europa e Palestina condividono molta storia e influenza, e l'Europa è il miglior esempio di potenza o unione federale a cui possiamo guardare. L'UE è anche uno degli attori più influenti verso l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese ndr), oltre che il più grande sostenitore e donatore per il nostro popolo e governo sia in Cisgiordania che Gaza. Le OSC e le realtà dal basso in Europa, in particolare, hanno molto da offrire ai federalisti palestinesi: abbiamo estremamente bisogno di un impegno, culturale e politico, europeo per motivarci a continuare, abbiamo bisogno di finanziamenti e di cooperazione per workshop, eventi e seminari al fine di ispirarci reciprocamente. I federalisti palestinesi, per lo più attivisti per la pace che lottano in un ambiente così difficile, ispirerebbero anche gli europei. Le organizzazioni europee della società civile non sarebbero in grado solo di aiutare i federalisti palestinesi, ma anche gli israeliani (federalisti e attivisti per la pace) che apprezzerebbero maggior cooperazione e incoraggiamento dai loro omologhi europei per allineare il movimento con l'equivalente palestinese. 

L’ultima domanda ha costituito la base del lavoro che la JEF ha portato avanti per avere una posizione su quanto stesse accadendo in Medio Oriente. La prima necessità è stata quella di avviare un confronto tramite una serie di incontri aperti con l’obiettivo di arrivare ad una risoluzione politica che riassumesse una posizione unitaria. Nonostante il militante federalista sia abituato per sua natura a questo tipo di esercizio, ci si è da subito resi conto di quanto la sfida fosse difficile. 

Per mesi l’opinione pubblica europea e mondiale si è polarizzata, rendendo il dibattito sempre più ideologico. Intanto le tragiche conseguenze del conflitto lasciavano i loro strascichi nel mondo, con un bilancio agghiacciante di vittime e crescenti attacchi antisemiti e islamofobi. Alla luce di questa consapevolezza, la JEF ha impostato il suo lavoro prestando particolare attenzione al metodo, con una domanda centrale a guidare il processo: qual è e quale deve essere il ruolo di un movimento come il nostro in questo conflitto? 

I numerosi incontri di formazione e dibattito hanno innanzitutto affrontato la sfida di una necessaria decolonizzazione del pensiero. Per questo esperti e attivisti locali, inclusi Dvir e Ahmad L., hanno partecipato ad ogni fase del percorso. Grazie a questo sforzo, ad aprile 2024 il Comitato Federale della JEF ha approvato la risoluzione “JEF Europe’s Position on the Future of the Israeli–Palestinian Peace Process”. 

La risoluzione:

  • Chiede il cessate il fuoco immediato, il rilascio di tutti gli ostaggi e il ripristino degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.
  • Sostiene il rispetto delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e condanna le violazioni del diritto umanitario internazionale.
  • Condanna fermamente l'attuale offensiva militare israeliana a Gaza, criticando l'alto numero di vittime civili.
  • Condanna fermamente gli attacchi del 7 ottobre condotti da Hamas, che hanno portato alla morte di 1.200 persone e al sequestro di oltre 100 cittadini israeliani. Sottolinea l'uso da parte di Hamas di civili come scudi umani e condanna l’organizzazione per la violazione del diritto internazionale.
  • Supporta iniziative che rispettino il diritto all'esistenza di entrambe le nazioni, incluso un approccio innovativo come una confederazione binazionale o federazione israelo-palestinese.
  • Impegna la JEF a combattere la polarizzazione in atto nell'opinione pubblica europea e a creare condizioni per un dialogo tra israeliani e palestinesi che sappia includere la società civile di entrambe le parti.

L’esperienza di Ventotene e l’incontro con le vite di Dvir e Ahmad L. rappresentano quelle occasioni che fanno riflettere sulla forza delle idee come motore della storia: due attivisti per la pace di un paese sconvolto dalla guerra hanno fornito la stessa risposta a cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi arrivarono nel ‘41 davanti a un’Europa in fiamme. Questa continuità di pensiero, anche se in epoche e contesti geografici così diversi, rappresenta forse la forza più grande del messaggio federalista. Dvir e Ahmad L. ci insegnano che anche nei tempi più bui, in cui la violenza del nazionalismo sembra prevalere, la costruzione della pace resta il nostro obiettivo per liberare l’umanità dall’oppressione della guerra.

(Versione estesa dell’intervista disponibile su Eurobull.it)

 

  

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