Dopo oltre 50 giorni di attesa e incertezze, la nomina del Primo Ministro francese è stata accolta con favore a livello europeo ed internazionale, dove Michel Barnier gode di grande prestigio grazie ai ruoli di alto profilo ricoperti nella sua lunga carriera politica: Ministro con delega agli Affari europei, due volte Commissario europeo, candidato alle primarie del PPE contro Jean-Claude Juncker per diventare Presidente della Commissione, negoziatore della Brexit per l'Unione europea.

In Francia invece, la reazione è stata di grande sorpresa e preoccupazione per la fragilità del nuovo governo, che – contrariamente alla tradizione politica transalpina – non può contare su una “maggioranza presidenziale” stabile.

L’esito delle elezioni politiche convocate a seguito dello scioglimento dell’Assemblée Nationale, deciso da Emmanuel Macron la sera stessa in cui sono stati resi noti i risultati dello scrutinio europeo, vedeva in testa il Nouveau Front Populaire (la coalizione dei partiti di sinistra). Tuttavia, col passare dei giorni, l’Eliseo ha lasciato intendere non solo che l’incarico di Primo Ministro non sarebbe stato affidato alla candidata designata dal Nouveau Front Populaire, ma che il nuovo governo avrebbe contato sull’appoggio della destra e quindi su un “patto di non aggressione” con l’estrema destra del Rassemblement National. Quest’ultimo, benché di fatto non sostenga il governo, può permettersi di giocare il ruolo di kingmaker, minacciando il governo con una mozione di censura.

Nell’immediato, la tenuta dell’esecutivo deve confrontarsi principalmente su due questioni: l’adozione della legge di bilancio 2025 e la legge in materia di immigrazione.

In un Paese già ammonito dalla Commissione europea per via del deficit pubblico in crescita, Michel Barnier con la nuova legge di bilancio intende riportare il deficit – che ha raggiunto il 6,1% del PIL nel 2023 – al 5% a partire dal 2025, con l'obiettivo di scendere sotto il 3% entro il 2029, in linea con gli obblighi europei. Il Consiglio superiore delle finanze pubbliche francese, presieduto da un altro ex commissario europeo, Pierre Moscovici, ha però espresso delle riserve sulle previsioni economiche del governo, e sulla capacità dell'esecutivo di raggiungere questi obiettivi.

Su immigrazione e asilo, l’esecutivo è atteso in modo particolare dal partito di Marine Le Pen, che aveva già minacciato di censurare il governo in assenza di una revisione delle norme vigenti. Così, il 13 ottobre il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha annunciato i contorni della nuova legge che sarà presentata ad inizio 2025 e in cui si ritroverebbero varie proposte care al Rassemblement National. Tra queste, una stretta sui diritti sociali degli immigrati per rendere il Paese “meno attrattivo”, ad esempio estendendo il periodo di residenza richiesto agli “stranieri” per avere diritto agli assegni familiari, o trasformando il dispositivo che permette di fornire assistenza sanitaria agli immigrati, in un’assistenza di emergenza. E ancora l’estensione da 90 a 210 giorni del periodo massimo di detenzione amministrativa per i cittadini stranieri “pericolosi”, attualmente possibile solo per reati di terrorismo.

Cosa aspettarsi da un Primo Ministro così “europeo”?

Sin dalle sue prime dichiarazioni, Michel Barnier ha riaffermato il ruolo storicamente centrale che la dimensione europea rappresenta per la Francia e l’importanza di continuare ad avanzare a livello UE in una serie di ambiti strategici, quali politica industriale, sovranità tecnologica, sicurezza economica, difesa e lotta alla concorrenza sleale. Inoltre, il neo Primo Ministro ha dichiarato di voler coinvolgere maggiormente il parlamento francese negli affari europei. I ministri del suo governo saranno chiamati a riferire in Parlamento sui negoziati in corso a livello europeo, e a facilitare l’organizzazione di dibattiti sui principali testi legislativi europei.

Sul piano europeo, tanto si è parlato dell'uscita di scena di Thierry Breton, che ha lasciato a Stéphane Séjourné un portafoglio per la prosperità e la strategia industriale “alleggerito” della difesa e del settore digitale. Senza entrare nel merito della competizione tra un paese e l’altro sul peso dei propri portafogli – dinamica che non dovrebbe trovare spazio nell’ambito di un’istituzione sovranazionale come la Commissione europea – il punto essenziale è che l’indirizzo politico del nuovo commissario, fedelissimo di Macron, sarà praticamente dettato dall’Eliseo. Tra quello che è forse il più europeista dei presidenti francesi, ed un primo ministro così fortemente legato all’Unione europea, non dovremmo aspettarci cambiamenti significativi nel prossimo mandato. È chiaro però che un’avverata instabilità politica interna, accompagnata da crescenti pressioni da parte della destra conservatrice, potrebbe riflettersi in un minore investimento francese sull’arena europea.

Quanto al progetto di integrazione europea, se l’appartenenza della Francia all’Unione europea rimane necessaria ed imprescindibile, le uniche e rare dichiarazioni di Michel Barnier in favore di un salto federale risalgono all’epoca in cui era commissario europeo e sono rimaste un caso isolato in mezzo a dichiarazioni di altra natura. Ancora in un’intervista dell’anno scorso, Barnier ha invitato i “sostenitori di un'Europa federale” a “smettere di considerarsi gli unici veri europei e stigmatizzare coloro che sono legittimamente legati alla sovranità dei popoli e alla democrazia parlamentare nazionale”. 

La via confederale potrebbe forse rispecchiare la visione dell’ex commissario europeo, fortemente attaccata all’entità nazionale, quale unica dimensione in grado di preservare le specificità proprie ai ventisette Stati. In questi termini si è espresso solo pochi mesi fa, in una tribuna pubblicata sulla testata nazionale La Croix: “Dobbiamo sempre ricordare che non si tratta di costruire uno Stato europeo. Non esiste un unico popolo europeo, ma ventisette nazioni, ventisette popoli che parlano ventiquattro lingue diverse. Ognuno di questi popoli, ognuna di queste nazioni ha la sua storia, a volte in competizione con quella del suo vicino. Una cultura, delle tradizioni, delle differenze. Questa è la cosiddetta identità nazionale, che a noi francesi sta a cuore tanto quanto agli ungheresi, agli estoni o ai portoghesi”. 

Tale concezione monolitica dell’identità nazionale non tiene conto delle enormi differenze che possono esistere tra le regioni all’interno di uno stesso Paese, per ragioni geografiche, storiche, culturali e linguistiche. Inoltre, una visione così impenetrabile dell’identità nazionale, ignora il fatto che in ogni persona, e quindi in ogni popolo, possano coesistere molteplici identità che si sommano e mescolano fra loro senza per questo minacciare l’esistenza o l’identità dei propri vicini. Insomma, nel motto “Unita nella diversità”, l’ex commissario europeo si sofferma troppo sulla diversità, e non abbastanza sull’unità.

 

  

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