Tomasz Woźniakowski, Fiscal Unions, Oxford University Press, 2022

 

Le modalità di raccolta delle risorse di un’organizzazione - e non solo l’entità del suo bilancio - sono cruciali per il funzionamento dell’organizzazione stessa: come mostra l’esempio degli Stati Uniti, un bilancio centrale fondato unicamente su contributi degli Stati membri e non sulla capacità del livello federale di imporre tasse si traduce in un effetto destabilizzante per l’unione.

È questa la tesi che Tomas Woźniakowski si propone di dimostrare al fine di fornire spunti sui passi da compiere per la creazione di un potere fiscale europeo. 

L’analisi di Woźniakowski si concentra in particolare sulle ragioni che hanno spinto le tredici ex-colonie britanniche, pochi anni dopo la fine della guerra di indipendenza e la ratifica degli Articles of Confederation, a scegliere di attribuire al livello federale il potere di raccogliere imposte, e sui vantaggi che questa decisione ha comportato. 

Gli elementi di particolare interesse di quest’opera molto densa e ricca di spunti risiedono, da un lato, nel fatto che le difficoltà che hanno caratterizzato il passaggio da forma confederale a forma federale nel continente americano sono molto simili alle difficoltà e alle crisi alle quali deve oggi far fronte il processo di integrazione europea; dall’altro, nell’illustrazione molto chiara delle ragioni per le quali la creazione di una vera unione fiscale è non solo vantaggiosa, ma anche determinante per l’esistenza di un’unione di Stati.

Per quanto riguarda il primo aspetto, Wozniakoski mette in luce molto chiaramente come la crisi del debito sovrano che colpì gli Stati americani sotto il vigore degli Articles of Confederation era una conseguenza della guerra di indipendenza, che si era rivelata molto dispendiosa. In effetti, in mancanza di un potere di tassazione centrale, l’onere fiscale di finanziare la guerra era ricaduto sugli Stati membri, che avevano dovuto innalzare in modo notevole il livello di tassazione. Ne era conseguito un malcontento della popolazione che aveva portato a sommosse e che metteva in crisi la stessa convivenza pacifica tra gli Stati. In una situazione di tal genere, e per prevenire una degenerazione delle rivolte e un accrescersi del malcontento, era necessario sollevare gli Stati membri dall’onere di farsi carico di queste spese, e paradossalmente la soluzione fu quella di creare un potere fiscale - ma questa volta a livello federale - attraverso l’attribuzione al governo centrale del potere di imporre dazi. Come sottolinea l’autore, non si trattò di una decisione semplice né assunta in tempi brevi. Già nel 1781, infatti, il Congresso confederale aveva raccomandato l’istituzione di una tassa del 5% sulle importazioni. Dal momento che il potere fiscale non era incluso nelle attribuzioni del Congresso, sarebbe stata necessaria a tal fine una modifica degli Articles of Confederation, modifica che richiedeva il consenso unanime degli Stati membri. Il Rhode Island, tuttavia, si opponeva a tale proposta, rendendo impossibile quindi la modifica in questione. Qualche anno più tardi la medesima proposta, modificata per venire incontro alle esigenze del Rhode Island, fu rimessa sul tavolo, ma questa volta fu lo Stato di New York ad opporsi. 

Si tratta di una situazione che per molti aspetti ricorda le difficoltà nelle quali si dibattono oggi gli Stati europei, stretti tra la difficoltà di finanziare con propri contributi il bilancio dell’Unione e la miopia che impedisce loro di attribuire alla stessa potestà fiscale nelle materie di propria competenza e di liberare dunque risorse a livello nazionale. 

Un potere fiscale a livello federale libera risorse a livello statale.

Quali furono dunque le ragioni che secondo l’autore portarono gli Stati americani, nonostante le difficoltà ora messe in luce, a compiere il passo della creazione di una vera unione fiscale?

In primo luogo, un elemento decisivo fu costituito dall’evidenza che, essendo la competenza fiscale alla base dell’esercizio di tutte le competenze di un’organizzazione, il suo esercizio a livello federale avrebbe comportato dei vantaggi per tutti gli Stati membri. Se è vero infatti che gli Stati costieri, principali beneficiari dei dazi quando questi erano di competenza statale, avrebbero perso un introito importante per il loro bilancio, era altrettanto evidente che detti Stati, più esposti alle minacce esterne proprio per la loro posizione geografica, avrebbero beneficiato della creazione di una difesa comune a livello federale finanziata dalle nuove risorse. Trasposta a livello europeo, questa motivazione dovrebbe far comprendere come la creazione di un potere fiscale europeo sarebbe in grado, da un lato, di consentire all’Unione di esercitare in modo efficiente tutte quelle competenze, come la difesa, che gli Stati oggi faticano ad esercitare singolarmente; dall’altro, è la dimostrazione del fatto che solo una riforma dell’Unione che tocchi il punto della fiscalità e che quindi liberi le potenzialità dell’Unione in tutte le materie di sua competenza può portare a rispondere alle esigenze di tutti gli Stati membri, e dunque a trovare il loro accordo per una modifica dei trattati.

In secondo luogo, come accennato, l’attribuzione di un potere fiscale al livello federale avrebbe comportato la possibilità di raccogliere una quantità maggiore di risorse: nell’arco di un decennio dalla ratifica della Costituzione, il governo federale aveva in effetti raccolto un ammontare in dazi doganali pari a 600 volte l’ammontare raccolto dai singoli Stati membri sotto il vigore degli Articles of Confederation.  Inoltre, i dazi doganali, la prima imposta attribuita al livello federale, colpivano solo le fasce più abbienti della popolazione, quelle che potevano permettersi l’acquisto di prodotti importati, e non rischiavano dunque di produrre effetti negativi dal punto di vista sociale.

Come nota Woźniakowski, un simile effetto si produrrebbe se si desse vita a livello europeo a un’imposta come la digital tax: dal momento che i giganti del web non potrebbero più avvantaggiarsi della concorrenza fiscale tra Stati membri, gli introiti derivanti da questa tassa al bilancio dell’Unione sarebbero più ingenti di quelli raccolti dai singoli Stati membri. Questi ultimi, di converso, sarebbero sollevati dall’onere di versare risorse nel bilancio dell’Unione e potrebbero beneficiare di politiche europee più efficienti perché esercitate da un’autorità sovranazionale dotata dei poteri e delle risorse necessarie a tal fine.

Come sottolinea a più riprese l’autore, paradossalmente un minore potere di tassazione centrale si traduce in una compressione della sovranità politica e fiscale degli Stati membri, mentre l’attribuzione di potere fiscale al livello federale non solo è strettamente legato allo sviluppo della democrazia a livello sovranazionale, ma libera risorse a livello statale e consente agli Stati membri di esercitare in modo efficace le loro competenze.

È ora che anche gli Stati europei lo capiscano.

 

  

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