Quando la locomotiva rallenta, tutto il treno fa ritardo, ecco perché l’intera Europa osserva con attenzione quanto sta ultimamente accadendo in Germania.


La prima potenza economica del continente è da questa primavera in recessione tecnica e, politicamente, sta mostrando tutte le fragilità della prima era post Merkel. Determinare oggi se la situazione peggiorerà o tornerà presto stabile è difficile, le indecisioni del Governo Scholz, sulle quali le opposizioni gongolano e guadagnano consenso, fanno dubitare che la ripresa possa avvenire in tempi brevi, ma la storia democratica tedesca racconta qualcosa di diverso. 

Andando con ordine, si parla di recessione tecnica quando, per due trimestri consecutivi, il PIL di un Paese mostra una variazione negativa. Ed è quanto accaduto a Berlino, con il prodotto interno lordo registrato in calo dello 0.3% nel primo trimestre del 2023 dopo essere già sceso dello 0.2% a fine 2022. Dati alla mano, l’economia tedesca è cresciuta meno delle altre grandi economie comunitarie, quelle di Francia, Italia e Spagna. Causa numero uno è certamente l’inflazione, scatenata soprattutto dalla crisi energetica di cui la Germania ha duramente sofferto a seguito dell’invasione russa in Ucraina. 

Il blocco dell’importazione di gas dalla Russia, con l’interruzione del servizio di Nord Stream I e il mancato avvio di Nord Stream II, gasdotti dalla capacità di 55 miliardi di metri cubi l’anno ciascuno, ha fatto lievitare i costi di produzione dell’energia tedesca fino al doppio rispetto agli anni precedenti. Come ci si poteva aspettare, sono state le bollette dei cittadini a risentirne, specialmente considerando come la Germania abbia, a oggi, ben poche soluzioni interne alternative. L’energia eolica copre una minima parte della sussistenza energetica del Paese, il progetto legato alla produzione di idrogeno verde è ancora nella sua fase primordiale e, con lo smantellamento delle centrali nucleari in atto ormai da più di un decennio e praticamente impossibile da interrompere, l’unica opzione resta quella del carbone. Valida per sopravvivere, ma da sfruttare cautamente visti gli impegni presi in Europa con il Green Deal e le promesse fatte dai Verdi - oggi al Governo con Socialdemocratici (SPD) e Liberali (FDP) - nella scorsa campagna elettorale. 

Seppur i prezzi siano aumentati, è da considerare come i risparmi e gli investimenti siano in aumento e la bilancia commerciale sia in positivo, con le esportazioni tedesche che nell'ultimo periodo hanno di gran lunga superato le importazioni. Immaginabile è quindi che l’attuale recessione possa essere il prezzo da pagare oggi per contrastare l’inflazione nel lungo termine. D’altronde, dal 1989, è già accaduto nove volte che la Germania entrasse in recessione tecnica, eppure è sempre rimasta l’economia più forte in Europa, con buona pace della Francia, spesso e volentieri in apparente competizione. Il Cancelliere Olaf Scholz sa però che l’attesa, l’ottimismo e le dita incrociate servono fino a un certo punto, è così che, malgrado i contrasti recentemente emersi tra i partiti che compongono il Governo, ha deciso di riunire i Ministri per definire delle strategie per il rilancio dell’economia nazionale. Sul tavolo: sgravi fiscali per le piccole e medie imprese, ammortamenti a saldo decrescente per le abitazioni residenziali, significativi aumenti in ricerca e sviluppo e potenziamento del reddito di cittadinanza. 

L’estate pare quindi essere stata superata indenne dalla coalizione che guida da un anno e mezzo il Bundestag, ma la verità è che i dissidi cominciati in primavera tra Verdi e Liberali (FDP) non si sono ancora completamente attenuati. Vedere i rispettivi leader, Robert Habeck, Ministro dell’economia e dell’ambiente, e Christian Lindner, Ministro delle finanze, stringersi la mano e sorridere accanto a Scholz non risolve la comprovata incapacità di giungere a compromessi su certe questioni, nuovamente legate soprattutto all’energia. A godere di questa situazione di instabilità - tanto economica quanto politica - sono le opposizioni. 

Osservando gli ultimi sondaggi politici è incredibile pensare come le elezioni federali si siano tenute solo nel 2021: i Verdi passano dal 14.75% conquistato alle urne a un gradimento del 13%, peggio va ai Liberali (FDP), che crollano dall’11.5% al 6.5%, e ai Socialdemocratici (SPD), vincitori dell’ultima tornata con il 25.74% dei voti, che si attestano oggi al 18%, scalando non al secondo, ma al terzo posto tra i partiti più apprezzati. Se i Cristianodemocratici (CDU/CSU), prima forza di opposizione, sono infatti tornati al 25.5% cui erano abituati fino alla prima metà del 2021, lontano dai classici standard sono arrivati i nazionalisti di Alternative für Deutschland (AfD), che raddoppiano i consensi ottenuti alle elezioni e si presentano, a pochi mesi dalle prossime europee, con il favore del 20% dei cittadini tedeschi. 

La leader Alice Weidel ha definito il partito come la “vera nuova forza conservatrice del Paese”, e la storia recente di questo gioca a suo favore. Contrariamente ai partiti dell’Unione CDU/CSU, che, dai tempi di Konrad Adenauer, più volte hanno modificato la propria identità adattandola al periodo storico, Alternative für Deutschland (AfD) resta saldamente ancorato ai principi che l’hanno lanciato nel 2013: il forte euroscetticismo dettagliato nella volontà del recupero della sovranità nazionale e dell’uscita dall’euro, il conservatorismo sociale, l’opposizione - talvolta anche con toni chiaramente discriminatori - verso i matrimoni omosessuali, la netta chiusura sull’immigrazione. 

Tuttavia, l’avanzata di Alternative für Deutschland (AfD) preoccupa più in Europa che in Germania. Non solo perché le elezioni europee saranno le prossime a svolgersi e perché gran parte dei punti forti del partito estremista fanno riferimento a politiche istituzionali comunitarie, ma anche per la scarsa volontà del partito di dialogare - fin tanto che si trova in seconda fascia - con il centrodestra nazionale (CDU/CSU) per un eventuale prossimo Governo. A questo aspetto, si somma la volontà dei cittadini tedeschi, sempre dietro sondaggio, per cui l’apertura all’ultradestra al Governo è impensabile; sulla questione, il 73% degli intervistati ha ritenuto corretto che gli altri partiti escludano alleanze con la forza di Weidel. Un dato che, visti gli attuali indici di gradimento, potrebbe significare ingovernabilità e dovrebbe ulteriormente scoraggiare la coalizione semaforo dal causare una crisi dell’esecutivo.

Alle elezioni europee del 2024, il partito più in crescita di Germania punterà tutto su due delle sue figure più radicali: Maximilian Krah e Björn Höcke, uomo per cui “questa UE deve morire perché la vera Europa possa vivere”. Soprattutto per certe esternazioni, oggi, Alternative für Deutschland (AfD) e i suoi esponenti sono oggetto di discussione nelle più disparati sedi. Sono tanti i partiti centristi e di sinistra d’Europa che li hanno presi a esempio di un ulteriore livello di quella deriva estremista cominciata con Trump negli Stati Uniti e seguita da Le Pen in Francia e Abascal in Spagna, sono meno gli schieramenti di destra che ne parlano, almeno non davanti al pubblico. L’unicità (tutt’altro che un complimento) del partito, appartenente all’eurogruppo Identità e Democrazia (ID), sta infatti mettendo in difficoltà gli esponenti del Partito Popolare Europeo (PPE) e del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) che, su iniziativa di Manfred Weber, hanno colloquiato per mesi di una possibile alleanza di destra al prossimo Parlamento europeo. 

Le posizioni di Alternative für Deutschland (AfD) non collimano con quelle dei Popolari e con buona parte di quelle dei Conservatori ed è dunque complesso ipotizzare come e se si giungerà a un accordo tra i gruppi. Più semplice è invece affermare che, se non avverrà un cambio di rotta nella Germania che traina l’economia europea, il prossimo anno, a Bruxelles, il fronte sovranista sarà ancora più forte.

  

  

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