“Voglio essere il presidente della rifondazione dell'Europa”. Ne è passato di tempo da quando Emmanuel Macron, alla Sorbona, nel 2017, si faceva alfiere di un rilancio del progetto di integrazione. Un progetto che è avanzato più grazie al COVID-19 che alla spinta propulsiva di una presidenza francese sempre molto timida nel cedere davvero sovranità.

Il vero successo del Presidente francese, però, è nella capacità di regolare l’agenda politica della Repubblica. Macron ha dimostrato un tempismo geniale quando il 9 giugno ha convocato le elezioni parlamentari dopo il trionfo del Rassemblement National alle elezioni europee. Un azzardo che, dato che in politica - come nella vita - contano più le aspettative della realtà, ha portato a un risultato che sostanzialmente obnubila il successo alle europee dei nazionalisti francesi. Sono loro i veri sconfitti. Una débâcle che non è la fine di un movimento che si è espanso molto e che sta cercando di moderarsi su molti temi, integrando nelle sue fila molta classe dirigente che proviene dalla destra conservatrice e moderata classica.

Quali possibilità abbiamo di avere una Francia a sostegno di un’Europa più unita?

In primo luogo, dobbiamo capire quale sarà il governo che Emmanuel Macron vorrà creare: qualsiasi coalizione (di sinistra con la desistenza del centro, di centro con la desistenza della sinistra, di “grande coalizione” dai Socialisti ai Repubblicani) rischia di logorarsi e di logorare lo stesso Macron. Dall’altro lato, il risultato delle elezioni lascia il pallino del gioco nel campo dell’Eliseo. Macron creerà un governo che sosterrà le urgenze del processo di integrazione europea o nicchierà per la paura della crescita continua degli estremi?

In secondo luogo, dobbiamo vedere se Bardella e Le Pen capiranno, come capì Chirac nel corso dei primi anni ‘90, che il pragmatismo dell’integrazione europea è necessario anche per gli interessi dei francesi. La moneta unica, a cui il Presidente Chirac era violentemente contrario nel corso degli anni ‘80, fu accolta per mere ragioni pratiche. Un bilancio comune stabilmente più grande, una politica fiscale più coesa e una politica industriale che favorisce campioni europei sono tutte scelte pratiche che convengono ai cittadini, alle imprese e allo Stato francese. Sarà il pragmatismo dell’Europa di Monnet a completare la de-diabolizzazione dei lontanissimi eredi di Vichy?

 

  

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