I rapporti di Draghi e Letta su competitività e mercato unico indicano la rotta da seguire per adeguare l’UE alle sfide del nuovo quadro internazionale. I governi nazionali chiuderanno gli occhi?

Dovrebbe essere pacifico (ma i risultati dell’elezione del nuovo Parlamento europeo sembrerebbero evidenziare il contrario) che, in un mondo globalizzato e dominato dalla finanza internazionale, la capacità della politica di prendere decisioni incisive è sempre più difficile; e sono in grado di farlo solo soggetti statali adeguatamente grandi. Di qui nasce la debolezza dei singoli Paesi membri dell’Unione europea, e quindi la qualità della loro democrazia, che rende non più rinviabile la messa in moto di un serio programma riformatore nella direzione degli Stati Uniti d’Europa. Tergiversare o rispolverare consunti richiami a schemi nazionalpopulisti del passato è un inganno perpetrato a danno dei cittadini.

Ben consapevoli di questa realtà, Enrico Letta e Mario Draghi, chiamati rispettivamente dal Consiglio europeo e dalla Presidente Von der Leyen a presentare due Rapporti, rispettivamente, sul futuro del mercato unico e della competitività, hanno espresso la necessità di un cambiamento profondo nel processo d’integrazione europea e l’inutilità del limitarsi a fare “passetti”, come d’altronde richiesto dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa.

Si tratta, considerato il prestigio dei loro redattori, di contributi importanti, differenti per oggetto e taglio politico ma inevitabilmente complementari in quanto ritengono prioritaria una strategia mirata a invertire l’altrimenti inevitabile declino dell’Europa. Essi configurano un appello ai governi nazionali e alle istituzioni “comunitarie” per una seria definizione della prossima legislatura dell’Unione improntata ad una reale trasformazione economica e istituzionale. D’altronde, il mondo in pochi anni, pensiamo solo alle guerre in atto e al Covid, è decisamente cambiato rendendo inattuali molte delle regole vigenti.

Per Draghi, che nelle sue anticipazioni maggiormente si sofferma sui profili istituzionali, c’è la necessità, quindi, di operare “una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa”. Anima e valori ispiratori dell’integrazione devono essere gli stessi ma, ovviamente, gli strumenti politici e normativi per darne attuazione devono adeguarsi ad una realtà molto cambiata.

In proposito, è comprensibile che una Comunità inizialmente formata da soli sei Stati non poteva che essere caratterizzata da una visione intergovernativa tutelata dalla garanzia del diritto di veto attribuito ad ogni Stato membro. Ma un’Unione divenuta adulta e formata da ventisette Paesi membri non è pensabile mantenga le stesse caratteristiche istituzionali, per di più in uno scenario internazionale decisamente mutato; pensiamo solo alla crescente pluralità di potenze. Pertanto, solo presentandosi come soggetto politico ed economico unitario l’Europa è in grado di rivendicare il proprio ruolo di co-protagonista.

Certo, per operare il necessario salto di qualità nel processo d’integrazione sarebbe indispensabile procedere ad una Riforma del Trattato di Lisbona, peraltro redatto ormai circa 20 anni fa (se si pensa alla base costituita dal mai nato Trattato c.d. costituzionale di Roma), un periodo di tempo enorme considerata la velocità con cui procede la storia contemporanea. Tuttavia, l’ostacolo anche qui è dato dal complesso iter di una revisione che si conclude con l’unanimità non solo dei Governi degli Stati membri ma, soprattutto, delle ratifiche parlamentari o referendarie previste dalle Costituzioni nazionali.

L’approccio complessivo di Draghi sul futuro dell’Unione sembra per più ragioni orientato alla necessità di riformare Lisbona. Tuttavia, una realistica soluzione interlocutoria sarebbe rinvenibile, come forma di integrazione differenziata, nel dar vita ad una cooperazione rafforzata (art. 20 TUE) da parte di un sottoinsieme di Stati membri (almeno nove) sotto forma di ventottesimo regime giuridico in alcuni progetti cruciali quale l’unione dei mercati dei capitali. Ciò detto, non va dimenticato che dal suo campo di applicazione vanno escluse le materie di competenza esclusiva dell’Unione nonché, ed è centrale, la politica estera e di sicurezza comune tranne si proceda, attraverso una procedura più complessa, con una decisione del Consiglio all’unanimità (art. 329, comma 2 TFUE). Peraltro, una forma specifica di cooperazione rafforzata è data dalla PeSCo (Permanent Structured Cooperation) che riguarda solo la Difesa ed è sottoposta a regole certamente più severe (artt. 42 par. 6 e 46 TUE, Protocollo n. 10). Essa è stata realizzata nel dicembre del 2017 con la partecipazione oggi di tutti gli Stati membri (con l’eccezione di Malta); con gli attuali 68 progetti potrebbe costituire un ottimo presupposto per la realizzazione dell’ambizioso obiettivo di sviluppare una vera difesa comune europea.

Di questa ci sarebbe bisogno non solo considerato che, purtroppo, l'ordine internazionale sta tornando a rapporti di forza basati anche sulla potenza militare ma pure al fine di razionalizzare le spese militari nazionali. Considerata la capacità dell’Unione nel gestire il mercato unico, sarebbe necessaria almeno la progressiva integrazione dell’industria della difesa, considerato che gli Stati membri, ad esempio, hanno 14 tipi diversi di carri armati e due sistemi di difesa aerea in concorrenza tra loro.

Ed ha, quindi, ragione Letta nel considerare ormai superati i tempi nei quali erano stati esclusi dal processo d’integrazione altri settori decisivi quali la finanza, le comunicazioni e l’energia. L’Europa “non può e non deve cedere ad altri il suo ruolo di leader manifatturiero” e deve procedere con una “transizione equa, verde e digitale come catalizzatore di un nuovo mercato unico: verso un'Unione del risparmio e degli investimenti”.

A tal fine esiste comunque un problema di costi. Le proposte di Letta sottolineano che senza scelte politiche che diano una preminenza al disegno europeo rispetto a quelli nazionali, pur nel rispetto delle diversità dei Paesi membri, non sarà possibile invertire il declino del vecchio Continente; pertanto, vanno individuate nuove risorse finanziarie sia pubbliche che private.

Draghi, a sua volta, ribadisce la necessità di ricorrere al debito comune per aumentare la fornitura di beni pubblici, ad esempio attraverso “un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche”. La creazione di tale debito richiede l’adozione di entrate comuni per cui gli Stati devono essere disposti a cedere una parte della loro politica di bilancio alle istituzioni europee embrione di un vero bilancio condiviso. A sostegno di questo esisterebbero anche forme di finanziamento da più parti proposte come l’interessante Iniziativa dei cittadini europei dal titolo Tassare i grandi patrimoni per finanziare la transizione ecologica e sociale, attualmente aperta alla firma, diretta a recuperare risorse per queste due priorità indicate dal discorso sullo stato dell’Unione. La proposta evidenzierebbe, inoltre, un passo avanti nella proiezione della competenza “comunitaria”, sussidiaria, nel settore delle imposte dirette tuttora ancorata alla competenza pressoché generale degli Stati membri. L’obiettivo è trasformare il valore finanziario, che si genera, in valore sociale e collettivo.

Il debito comune è, quindi, è lo strumento necessario, che fu approvato da tutti, quando era evidente che serviva uno sforzo straordinario per arrestare la diffusione del Covid. È l’embrione di un bilancio condiviso che mostri al mondo che il processo di costruzione dell‘Europa non si è fermato.

È, ancora, molto interessante, nei sei capitoli del Rapporto di Enrico Letta, l’individuazione di una “quinta libertàdel Mercato Unico relativa a ricercainnovazione e istruzione per potenziarne le capacità di innovazione nel nuovo panorama globale. Anche i relativi meccanismi consentirebbero di mobilitare risorse private e pubbliche verso gli obiettivi strategici dell’UE, quale motore dello sviluppo sostenibile e della prosperità diffusa nel Continente.

 In conclusione, bisogna sempre ripartire dalla cultura e dall’intelligenza storica quali pilastri unitari del nostro Continente che ne costituiscono l’inimitabile carta d’identità stampata sui valori della pace, dei diritti umani e della solidarietà da proporre al resto del mondo. Come cittadini responsabili evitiamo, con uno sciagurato ritorno al sovranismo populista, il prodursi del declino dell'Europa e degli Stati che ne fanno parte, così determinando il furto del futuro per le nuove generazioni.

 

  

L'Unità Europea

Giornale del

MovimentoFederalista Europeo

Edizione a stampa
Codice internazionale: ISSN 1825-5299
Catalogazione e disponibilità: Catalogo ACNP

 

Edizione online
Codice internazionale: ISSN 2723-9322
Sito Internet: www.unitaeuropea.it

L'Unità Europea su Facebook

Iscriviti alla alla newsletter

 

Sito internet: www.mfe.it

Pagina Facebook del MFE L'MFE su Twitter L'MFE su YouTube

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). E' possibile scegliere se consentire o meno i cookie. In caso di rifiuto, alcune funzionalità potrebbero non essere utilizzabili. Maggiori informazioni