Le elezioni europee del giugno scorso hanno mostrato la resilienza dell’UE in termini di processo democratico. Le forze nazionaliste sono state deluse.

Va fatta una prima riflessione: il quadro politico nel quale ci si è confrontati durante la campagna elettorale e nel momento successivo della costruzione delle alleanze fra i gruppi politici nel Parlamento Europeo, nonostante la tendenza a rappresentarlo come stabilmente orientato dal confronto tra destra e sinistra, è stato invece caratterizzato dal confronto tra progresso e reazione nel senso spinelliano dei termini, ovvero quello che vede dalla parte del progresso tutte le forze pro europee (diciamo federaliste o potenzialmente tali) e da quella della reazione tutte quelle più chiaramente nazionaliste.

È sulla base di questa prima osservazione che occorre ragionare. Questo confronto è stato vinto, sia pure con difficoltà, dalle forze politiche pro europee. Di fatto i nazionalisti sono stati sconfitti. Inoltre siamo, forse per la prima volta, in un quadro in cui, nonostante la campagna elettorale abbia spesso risentito (in particolare in Italia) del consueto occuparsi di questioni interne, i dati finali e la conseguente vicenda delle nomine alla Presidenza della Commissione (con la conferma di UVDL), dello stesso Parlamento Europeo, ecc. dimostrano come la battaglia politica europea e tra gruppi politici europei stia cominciando ad affermarsi come tale. Anche per il voto su UVDL il ruolo del Parlamento Europeo non è stato subalterno a quello dei governi come era sempre avvenuto in precedenza.

Un altro elemento del quadro è la debolezza dei principali governi europei. Sia pure per motivi diversi questa debolezza concorre a questa nuova situazione. In Francia e in Germania le forze nazionaliste sono cresciute ed in Francia è stata necessaria, ed in qualche modo vincente, la mossa di Macron: l’esito delle elezioni politiche convocate immediatamente ha di molto ridimensionato l’avanzata dei nazionalisti (quando uno è dato per vincitore – Le Pen – e arriva solo terzo, si tratta di una sconfitta senza se e senza ma). Il governo tedesco di coalizione si sta mostrando piuttosto debole e in Italia l'attuale maggioranza poggia prevalentemente su forze dichiaratamente nazionaliste. Infine la Spagna, a parte i suoi problemi interni, non può neppure volendo assumere un'iniziativa senza avere una sponda importante da qualcuno degli altri grandi Paesi dell'UE. Se dunque non ci si può aspettare un'iniziativa dei governi nel prossimo futuro (anche se come federalisti dobbiamo sempre lavorare per far aumentare la consapevolezza sulle scelte da fare – e gli inviti in questo senso arrivano ormai da tempo da sempre più importanti soggetti a livello europeo, si pensi ad esempio, per stare ai fatti più recenti, all'ottimo discorso del governatore della Banca d'Italia Panetta), bisogna Incoraggiare il nuovo Parlamento Europeo a proseguire sulla strada tracciata dal precedente negli ultimi mesi della scorsa legislatura.

La proposta del Parlamento Europeo di avviare una Convenzione per la riforma dei trattati pendente sul tavolo del Consiglio è infatti il sentiero stretto sul quale in questo momento può incamminarsi la strada per arrivare alla Federazione Europea. Occorre lavorare perché questa proposta venga adottata dal Consiglio che, nonostante la debolezza dei governi e anzi proprio per questa, potrebbe adottare la proposta del PE per superare l'impasse. Altre strade non ce ne sono.

La strada della convocazione della Convenzione è adesso un sentiero stretto, ma l'unico che oggi può essere percorso per tentare di portare l'UE sulla strada del rilancio.

Vale la pena di ricordare da dove parte questo percorso che sembrava già difficilissimo portare fino a dove si trova oggi. È stato il Presidente francese a volere la Conferenza sul futuro dell'Europa (ritardata dalla pandemia) per ottenere un appoggio direttamente dai cittadini a politiche di rafforzamento dell'UE. Le conclusioni della Conferenza, ampiamente orientate anche dall'intensa azione dei federalisti, hanno chiaramente mostrato la volontà dei cittadini di andare avanti verso l'unificazione europea (ed era già un punto niente affatto scontato). Il Parlamento Europeo - ed in un primo momento anche la Commissione - ha raccolto la sfida e si è fatto interprete delle richieste dei cittadini lanciando una prima richiesta sintetica di convocare una Convenzione per riformare i Trattati (anche questo non era affatto scontato che succedesse). Il Consiglio ha rimandato la palla al Parlamento chiedendo un progetto più dettagliato. A questo punto è successo l'impensabile (almeno lo era per molti). Soprattutto grazie ai parlamentari europei del gruppo Spinelli, la Commissione Affari Costituzionali del PE ha predisposto un testo corposo ed articolato, votato poi in aula con maggioranza limitata nel novembre scorso, che ha rimesso pari pari la richiesta al Consiglio (subito trasmessa ad esso dalla presidenza di turno spagnola). Qui ancora siamo. In assenza di una maggioranza semplice, ma certa, di Paesi che vogliano procedere, la proposta del PE non è stata finora esaminata, ma prima o poi il Consiglio dovrà farlo. Questa strada, piena di difficoltà, è adesso un sentiero stretto, ma l'unico che al momento può essere percorso per tentare di portare l'Unione Europea sulla strada del rilancio.

In questo senso ha molta importanza che l'azione per l'ottenimento dell'apertura di una Convenzione per la riforma dei Trattati contenga e metta in evidenza quali sono le sfide attuali che riguardano la sopravvivenza stessa degli europei ed il futuro delle generazioni più giovani. I contenuti che tutti possono vedere, come la sfida per la nostra sicurezza e la necessità di una politica estera europea, quella per la costruzione di un vero bilancio federale (gli eurobond ed il PNRR nati per la pandemia hanno mostrato la via) e quindi di una capacità fiscale comune, la sfida dell'intelligenza artificiale e la transizione ecologica, la sfida del clima, sono tutti contenuti utilizzabili per far capire come esiste un futuro, per l'Europa e per il mondo, solo se gli europei riusciranno a completare il processo di costruzione della Federazione Europea.

Il tempo non è più amico degli europei, non consente più dilazioni sine die sulle scelte strategiche da fare. Non solo la guerra tra Russia e Ucraina, quella in Medio oriente, i tentativi egemonici della Cina, ma anche la campagna elettorale presidenziale negli USA, che mette di fronte due idee completamente diverse di quale debba essere il ruolo americano nel mondo e forse anche di quale sia la direzione che il mondo deve prendere (un nuovo medioevo o la strada verso l’unificazione pacifica del genere umano?): sono tutti eventi che impongono agli europei un’accelerazione nella direzione del completamento dell’unificazione federale dell’UE.

In particolare, è importante l’approssimarsi delle elezioni americane. In questo momento la modifica della situazione nel campo del Partito Democratico, con la decisione di candidare la vice-presidente Kamala Harris, ha rimesso in discussione un risultato che sembrava decisamente a favore di Trump. Al momento i sondaggi rilevano grande incertezza. È chiaro che, stando alle dichiarazioni dello stesso Trump, se fosse lui a prevalere, gli europei non avrebbero davvero tempo da perdere per affrontare in proprio il tema della propria sicurezza che, come è stato detto più volte da autorevoli esperti (oltre che dai federalisti) non può che affrontarsi con ragionevoli possibilità di successo solo nell’ambito di una federazione compiuta.

In questo quadro generale il compito dei federalisti è quindi quello di incoraggiare e sostenere il nuovo Parlamento Europeo perché mantenga la posizione del precedente circa la richiesta di convocazione di una Convenzione per la riforma dei Trattati e di favorire la continuità del Gruppo Spinelli all’interno del PE e la sua operatività. Ma contemporaneamente anche quello di far maturare la consapevolezza dei governi europei e dei vari parlamenti nazionali sulle scelte da fare, lavorando anche all’interno di UEF e JEF perché l’azione di tutti i federalisti sia coerente con questo obiettivo. Questo lavoro va fatto naturalmente anche in Italia, dove occorre provare a portare il governo nella sua interezza verso posizioni che consentano all’Italia di avere un ruolo positivo in questo quadro. Certamente nell’interesse dei suoi cittadini, ma anche per evitare il rischio, già ampiamente presente, di una marginalizzazione del nostro Paese proprio nel momento in cui si realizza una lotta politica europea e non più solo nazionale.

 

  

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