“Per essere competitivi, bisogna riformare l’Unione” ribadisce Draghi nel Report dedicato al futuro della competitività europea. Egli analizza il declino dell’UE in molti settori e identifica la frammentazione interna come uno dei primi impedimenti verso l’avanzamento di un interesse europeo comune. C'è una grave situazione di incertezza e un’incapacità generale di innovare le tecnologie d’avanguardia, la cui causa va inesorabilmente ricondotta ancora una volta all’assenza di un’autorità politica comune che vada al di là dei veti nazionali. 

Un settore molto toccato da questa assenza di coesione e pianificazione da parte dell’UE è quello automobilistico, che ha già mostrato segni di perdita di competitività. A dimostrazione di questo, basta analizzare i dati degli ultimi due decenni del numero di veicoli prodotti: in UE è diminuito; al contrario, in Cina la produzione è cresciuta e di pari passo ha aumentato il numero di importazioni di veicoli, tanto che ora è il principale fornitore extraeuropeo. I motivi più evidenti di questa concorrenza stringente sono i costi più elevati, i ritardi nelle capacità tecnologiche, la dipendenza crescente verso mercati terzi e lenta perdita di valore del marchio. 

L’industria automobilistica è da sempre stata un settore trainante in Europa, ma a causa degli ultimi preoccupanti sviluppi, si è aperta una grande questione riguardo al suo futuro. La Cina, a differenza delle grandi aziende automobilistiche europee, sta compiendo passi da gigante per quanto riguarda l’innovazione tecnologica dei veicoli elettrici, che stanno portando alla lenta erosione del motore a combustione. Ciò è stato reso evidente nell’ultima esposizione dedicata al settore a Porte de Versailles, dove nove compagnie cinesi hanno presentato nuove macchine all’avanguardia e piani strategici di incursione nei mercati europei. 

A fronte di tutto questo, sembra che l’unica risposta tempestiva data dalle istituzioni europee sia stata l’applicazione a partire da questo novembre di dazi protezionistici sui veicoli importati dalla Cina, mossa a quanto pare controproducente a detta di alcuni reparti manifatturieri, che hanno annunciato come questo possa portare ad un ulteriore indebolimento del settore. Aziende cinesi come BYD per esempio hanno già escogitato modi per aggirare le tariffe europee, spostando le sedi manifatturiere delle auto che andranno a vendere in Europa in Paesi dove il costo di produzione e manodopera è più basso, come in Ungheria e Turchia, e mettendo in ginocchio così l’industria automobilistica europea già in difficoltà nell’integrarsi nel mondo dell’elettrico.

Nel report, per di più, è stato sottolineato come sia rilevante considerare l’obiettivo europeo 2035 della decarbonizzazione nel settore automobilistico, attuando un piano d’azione industriale comune. Questo deadline è stato soggetto ad alcune critiche, tra cui quella di Oliver Zipse, capo esecutivo di BMW che lo definisce poco realistico e una minaccia che potrebbe portare al solo fallimento dell’industria automobilistica.  Un portavoce della Commissione, però, ribatte che le istituzioni europee sono sempre state in dialogo con le industrie per il raggiungimento dell’obiettivo nel 2035 e che le industrie al momento hanno undici anni di preparazione al divieto di produzione di motore a diesel e petrolio.

Al fine di far fronte a questa crisi bisognerebbe adottare una serie di soluzioni: nel breve termine, si dovrebbe evitare una delocalizzazione radicale della produzione fuori dall’UE o la rapida acquisizione di impianti e aziende europei da parte di produttori esteri sovvenzionati dallo Stato proseguendo allo stesso tempo la decarbonizzazione. Nel medio termine, invece, ristabilire una posizione di leadership competitiva per la “prossima generazione” di veicoli e mantenere la base produttiva europea con gli attuali vantaggi tecnologici fino a quando i mercati internazionali mostreranno una certa domanda. 

Resta evidente, dunque, per attuare ciò, come sia necessaria una riorganizzazione dell’ UE attraverso delle riforme che portino ad una coesione politica in grado di far fronte ad un contesto internazionale sempre più competitivo.

 

  

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