La produzione di microchip è un settore chiave per generare ricchezza e garantire autonomia strategica. I Paesi europei sono indietro.

Il 24 ottobre, TSMC, azienda taiwanese di microchip, ha annunciato che il suo nuovo impianto in Arizona ha battuto tutti i record di produttività. Costruito in tempi mai visti, è il fiore all’occhiello della nuova politica industriale avviata dall’Amministrazione Biden. Questa politica punta a riportare in patria la produzione di beni considerati critici, in un contesto di deglobalizzazione e frammentazione delle relazioni internazionali. In un ambiente sempre più conflittuale, per gli Stati Uniti è diventato difficile dipendere da Taiwan—sotto minaccia cinese—per la produzione di microchip, componenti essenziali per la corsa all’Intelligenza Artificiale (AI). I leader del settore, tra cui Sam Altman, fondatore di OpenAI, hanno incontrato Biden a fine ottobre per coordinare la politica industriale statunitense e sostenere lo sviluppo. Il successo di TSMC in Arizona segna il culmine di una politica di reindustrializzazione aggressiva iniziata nel 2022 con il Chips Act, firmato da Biden, che prevede 290 miliardi di dollari per riportare la produzione di microchip in America. Questo processo è definito ‘reshoring’, in cui le fabbriche vengono riportate a casa in risposta a tensioni geopolitiche e necessità di rafforzare il mercato del lavoro interno. Su questo campo, gli Stati Uniti di Biden continuano gli obiettivi dell’Amministrazione precedente, cercando di costruire una nuova leadership industriale e innovativa, con un focus sulle tecnologie emergenti che definiranno la crescita economica futura, in particolare l’IA e la sua catena di approvvigionamento energetica e manifatturiera. Politicamente, questo rappresenta un altro capitolo nel confronto strategico-economico tra Cina e Stati Uniti.

In questo contesto, l’Europa cerca di non restare indietro. Nel 2023, il Consiglio UE ha approvato definitivamente il Chips Act della Commissione, lanciato da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2021. Questa legge imita in gran parte gli obiettivi e gli strumenti utilizzati da Biden nella legge americana dell’anno precedente. Il piano europeo prevede una collaborazione tra amministrazioni statali, imprese e Commissione per facilitare la costruzione di impianti di produzione in Europa. Inoltre, il piano prevede 43 miliardi di euro in finanziamenti diretti per attrarre investimenti. Questa cifra evidenzia la differenza di scala rispetto al piano americano. Come sottolineano spesso i Federalisti, il budget modesto e le resistenze a livello nazionale portano a risultati al di sotto delle aspettative. La Commissione aveva fissato un obiettivo ambizioso, sebbene limitato. Attualmente, in Europa viene prodotto il 10% dei microchip a livello mondiale. Il Chips Act mira a raddoppiare la quota europea in un mercato mondiale che potrebbe quintuplicare entro il 2030. Per questo, oltre ai fondi europei, la Commissione ha anche superato il tabù degli aiuti di Stato. Fino a ora, agli Stati membri non era permesso fornire aiuti di Stato per proteggere il mercato unico ed evitare una corsa sregolata a chi offre di più. Ma ora, di fronte alla necessità storica di competere con Stati Uniti e Cina, sono state superate tutte le linee rosse, segno che la classe dirigente europea è consapevole della gravità della sfida.

È evidente che il Chips Act di Ursula von der Leyen sta mostrando i propri limiti.

Proprio qualche mese fa, la Commissione ha autorizzato l'Italia a erogare due miliardi di euro di aiuti di Stato per costruire un impianto di microchip in Sicilia. Non è la prima volta che ciò accade, con esempi simili anche nei Paesi Bassi, in Francia, Germania e Repubblica Ceca. Tuttavia, lasciando l'iniziativa ai governi nazionali, si aumenta la frammentazione del piano europeo, si riduce l'efficienza di scala e si costringe i governi e le regioni subnazionali a competere in una gara al ribasso che non porta vantaggi a nessuno. Questa situazione ha spinto l’Amministrazione Biden a intervenire. L'Unione Europea, però, non ha né l'autonomia di manovra né i fondi disponibili della Casa Bianca. Già a gennaio di quest’anno, il CEO di ASML, la più grande azienda del Vecchio continente nella produzione di chip, aveva dichiarato che l'Unione Europea non raggiungerà gli obiettivi del Chips Act prefissati per il 2030. Il 23 ottobre, l'azienda americana Wolfspeed ha rinunciato a costruire un impianto di produzione da tre miliardi di euro in Germania a causa dell’incertezza legata ai costi dell’energia e alle difficoltà economiche del continente. Anche il colosso dei chip Intel ha annunciato una “pausa” negli investimenti europei, nonostante i tentativi di corteggiamento da parte delle capitali europee. È evidente che il Chips Act di Ursula von der Leyen sta mostrando i propri limiti.

La nuova Commissione, che sta per insediarsi, dovrà rivedere le proprie politiche di investimento. Un piano esiste già: il rapporto presentato dall’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi sulla competitività dell’Unione Europea. È urgente un nuovo ciclo di fondi europei, stimato da Draghi in 800 miliardi di euro all’anno, per accelerare gli investimenti e mantenere la competitività nei settori economici strategici. È necessario superare le logiche nazionali, in particolare nel mercato delle telecomunicazioni, ancora frammentato e interamente nazionale. Serve anche facilitare investimenti coordinati a livello europeo, uscendo dalla competizione al ribasso causata da ventisette concorrenti diversi. Bisogna riconoscere che in questa sfida noi europei non siamo più i leader da tempo, quindi è fondamentale concentrare gli investimenti in punti strategici della catena di approvvigionamento, proteggendo l’occupazione e mantenendo il controllo sui punti più critici della produzione, come quella dei componenti nanometrici. Per farlo, è importante che la direzione rimanga a livello europeo, e che fondi e investimenti siano decisi collegialmente, in una vera e unica politica industriale europea.

Per l'UE, mantenere la propria rilevanza in questo campo strategico non è solo importante; è essenziale. Per essere competitiva, l'Unione deve scegliere con attenzione i propri obiettivi e ambiti di azione, sfruttando i propri punti di forza, consapevole di essere indietro nella corsa per l’autonomia strategica rispetto a Stati Uniti e Cina, entrambi in grado di mobilitare risorse finanziarie molto maggiori a un ritmo più veloce.

 

  

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