La Romania si trova a un bivio cruciale: scegliere tra una leadership neopopulista esclusiva per i prossimi cinque anni o consolidare il cammino occidentale ed europeo.

La Romania si trova a un bivio cruciale: scegliere tra una leadership neopopulista esclusiva per i prossimi cinque anni o consolidare il cammino occidentale ed europeo.

Il risultato delle recenti elezioni, sia presidenziali che parlamentari, ha evidenziato una crescente polarizzazione del panorama politico, con l'avanzata di candidati e movimenti che sfruttano sentimenti nazionalisti e anti-establishment per ottenere consensi. Un contesto già complesso è ulteriormente aggravato da una crisi di fiducia nelle istituzioni democratiche e nei partiti tradizionali, accusati di aver deluso le aspettative popolari.

Negli ultimi vent’anni, la giovane Repubblica romena ha assistito a una crescente personalizzazione della politica, favorita dall’allineamento delle elezioni presidenziali e parlamentari, introdotto con una riforma costituzionale che ha portato a cinque anni il mandato presidenziale. Questo cambiamento ha accentuato il ruolo del Presidente, ora figura centrale attorno a cui gravitano le alleanze e le dinamiche di formazione del governo, rendendo la carica decisamente più politica.

Le elezioni del 2024 hanno messo in evidenza la tensione tra spinte verso un’integrazione più stretta con l’Unione Europea e la nostalgia per un passato percepito come meno complesso ma allo stesso tempo meno democratico, sollevando interrogativi sulla tenuta del sistema democratico del paese.

Il primo turno delle elezioni presidenziali ha visto una competizione tra figure consolidate e candidati emergenti. Marcel Ciolacu, leader del Partito Social Democratico (PSD), considerato il candidato con maggiori chance di vittoria secondo i sondaggi pre-elettorali, ha ottenuto solo il 19% dei voti, segnando il peggior risultato della storia del PSD. Nicolae Ciucă, ex capo di stato maggiore dell’esercito ed ex primo ministro, candidato del Partito Nazionale Liberale (PNL), non è stato sostenuto nemmeno dal suo partito, fermandosi all’8%, un dato che riflette una crisi identitaria per il principale partito di centrodestra.

Anche i candidati dei partiti emergenti hanno deluso le aspettative. George Simion, leader del partito populista Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR) e indicato da molti come possibile sfidante al ballottaggio, si è fermato al 13%. Elena Lasconi, rappresentante dell’Unione Salviamo la Romania (USR) e portavoce di un neopopulismo tecnocratico, ha raggiunto il ballottaggio per una manciata di voti (2740, per la precisione). La vera sorpresa è stata Călin Georgescu, ex diplomatico legato in passato al PNL e al PSD, che ha scelto di candidarsi come indipendente, promuovendo ideologie conservatrici e “pacifiste”, pertanto filorusse. Ignorato nei sondaggi, Georgescu ha ottenuto il 22% dei voti, posizionandosi come primo al primo turno. La sua campagna, basata su una retorica nazionalista e sul concetto romantico di “neamul românesc” – traducibile letteralmente come “il popolo romeno", ma che ha un significato più profondo e simbolico nella cultura romena, evocando l'idea di appartenenza alla nazione romena, intesa come una comunità legata da storia, tradizioni, cultura e valori comuni - ha colto di sorpresa sia gli analisti sia i suoi avversari politici, che non l’avevano considerato come un avversario con delle possibilità concrete di affermarsi.

Il secondo turno, che avrebbe dovuto opporre Georgescu a Lasconi in una sfida tra visioni opposte della Romania, è stato annullato dalla Corte Costituzionale. La decisione è seguita alla desecretazione di dossier dei servizi segreti, i quali hanno rivelato possibili finanziamenti illeciti russi alla campagna di Georgescu e l’uso improprio dei social media, con particolare attenzione a TikTok. Infatti, da una parte la piattaforma è stata accusata di aver favorito il candidato tramite algoritmi che amplificavano contenuti associati alla sua campagna, dall’altra Georgescu si faceva campagna tramite il social media cinese durante il periodo elettorale senza esporre il committente responsabile.

Tra le accuse più gravi vi sono manipolazioni tramite account falsi e campagne coordinate per diffondere il messaggio di Georgescu. La decisione di annullare il voto, presa mentre i cittadini all’estero stavano già votando per il ballottaggio, ha scatenato proteste e alimentato il dibattito sulla trasparenza e l’integrità delle istituzioni. Le proteste, guidate da ONG e rappresentanti della società civile, hanno evidenziato la necessità di un maggiore controllo sui finanziamenti delle campagne elettorali. Il coinvolgimento di attori esterni ha sollevato dubbi non solo sull’autonomia politica del Paese, ma anche sulla capacità delle istituzioni di garantire un processo democratico equo.

Sul fronte parlamentare, i partiti tradizionali hanno perso consensi rispetto alle precedenti elezioni. Il PSD è passato dal 28,9% al 21,96%. Il PNL, vero sconfitto delle elezioni, è passato dal 25,18% al 14%. A spaventare, però, è la somma dei tre partiti neopopulisti esclusivi: AUR è passato dal 9,08% al 18,01%, SOS Romania ha ottenuto il 7,36% e POT (il partito delle persone giovani) – vicino a Georgescu, ha ottenuto il 6,46%, per un totale del 31,83%. L’emergere di questi nuovi attori ha dimostrato un crescente malcontento verso i partiti tradizionali. Questo contesto ha portato a dibattiti sulle possibili coalizioni di governo. Il coinvolgimento dell’USR avrebbe potuto rappresentare una svolta per la politica romena, costringendo il partito di Lasconi a moderare la propria retorica contro i partiti tradizionali e al tempo stesso responsabilizzando tutte le forze democratiche nella lotta contro i neopopulismi esclusivi, chiamandole ad assumersi le proprie responsabilità.

Nonostante le aspettative, l’USR ha scelto di non partecipare alla coalizione di governo formata da PSD, PNL e UDMR (rappresentante della minoranza magiara). Questa decisione ha suscitato dibattiti sull’opportunità mancata di creare una coalizione più ampia e inclusiva. Divergenze ideologiche e rivalità politiche hanno impedito tale collaborazione, lasciando l’USR all’opposizione e sollevando dubbi sulla stabilità del nuovo esecutivo, data la risicata maggioranza parlamentare.

La mancata inclusione dell’USR ha anche sollevato preoccupazioni sulla capacità del governo di affrontare le sfide economiche e sociali del paese. Molti analisti ritengono che questa scelta rifletta un approccio conservatore e poco orientato al cambiamento, rischiando di alienare ulteriormente una parte significativa dell’elettorato giovane e filo-europeo.

Le nuove elezioni presidenziali, previste per la primavera del 2025, rappresentano un test cruciale per la democrazia romena. I candidati dovranno ripartire da zero, raccogliendo nuovamente le firme necessarie. Tra i nomi già confermati vi sono Crin Antonescu, candidato della coalizione PSD-PNL-UDMR, e gli indipendenti Nicușor Dan e Daniel Funeriu. L’annullamento del ballottaggio del 2024 ha aumentato l’incertezza politica: da una parte c’è il rischio di favorire ulteriormente l’ascesa di candidati neopopulisti esclusivi pronti a mettere in discussione l’appartenenza all’UE e alla Nato; dall’altra parte, però, i cittadini romeni voteranno sapendo che le loro decisioni saranno fondamentali sia per il futuro della Romania sia per il futuro del confine ad est dell’Unione Europea.

In un contesto di crescente polarizzazione, le prossime elezioni rappresentano un’opportunità per ripristinare la fiducia nelle istituzioni democratiche e delineare un futuro politico più stabile e trasparente. La sfida principale per le democrazie occidentali arriva dalla Romania, bilanciare l’innovazione tecnologica con la protezione delle istituzioni democratiche.

 

  

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