Di fronte al nuovo e proteiforme disordine mondiale l’Europa si trova nella necessità di scegliere il proprio futuro e sono scelte pesanti che implicano percorsi diversificati e largamente irreversibili.

Sostanzialmente tre sono le scelte che l’Europa si trova davanti:

  • la mera salvaguardia di quanto già realizzato con il Mercato unico e l’euro,
  • la nuova balcanizzazione confederale oscillante tra frammentazione nazionalistica e particolarismo elitario anseatico,
  • la via dell’unione politica e della graduale costruzione di nuovo ordine mondiale pacificato.

La prima via è quella dell’europeismo comunitario che giustamente apprezza quanto già realizzato e conta di poter continuare a gestirlo utilizzando al meglio gli strumenti che i trattati offrono e difendendosi dalle tempeste che la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica generano e genereranno, in particolare seguendo le linee base la convergenza delle economie che compongono l’UE (politica regionale e delle razionalizzazioni produttive, amministrative e sociali (riforme), il sostegno ai settori in crisi per l’evoluzione economica e tecnologica (la CECA cominciò con le vecchie aree siderurgiche e la CEE prosegui con l’agricoltura). È la politica di fermarsi di fronte al trivio e di costruire una città fortificata che si basi sul buon governo interno e mandi le sue ambascerie all’esterno per farsi rispettare da chi la può vedere anche come un ricco bottino da conquistare. Il rischio è che l’immobilismo non può durare per sempre, e se anche la nostra cultura sopravvivrà non c’è un grande destino politico e sociale per l’Europa che verrà dominata dalle realtà emergenti come per l’Ellade di cui Orazio (Epistole, Il, 1, 156) scrisse: “Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio”. È il limite prospettico dell’europeismo che ovviamente vorrebbe dalla Conferenza iniziative atte a consolidare e completare i risultati raggiunti, senza dover modificare i trattati.

La seconda via è quella di ridurre gli aspetti federali già presenti nel modello comunitario per dare all’Unione una forma esplicitamente confederale dove gli Stati membri prevalgano nella definizione del proprio sviluppo economico vedendo l’Europa del Mercato unico considerato solo come il quadro dove le sovranità nazionali possano affermarsi al meglio (è la chiara posizione in Italia di Giorgia Meloni che si dichiara gollista, mentre Salvini appare più ondivago tra la Italexit e l’alleanza con i popolari nazionalisti e alla fine più distruttivo perché manca di prospettiva e incapace di stabili alleanze in Europa e quindi più balcanizzante in senso classico, incapace di qualsiasi integrazione e d’attenzione per una sovranità effettiva, ).

Nel secondo gruppo dei confederalisti stanno i paesi del gruppo di Visegrad, che vogliono che la comunità continui a perseguire con gli aiuti regionali la convergenza dei loro livelli di reddito con la media di Eurolandia e il sostegno alla loro agricoltura che all’ingresso nell’UE è partita da livelli arretrati rispetto ai valori medi comunitari. Quindi devono restare le risorse necessarie a queste politiche, ma poi non vogliono regole che gli impongano decisioni comuni e prese a maggioranza sulla competitività e sulla politica estera volendo decidere autonomamente sulle politiche e valori sociali e sui rapporti con le potenze terze. È una rinnovata e generalizzata riedizione del principio polacco dell’unanimità e della base confessionale della nazione.

Nel terzo nuovo gruppo dei confederalisti, che potremmo chiamarli anseatici, stanno i piccoli e ricchi gli stati del nord che vorrebbero liberarsi dagli impegni europei di convergenza dei redditi e sostegno ai settori deboli (lasciando questi impegni ai singoli stati) riservando parte delle risorse così risparmiate in parte ad una riduzione dei contributi all’Unione e ciò che resta a questa  in larga parte ai nuovi obiettivi essenzialmente affidati al mercato. Ciò che li rende autenticamente confederalisti è che anche loro aspirano ad una riduzione delle attività legislative comunitarie per affidare largamente la legislazione economica alle attività di produzione di contratti standard per adesione delle multinazionali (quindi a misura delle imprese di grandi dimensioni) contratti per adesione il cui controllo sia largamente affidato agli arbitrati privati. Da qui la richiesta di una riduzione degli apparati comunitari e di non adottare norme di armonizzazione dei diritti societari che eviterebbero di attirare società di comodo ai danni degli altri paesi comunitari. Questa normativa privata richiama le esperienze delle città della Lega Anseatica e fu chiamata dal prof. Galgano “lex mercatoria”. È chiaro che su questo gruppo pesa l’esperienza della Brexit senza gli autolesionismi messi in atto dal Regno Unito, ma come il Regno Unito membro saranno tentati dal ridurre piuttosto che aumentare le competenze europee, per questo sono a pieno titolo ascrivibili al gruppo dei Confederalisti, gruppo che giustamente farà fatica a definire politiche europee comuni, ma vi rinunzierà volentieri anche se con diversi obiettivi nazionali. L’articolo di Sergio Pistone è un’analisi critica dell’europeismo e del confederalismo.

Sulla via che prende l’europeismo ed i suoi risultati e mira a portarlo su quella verso la federazione, ritornerò in numeri successivi ora la strategia federalista è evidenziata in altri contributi a partire dal fondo di Luisa Trumellini che delinea la strategia del MFE nel quadro di quella UEF. Andare il 9 maggio 2020 nella città che sarà definitivamente prescelta come la sede del lancio della Conferenza per il futuro dell’Europa sarà lo stimolo dei federalisti ad affidare alla Conferenza ambiziosi obiettivi istituzionali e l’impegno a verificarne l’evoluzione e a stimolarla con la partecipazione attenta del popolo europeo e dei suoi delegati. Il fondo di Luisa Trumellini, la donna coraggiosa e saggia che guida il MFE detta le linee di azione insieme agli altri documenti che pubblichiamo e a quelli che sono messi in rete sul sito www.mfe.it e su quello promosso dal Movimento europeo.

 

  

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