Attraverso la lente del principio di democrazia, ripetuto come un mantra negli anni dalla sentenza sul Trattato di Maastricht in poi, la Corte costituzionale tedesca ha vagliato la compatibilità con la costituzione tedesca di molti passaggi del processo di integrazione europea, fino a giungere ai programmi di acquisto di titoli varati dalla BCE per far fronte alla crisi economica.
Il ragionamento della Corte è semplice: il diritto di voto previsto dall’articolo 38 della Costituzione tedesca conferisce agli elettori, attraverso il Bundestag, il diritto di influenzare e controllare l’esercizio del potere politico. Finché l’Unione europea rimane fondata sui trattati esistenti, che configurano un’organizzazione ancora dipendente dagli stati membri - i cosiddetti padroni dei trattati - qualsiasi atto dell’Unione che sottragga al Bundestag poteri sovrani e che dunque privi i cittadini tedeschi della possibilità di esercitare tale influenza e tale controllo sarà considerato ultra vires e non applicabile nell’ordinamento tedesco. Il trasferimento di poteri sovrani e la trasformazione dell’Unione in un’organizzazione autonoma dagli Stati membri e in grado di autodeterminare la propria condotta non può infatti avvenire attraverso un’avocazione a sé di detti poteri da parte delle istituzioni dell’Unione, prive della Kompetenz-Kompetenz, bensì richiede una consapevole rinuncia alla propria sovranità da parte degli Stati membri attraverso una procedura di revisione dei trattati che, secondo quanto dispone l’articolo 48 TUE, comporta un coinvolgimento dei cittadini attraverso la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.
Non è un caso che l’applicazione di questo principio al processo di integrazione europea risalga alla sentenza relativa alla ratifica del trattato di Maastricht. È a Maastricht, infatti, che, con la decisione di trasferire a livello europeo le competenze in materia di politica monetaria e di mantenere a livello nazionale la gestione della politica economica e fiscale, si sono introdotti nel processo di integrazione i germi di una contraddizione che negli ultimi anni si è manifestata con forza, e che ha reso l’Unione europea incapace di affrontare le sfide essenziali per la propria sopravvivenza. Sono ormai molte le manifestazioni di questa difficoltà, che si sono palesate anche negli ultimi mesi. È l’assenza in Europa di un vero bilancio federale di dimensioni adeguate e finanziato con risorse fiscali decise dalle istituzioni dell’Unione, in primis il Parlamento europeo, e in grado di intervenire con strumenti di solidarietà per sanare gli squilibri tra Stati membri ad aver reso necessario un intervento straordinario di acquisto di titoli da parte della BCE. Ma l’utilizzo di strumenti di politica monetaria per colmare l’assenza di politica economica e fiscale al medesimo livello da un lato espone la BCE al rischio di forzare i limiti delle proprie competenze, dall’altro non potrà continuare in eterno.
Per quanto scomodi, i rilievi fatti dalla Corte costituzionale tedesca ci ricordano dunque che per affrontare questi problemi sono necessarie scelte coraggiose, che sottraggano l’Unione europea dalla forza di inerzia dello status quo. E ci forniscono indicazioni importanti sulla via da seguire.
Il completamento dell’Unione Economica e Monetaria necessario per rendere l’Unione autonoma nella sua sfera di azione dagli Stati membri, e l’attribuzione al livello europeo di autonomia impositiva non potranno quindi avvenire sfruttando le disposizioni dei trattati in vigore, bensì richiedono una riforma degli stessi. E tale riforma sarà compatibile con il principio di democrazia solo se attribuirà all’organo rappresentativo dei cittadini europei, il Parlamento europeo, insieme al Consiglio, il potere di decidere su entrate e spese dell’Unione.
La palla passa dunque agli Stati, affinché aprano questo processo, e al Parlamento europeo, perché rivendichi una delle prerogative essenziali di ogni Parlamento, la potestà tributaria.