Fonte: Trans-european Transport Network, Commissione Europea

Con la presidenza di Mario Draghi la BCE ha assunto il ruolo di vero e unico argine alla crisi economica e finanziaria. In condizioni normali, alla politica monetaria dovrebbe affiancarsi quella fiscale nel combattere le fasi avverse del ciclo economico, cosa che in Europa non è avvenuta, nemmeno a livello nazionale, sia per via dell’elevato debito pubblico dei Paese mediterranei  sia per l’inazione dei Paesi con spazio fiscale disponibile. Dal canto suo, l’Unione Europea non ha avuto ampi margini di manovra a causa del ristrettissimo budget di cui dispone (il piano Junker ha raggiunto ottimi risultati considerata la limitatezza delle risorse a disposizione).

Nella sua ultima uscita prima di lasciare la guida della BCE, Draghi ha riavviato il Quantitative Easing nella misura di 20 miliardi al mese a partire da novembre (senza indicare una data fine). Risulta però chiaro come la politica monetaria stia raggiungendo i propri limiti. In primis, occorre rilevare come tale decisione sia passata a maggioranza (con almeno sette voti contrari). Inoltre sono sempre più evidenti gli effetti indesiderati di questo prolungato periodo di politiche monetarie ultra accomodanti. La redditività delle banche è sotto pressione. Fondi pensione e assicurazioni non hanno strumenti redditizi su cui investire. Il sistema finanziario è più instabile a causa dei maggiori rischi assunti dagli operatori alla disperata ricerca di rendimento. A tutto ciò si aggiungono anche limiti tecnici: la BCE ha attualmente un bilancio pari al 40% del PIL dell’Eurozona ed è prossima al raggiungimento del limite massimo di detenzione del 33% del debito pubblico complessivo di ciascuno Stato (in particolare per la Germania e l’Olanda).

Come sottolineato da Draghi, è dunque assolutamente necessario che le politiche fiscali facciano la loro parte. Anzitutto, tramite politiche espansive da parte di quegli Stati con ampio spazio di bilancio, ma soprattutto mediante investimenti europei, proposti e gestiti dalla Commissione, in grado di creare sviluppo e sostenere l'occupazione. Perché un’unione monetaria funzioni, è necessaria la contemporanea presenza di un'unione fiscale con un budget federale sufficientemente ampio.  Nella situazione attuale, l'adozione di investimenti europei consentirebbe di alleviare la pressione sulla politica monetaria.

L’economia sostenibile ha bisogno di investimenti pubblici per la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici. Investimenti strutturali, i cui benefici si propagano nel tempo e nello spazio, tra diverse generazioni e diversi Stati, dunque consoni a una gestione pubblica europea.

Per effettuare investimenti occorrono risorse, quelle risorse proprie di cui l’Europa non dispone. In tal senso andrebbe l’istituzione di una Carbon Tax europea, che doterebbe la Commissione di risorse atte a effettuare “investimenti verdi” mirati per lo sviluppo e la transizione verso un’economia carbon-neutral prima che sia troppo tardi. Essa avrebbe anche una valenza sociale, in quanto dovuta da quegli operatori che provocano inquinamento per compensare la collettività del danno subito e allo stesso tempo fungere da deterrente alla produzione di inquinamento.

The New Normal

Christine Lagarde si troverà ad affrontare un contesto macroeconomico del tutto inedito. Alcune delle regole su cui si è basata l’economia negli ultimi decenni sembrano non essere più valide. L’inflazione è estremamente bassa, nonostante i prolungati stimoli monetari e la disoccupazione ai minimi in diverse economie avanzate. La curva di Phillips, la supposta relazione inversa tra inflazione e disoccupazione, sembra scomparsa,  a causa di diverse forze che stanno schiacciando l’inflazione. La globalizzazione implica che i prezzi non per forza rispecchino le condizioni del mercato del lavoro locale. Si è inoltre venuto a creare un grande eccesso di risparmio, il che si traduce in domanda più debole e tassi di interesse più bassi. Non si tratta di una situazione momentanea, l’eccesso di risparmio è dovuto a fenomeni strutturali, principalmente l’invecchiamento della popolazione e lo spostamento verso un’economia di servizi a minor intensità di capitale. Dopo anni di bassa inflazione, gli operatori si aspettano che la situazione possa durare, aspettativa che viene incorporata nelle negoziazioni salariali e nel fissaggio dei prezzi, contribuendo a tenere effettivamente bassa l’inflazione (una cosiddetta “aspettativa autorealizzante”).

Ci troviamo in un contesto storico-economico in cui la risposta alle politiche monetarie non è così lineare come immaginato, date le acque inesplorate di espansione monetaria in cui navighiamo.

Dunque, la soluzione sembra scontata. Più politica fiscale in generale. Più investimenti europei nello specifico, come sottolineato da Draghi nel suo magistrale discorso tenuto all’Università Cattolica l’11 ottobre scorso.  Tra i vari punti salienti, il tema del coraggio, caratteristica fondamentale per un policymaker (sia esso un governante o un banchiere centrale) in un periodo storico inedito. La tentazione di non agire può essere forte. Ma non agire non significa non decidere. Significa decidere di accettare lo status quo. Se i Governi nazionali non si adoperano affinché l’Unione abbia la possibilità di espandere il proprio bilancio, vuol dire che accetteranno la situazione economica e climatica esistente. I tempi sono maturi per muoversi in tal senso. Bisogna avere molto coraggio.

 

 

 

  

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