Nel corso degli ultimi mesi ormai migliaia di persone hanno sentito la necessità di scendere in piazza per manifestare contro la Lega di Matteo Salvini.
I detrattori dell’ormai famosa iniziativa delle “Sardine” sottolineano la peculiarità di un movimento di piazza che nasce per criticare un partito di opposizione. Un senso ben più profondo di una mera protesta anti-Lega caratterizza però queste manifestazioni. Chi scende in piazza percepisce la necessità, più o meno consapevole, di agire secondo un insieme “necessario” di valori comuni democratici. Già questo elemento, al di là del mero fazionismo, deve pur significare qualcosa nella povera cornice del dibattito pubblico nazionale.
Individuare chi siano effettivamente queste “Sardine” non è semplicissimo.
Probabilmente sono persone che sentono di dover far qualcosa contro la pericolosa deriva che sta prendendo il nostro Paese, o semplicemente che ritengono necessario affermare l’esistenza di un’alternativa alle derive politiche che da troppo tempo caratterizzano la politica italiana – e non solo.
Sabato 14 dicembre le “Sardine” si sono riunite in piazza San Giovanni, a Roma e anche i federalisti (presenti in forze per il contemporaneo svolgersi dei lavori del Comitato Federale) hanno deciso di scendere in piazza. Avrete senz’altro visto foto e video del bel gruppo di militanti di tutte le generazioni sventolare “sardine europee” (lavoro di artigianato che ha permesso un grande effetto). Eravamo tanti, tra i pochissimi con uno slogan caratterizzante e tutti identificabili. L’effetto è stato davvero straordinario (con tanto di prima pagina su Libération) e si inserisce in quell’opera di “egemonizzazione culturale” che già altri federalisti stanno facendo in tutta Italia, persino gestendo una pagina sui social ad hoc: “sardine europee”, appunto.
Anche io mi ero soffermato a riflettere se fossi tra coloro che sentono di dover partecipare a tali manifestazioni.
Ho optato per il sì e mi sono dato le mie ragioni, assolutamente soggettive, che però volevo condividere.
Non sono mai stato un grande fan delle “mobilitazioni contro”, eppure stavolta ho sentito dentro il dovere morale di prendere le distanze da un modo perverso di fare politica e da alcuni messaggi che minacciano la tenuta della nostra democrazia piuttosto che da una specifica parte politica.
Sono sceso in piazza perché i toni del dibattito politico hanno raggiunto dei toni allarmanti e la riabilitazione di paradigmi autoritari e xenofobi è preoccupante e pericolosa.
Sono sceso in piazza perché non voglio nessun uomo forte al potere; vorrei che ad essere forti siano le istituzioni democratiche del nostro Paese e del nostro continente.
Sono sceso in piazza perché la democrazia non si fonda su plebisciti e non è bieca e strumentale ricerca del consenso; la Politica, quella vera, si deve occupare di dare una visione all’Italia e all’Europa, non di evitare o aggravare gli svariati problemi che abbiamo davanti per racimolare qualche voto in più.
Sono sceso in piazza perché non mi arrendo ai sondaggi e sono tra coloro che credono in libertà e democrazia, principi fondanti del nostro assetto costituzionale, che non possono, per nessuna ragione, essere smontate a colpi di referendum o plebisciti. Sono sceso in piazza perché voglio esprimere la necessità di un’alternativa politica alla narrazione neo-nazionalista ed autoritaria, in un mondo politico in cui tale alternativa continua ad essere latitante.
Sono sceso allora in piazza anche per dare un monito ai partiti che vedono con favore questi movimenti dei cittadini: lo spontaneismo di gran parte della società civile prova a dare risposte e segnali, laddove i partiti che dovrebbero rappresentarla continuano a non riuscire ad incanalare e dare voce e rappresentanza istituzionale a tali forze.
Sono sceso in piazza perché odio, razzismo e xenofobia non fanno parte dei valori per cui mi sento orgogliosamente italiano ed europeo.
Sono sceso in piazza e ho cantato l’inno italiano perché scritto da chi combatteva per la Repubblica e la democrazia, non certo per giustificare nazionalismi, dittature o autoritarismi.
Sono sceso in piazza perché non voglio veder costruito il mio domani in nome di un falso ritorno ad un passato idealizzato; il futuro della mia generazione e di quelle che verranno lo vorrei vedere costruito sui principi per cui generazioni di italiani ed europei si sono battuti.
Sono sceso in piazza perché la Resistenza non è finita e non finirà fin quando non saranno debellati alla radice le degenerazioni del nazionalismo, vere origini di divisioni, guerre e dittature.
Sono sceso in piazza e ho cantato “Bella ciao” perché è un inno della Resistenza, quella vera, che appartiene a tutti coloro nel mondo che credono nella libertà e non ad una singola parte politica, qualunque essa sia.
Sono sceso in piazza perché sono un militante federalista e i fatti della politica italiana sono troppo spesso in contraddizione con i valori in cui credo.
Sono sceso in piazza perché le retoriche nazionaliste stanno distruggendo il nostro Paese. Insieme ad altre migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Europa abbiamo un modello diverso da proporre.
Sono sceso in piazza perché immagino un’Italia ed un’Europa fondate sui principi di sussidiarietà e solidarietà, dove le istituzioni siano in grado di dare risposte concrete ai problemi dei cittadini, a qualsiasi livello, dove la diversità sia un valore e non un problema, dove i conflitti derivati da interessi contrastanti siano risolti da regole comuni e non da prove di forza e slogan demagogici.
Sono sceso in piazza perché come persona e cittadino sono convinto che noi tutti ci meritiamo di meglio.
Sono sceso in piazza con tanti altri compagni e amici federalisti e ne è valsa davvero la pena.