Quello dell'integrazione europea è un tema ampio e complesso, che riguarda non solo l'organizzazione istituzionale e l'armonizzazione legislativa, ma anche e soprattutto la coesione fra i popoli che dell'Europa fanno parte o vi trovano accoglienza.

Quello dell'integrazione europea è un tema ampio e complesso, che riguarda non solo l'organizzazione istituzionale e l'armonizzazione legislativa, ma anche e soprattutto la coesione fra i popoli che dell'Europa fanno parte o vi trovano accoglienza. Si tratta della capacità di far dialogare culture e tradizioni diverse e di aiutare chi è più in difficoltà, perché è interesse di tutti ridurre gli squilibri. Proprio per questo l'Unione Europea spende circa un terzo dei propri fondi in programmi di finanziamento (sviluppo regionale, fondo sociale, fondo di coesione) in base al principio di sussidiarietà, che si pone l'obiettivo di conciliare le identità storico- culturali delle collettività locali con esigenze di omogeneità sociale ed economica.

Tra i popoli europei esistono comunità, come Rom, Sinti e Camminanti (RSC), che, a causa di un'antica tradizione di nomadismo, non sono normalmente associate ad un'area geografica e, addirittura, vengono spesso confuse con gli immigrati di recente approdo. In passato giravano da un paese all'altro come giostrai e circensi (in Italia sono di origine sinti le famiglie Togni e Orfei), ma da tempo hanno abbandonato queste abitudini per soluzioni stanziali e lavori convenzionali.

Come in altre realtà regionali ed europee, sono sorte negli ultimi anni tensioni sociali tra le comunità RSC ed alcune amministrazioni locali: ad esempio, a Gallarate vive da tempo, in un campo ben tenuto fuori dall'area urbana, una comunità di Sinti che oggi, con una motivazione di normalizzazione edilizia, è minacciata di sgombero e allontanamento dal territorio comunale dall'attuale amministrazione (a guida leghista). La mobilitazione di molte Associazioni locali ne ha fatto un caso politico: una decisione amministrativa, per quanto formalmente motivata, non può violare la dignità delle persone, e l’europarlamentare Cécile Kyenge, che ha visitato il campo nomadi, ha annunciato in merito la presentazione di un’interrogazione parlamentare alla Commissione Europea.

Su questa materia la Commissione Europea ha emesso nel 2011 una Comunicazione (173/11) atta a disciplinare le strategie nazionali d’integrazione delle comunità RSC. La Comunicazione parte dall'osservazione che tale minoranza etnica affronta nella sua vita quotidiana pregiudizi, intolleranza, discriminazione ed esclusione sociale e, così emarginata, vive in critiche condizioni socio-economiche. Ne deduce che occorre un'azione decisa, intrapresa sulla base di un dialogo attivo, e afferma che la responsabilità primaria in questo campo è delle autorità pubbliche. Indica come settori d’intervento prioritari l'accesso all'istruzione, all'occupazione, all'assistenza sanitaria e all'alloggio.

A seguito di questa comunicazione l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), facente capo al Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, ha prodotto una “Strategia nazionale di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti”. Questo documento afferma innanzitutto che la strategia si propone di “sottrarre il fenomeno ad una trattazione meramente emergenziale, […] soggetta a storture o strumentalizzazioni di tipo mediatico e potenzialmente subordinata ad approcci solo emotivi o contingenti”.

L'obiettivo finale della strategia è l'integrazione delle comunità emarginate nel tessuto sociale, promuovendo allo scopo la convergenza fra interventi di diversi soggetti e strumenti: amministrazioni locali, fondi comunitari, volontariato. Su questa base, un uso sinergico ed efficiente di risorse pubbliche è in grado di produrre “effetti duraturi e visibili in termini di integrazione sociale e sicurezza percepita dalla popolazione”.

La strategia richiede anche “un'azione sistematica di informazione e mediazione”. In particolare si raccomanda che la mediazione sociale e culturale vada oltre l'approccio assistenziale e favorisca la responsabilizzazione delle comunità presso i decisori politici, “contribuendo a rimuovere i pregiudizi e diffondere una immagine diversa dagli usuali stereotipi”.

Una preoccupazione evidenziata è quella di armonizzare l'identità storico-culturale presente nelle comunità con i diversi modelli e contesti in cui crescono i giovani, che, se non adeguatamente orientati, possono risultare “facilmente esposti a fattori ed ambienti ad elevato rischio di devianza”.

Il piano strategico lamenta l'inadeguato livello di istruzione media nei cittadini di origine Rom, Sinti e Camminanti (RSC) come una delle principali cause della loro precaria condizione di vita e delle difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Nonostante tentativi normativi e pratici di coinvolgimento degli studenti RSC, permangono bassi livelli di iscrizione, dispersione scolastica, e anche ostilità dell'ambiente nei confronti del loro inserimento in classe.

D'altra parte la scuola è l’unica occasione di contatto e di confronto dei minori ed adolescenti RSC con i loro coetanei, nonché di coinvolgimento delle loro famiglie nelle proposte didattiche e nel dialogo con gli altri genitori. Per questo il piano sostiene che il processo d’integrazione deve partire dalla scuola.

Per quanto riguarda il lavoro il piano cita alcuni settori che sembrano prestarsi più facilmente all'inserimento, quali lavori agricoli, alcune forme di artigianato, manutenzione del verde (pubblico e privato), raccolta e vendita abbigliamento usato, pulizia strade e immobili, sartoria, ristorazione e catering. Ciò può avvenire sotto forma di lavoro autonomo o con la partecipazione a cooperative sociali. In generale si sostiene che occorre favorire l'accesso alle opportunità presenti nel mercato del lavoro mediante percorsi di accompagnamento, con la mediazione di istituzioni, servizi di orientamento al lavoro, parti sociali e Terzo Settore.

Per gli aspetti socio-sanitari le autorità competenti sono tenute ad effettuare rilevazioni sistematiche; ad offrire alcune prestazioni, in specifico le vaccinazioni; a promuovere l’iscrizione al SSN; a favorire l’accesso a servizi di medicina preventiva, con particolare riferimento alla salute riproduttiva e materno-infantile; a coinvolgere i RSC nei servizi sociali, anche mediante l’inserimento di mediatori culturali.

Sulla questione abitativa il piano afferma che occorre passare dal tradizionale e inadeguato metodo degli sgomberi a una programmazione di interventi con gli attori locali istituzionali e non, “nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone coinvolte nel percorso di inserimento sociale”. Aggiunge che “non può esservi vera inclusione abitativa se la condizione dell’abitare non viene contemplata nella sua dimensione sociale. […] I temi del lavoro, della scolarizzazione, dell’interrelazione con le comunità dei residenti, sono tutti imprescindibili e vanno tenuti in costante considerazione nel momento in cui vengono effettuati interventi di accompagnamento all’uscita dai campi.”

Il caso dei sinti di Gallarate non presenta caratteristiche di emergenza sotto nessun aspetto e, dato anche il livello di attenzione che sta ricevendo, costituisce un esemplare banco di prova per capire se stiamo andando verso il rispetto di una logica di cui l'Unione Europea ha ben delineato i principi o se invece finisca col prevalere l'insofferenza di chi non comprende che un buon processo di integrazione è in grado di trasformare i “problemi” in risorse.
Più in generale, in linea con i valori costitutivi dell'Unione Europea, è proprio l'inclusione di comunità diverse, per nazionalità e tradizioni culturali, il modo per costruire un’autentica identità europea

 

Breve scheda sulle comunità RSC:
Originariamente nomadi, arrivano dall'India in Europa a partire dal XV sec., passando per Medio Oriente e paesi balcanici.
L'attuale presenza in Europa è stimata in 12-15 milioni di RSC, di cui 9-10 milioni nell'Unione Europea (pari al 2% della popolazione).
In Italia se ne contano circa 140 mila (pari allo 0,23% della popolazione), di cui 26 mila considerati in emergenza abitativa.
Hanno assimilato lingue e religioni dei luoghi di insediamento. Parte di loro (4-5 milioni) parla, in dialetti vari, il romanì, lingua tradizionale di ceppo indo-europeo. Le religioni più diffuse sono quelle cristiana e musulmana.

  

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