“Un gruppo di cittadini coscienti e impegnati può cambiare il mondo, non ne dubitate. Nient'altro, a dire il vero, ha mai potuto farlo.”
I confinati di Ventotene non conoscevano questa decisa affermazione della grande antropologa Margaret Mead, ma erano sicuramente convinti della sua profonda verità, nonostante Hitler in quell'estate del 1941 avesse ormai imposto il suo Neue Ordnung a quasi tutta l'Europa.
In più di settant'anni di vita il Movimento Federalista Europeo ha conservato quello spirito battagliero e l'ha messo tante volte alla prova con successo. Mai forse una manifestazione di piazza è apparsa tuttavia più temeraria di quella del 25 marzo a Roma. L'ultimo tentativo riuscito risaliva al corteo organizzato a Nizza nel 2000. Allora si era però sull'onda di una serie di successi culminati alla fine del secolo con la creazione dell'euro e con l'approvazione della Carta dei diritti fondamentali. Inoltre vi era la prospettiva di far avanzare il processo ancora più velocemente con l'elaborazione di una costituzione europea, come poi avvenne sulla base della Dichiarazione di Laeken del 2001. Lo stesso allargamento, che portò dal 2004 al 2007 al quasi raddoppiamento degli Stati membri, veniva visto come una prova della straordinaria capacità di attrazione dell'Unione europea.
La bocciatura del Trattato costituzionale nei due referendum del 2005 è stato indubbiamente il fatto traumatico che ha impaurito le classi dirigenti e le ha fatte ripiegare su quel Trattato di Lisbona condotto in porto dopo quattro anni di trattative e di compromessi. Se si aggiungono le divisioni provocate dagli Stati Uniti ai tempi della guerra in Iraq e poi gli effetti drammatici della crisi economico-finanziaria, si ha un quadro abbastanza completo della situazione di isolamento in cui sono venute a trovarsi le forze federaliste ed europeiste.
Non era certo la prima volta che si verificava un simile contesto ed i federalisti sanno bene che in tali frangenti sono destinati a rimanere soli sul campo, come aveva ben previsto Machiavelli parlando dei tiepidi sostenitori. Ma i federalisti sanno altrettanto bene che sarebbe un errore fatale cullarsi nella logica dei “pochi ma buoni” o ridursi alla pura testimonianza. Occorre invece rompere l'accerchiamento ed essere disposti a sfidare gli avversari sul loro stesso campo di battaglia, se non si vuole essere sopraffatti.
Come si è scritto sull'ultimo numero di questo giornale, la strategia prevedeva tre tappe: dapprima una risposta da parte delle istituzioni europee; poi la spaccatura del fronte dei governi; infine la sfida diretta ai nazionalisti nella mobilitazione di piazza. Non è il caso di ripetere che le decisioni della BCE, l'approvazione dei tre Rapporti Bresso – Brok, Verhofstadt e Berès – Böge da parte del Parlamento europeo e la presentazione del Libro Bianco della Commissione hanno rappresentato, pur con i limiti propri delle tre istituzioni, un primo punto di svolta. Due decisi colpi di frusta hanno favorito queste reazioni: il risultato del referendum britannico, che ha fatto balenare il rischio concreto di una dissoluzione dell'UE, e l'elezione di un presidente americano schierato apertamente contro l'unificazione europea. Sono i fattori che hanno spinto pure alcuni governi a non restarsene con le mani in mano ad osservare il declino di un Vecchio Continente stretto nella morsa tra Trump e Putin.
Alcuni segnali facevano presagire anche una risposta popolare a questi pericoli di disgregazione. La Marcia per l'Europa si è posta l'obiettivo di cogliere l'occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma per coagulare questo incipiente consenso, farlo emergere sulla scena e sconfiggere populisti e nazionalisti sul loro stesso terreno. Non sono mancate in questi mesi numerose voci che ci hanno messo in guardia da un tentativo ritenuto perdente in partenza, per non dire fallimentare. Ora possiamo dirlo a voce alta: non si trattava di buon senso, ma solo di paura. Il nostro non era infatti avventurismo né sterile movimentismo. La nostra decisione nasceva dalla scelta razionale di non lasciare le piazze ai soli avversari dell'unità europea. Era certamente una scommessa, ma una scommessa obbligata per un Movimento che si è sempre definito l'avanguardia del popolo europeo. Chi rifiuta di fare una battaglia l'ha in realtà già persa.
Come dimostrano le molte pagine dedicate in questo numero alla Marcia per l'Europa, abbiamo vinto la sfida sia sul piano dei numeri che sui mezzi di comunicazione, in particolare su quelli degli altri Paesi europei. C'è una controprova che rivela quanto sia stata opportuna quella scelta: noi abbiamo realizzato molte iniziative tra il 24 ed il 25 marzo, ma solo la Marcia ha finito per catalizzare l'attenzione dei politici, dei media, della stessa opinione pubblica. Perché quello era il campo del confronto e noi c'eravamo, ci siamo battuti ed abbiamo prevalso.
A scanso di equivoci e di facili illusioni, abbiamo vinto solo una battaglia, non la guerra col nazionalismo, che sarà ancora lunga e difficile. La manifestazione di Roma è un punto di partenza, non d'arrivo. E' probabile, come sta già avvenendo, che il risveglio del popolo europeo sia già in atto, ma non dobbiamo dimenticare l'ammonimento di Spinelli: “Mentre la vita dei popoli è, in generale, determinata dalla coscienza media delle maggioranze, tutti i grandi cambiamenti nella vita dei popoli non sono mai opera delle maggioranze, né della coscienza media. Sono opera delle minoranze attive che sanno rappresentare ed esprimere gli interessi ed i sentimenti latenti delle maggioranze” Ecco il nostro compito: esprimere gli interessi ed i sentimenti latenti della maggioranza del popolo europeo e soprattutto indicargli la strada per incarnare i desideri ed i valori in istituzioni federali. Perché non basteranno certo le bandiere europee nelle piazze a sconfiggere il mostro del nazionalismo, come non sono bastate le imponenti dimostrazioni pacifiste seguite all'intervento americano in Iraq ad impedire la divisione dell'Europa. Senza un progetto coerente che faccia emergere, a partire dall'Eurozona, un nucleo di Paesi in grado di avanzare verso la Federazione europea, quelle iniziative resterebbero solo manifestazioni di buona volontà.
Non è quindi il tempo dei compiacimenti. Dopo le celebrazioni del 25 marzo, il Presidente della Commissione Juncker ha dichiarato di fronte al Parlamento europeo: “A Rome, nous avons renouvelé nos vœux de mariage. Nous l'avons fait avec choix et fierté, avec le sentiment d'avoir accompli, sans l'avoir terminé, notre devoir continental. Loin de là, nous allons continuer à bâtir l'édifice européen avec une énergie renouvelée. Lorsque nous étions réunis à Rome, au même moment dans beaucoup de villes européennes une mobilisation citoyenne et populaire en faveur de notre projet commun s'exprimait avec vigueur. Et je voudrais saluer à partir d'ici et avec une certaine émotion tous ceux qui dans nos rues et sur nos places publiques marchent pour l'Europe. Ils me rappellent l'ardeur des pères fondateurs de l'Europe.” Nei prossimi anni noi dobbiamo mantenere vivi quel vigore e quell'ardore perché si possa finalmente portare a compimento quel “dovere continentale” per cui ci battiamo dal 1943.