In un momento nel quale il dibattito sulla riforma dell’Unione europea è in corso e sembra aprirsi la possibilità – anche grazie alle proposte avanzate da Emmanuel Macron nel suo discorso alla Sorbona – di una riforma dei trattati, è importante definire in modo chiaro i limiti degli attuali meccanismi di funzionamento dell’Unione e comprendere verso quale modello una riforma di questa dovrebbe orientarsi. In questo quadro, notevole interesse riveste il libro di Sergio Fabbrini “Sdoppiamento” (Laterza, 2017), nel quale vengono affrontate due questioni cruciali del processo di integrazione europea: da un lato la questione della creazione di un nucleo più integrato di Stati all’interno dell’Unione, dall’altro la questione delle modalità di tale trasformazione e del metodo sul quale il funzionamento del nucleo politico dovrebbe fondarsi.
Fabbrini parte dalla constatazione che l’Unione europea funziona in modo differente nei vari settori. Accanto al mercato unico, che si basa sul cosiddetto metodo comunitario, vi sono infatti settori che costituiscono il nucleo della sovranità statale (politica economica, politica estera e di difesa, immigrazione) che si fondano sul cosiddetto metodo intergovernativo. Mentre il mercato comune ha dato prova di funzionare bene, i settori ora citati – in particolare l’Unione economica e monetaria - costituiscono le aree di competenza nelle quali le crisi degli ultimi anni si sono manifestate, e il metodo sul quale il loro funzionamento è basato (preminenza degli organi di Stati, decisioni all’unanimità, assenza di controllo giurisdizionale) non solo si è rivelato inidoneo a risolverle, bensì le ha accentuate.
Per uscire da tale impasse, è necessario prendere atto del fatto che alcuni Stati membri concepiscono il processo di integrazione come processo puramente economico, mentre altri, cedendo la propria competenza in ambito monetario, hanno di fatto accettato forti limitazioni della propria sovranità: nel futuro assetto dell’Unione dovrebbero dunque convivere un mercato comune e un gruppo di Stati uniti politicamente. La riflessione di Fabbrini sia sulle modalità attraverso le quali raggiungere questo obiettivo sia sui meccanismi che dovrebbero caratterizzare il funzionamento del nucleo politico è particolarmente rilevante per la riflessione federalista, dal momento che offre una prospettiva originale rispetto a quella sostenuta da molti studiosi. Se l’opinione corrente tende infatti a contrapporre metodo comunitario e metodo intergovernativo e a ritenere che la soluzione alla crisi dell’Unione consista nell’estensione del primo anche ai settori oggi regolati dal secondo, secondo Fabbrini occorre uscire da tale prospettiva ed adottare una strategia della discontinuità, sia per quanto concerne le modalità attraverso le quali passare dall’attuale assetto istituzionale a un’Unione nella quale coesistano un mercato comune e un nucleo politico, sia per quanto riguarda i meccanismi in base ai quali tale nucleo dovrebbe funzionare.
Per quanto concerne il primo aspetto, Fabbrini nota come il passaggio dall’attuale Unione europea alla creazione di due cerchi, costituiti l’uno dagli Stati che fanno parte unicamente del mercato unico e l’altro dagli Stati che decidono di unirsi politicamente (plausibilmente gli Stati dell’eurozona) debba passare necessariamente per una dichiarazione di intenti politici firmata da questi ultimi con la quale essi si impegnano ad avanzare verso un’unione più stretta. Senza tale dichiarazione - un patto costituzionale tra i paesi dell’eurozona – non possono infatti essere poste le basi per la creazione di due livelli differenti di integrazione.
Quanto al secondo aspetto, rivestono interesse sia la descrizione che viene tracciata dell’attuale funzionamento dell’Unione, sia il tentativo di definire un modello che l’assetto del futuro nucleo politico dovrebbe seguire.
L’attuale assetto istituzionale dell’Unione, per quanto concerne il funzionamento del mercato unico, è caratterizzato secondo Fabbrini da un quadrilatero decisionale: il potere legislativo è esercitato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, il potere esecutivo da Consiglio europeo e Commissione. L’esecutivo ha dunque un carattere duale e, nell’ambito di questo, il Consiglio europeo riveste il ruolo di una sorta di capo di Stato collegiale. Quanto al rapporto tra le varie istituzioni, non vi è un reale rapporto di fiducia tra nessuna di esse: se è infatti vero che il Parlamento europeo può votare una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione, non va dimenticato che questa non si fonda su valutazioni di carattere politico, bensì su valutazioni di carattere tecnico. Inoltre, la Commissione non ha il potere di sciogliere il Parlamento europeo, né il Parlamento europeo può, ovviamente, obbligare il Consiglio a dimettersi, essendo tale ultimo organo composto di Ministri degli Stati membri.
Al mercato unico si affianca poi l’Unione economica e monetaria, ambito regolato da meccanismi di carattere intergovernativo, che hanno sostituito la discrezionalità politica con procedure stabilite anticipatamente e che si fondano sostanzialmente su rapporti di forza tra gli Stati membri.
Se tale ultimo settore non può essere preso a modello per la creazione di un nucleo politico dell’Unione, neppure l’assetto istituzionale che caratterizza il mercato comune costituisce, a parere di Fabbrini, un modello adeguato.
Le particolarità dell’Unione europea, organizzazione formata da Stati sovrani consolidati e fondati su tradizioni molto radicate, fa sì infatti che mal si adatti a un futuro assetto di un nucleo politico tra gli Stati dell’eurozona un modello centralizzato ed espressione di un parlamentarismo federale quale il metodo comunitario. Vi è infatti, secondo Fabbrini, una differenza fondamentale tra Stati federali formatisi attraverso il decentramento di Stati unitari e federazioni creatasi per aggregazione di Stati. Queste ultime –in particolare gli Stati Uniti - combinano elementi federali ed elementi confederali, cosicché anche laddove il centro federale ha competenze esclusive, l’esercizio della sua autorità è sottoposto a vincoli particolari. Come nota Fabbrini, la federazione americana spacchetta la sovranità statale senza cancellarla, e Stati membri e federazione sono entrambi sovrani in ambiti separati.
Al di là della discussione sul concetto di sovranità, uno dei più complessi della teoria politica, ciò che assume rilievo ai fini di una riflessione sul futuro dell’Unione europea è il tentativo operato da Fabbrini di applicare tale modello all’architettura istituzionale di un futuro nucleo federale. Il problema del ruolo degli Stati membri nell’ambito di tale nucleo è infatti cruciale in un contesto, quale quello europeo, nel quale lo Stato nazionale è nato e si è sviluppato. Ora, secondo Fabbrini, per rispondere alla necessità di creare un’entità politica che abbia il potere di rispondere alle sfide odierne ma che al contempo non sia accentrata, né annulli il potere degli Stati membri, è necessario dar vita a un nucleo nel quale il potere legislativo sia esercitato da un Parlamento bicamerale e il potere esecutivo sia gestito da un Esecutivo bicefalo. In particolare, per quanto concerne l’organo legislativo, esso sarebbe composto da una camera rappresentativa dei cittadini e da una camera rappresentativa degli Stati e dovrebbe essere dotato di un potere di tassazione autonomo e di un proprio budget. Quanto al potere esecutivo, esso sarebbe esercitato da un lato dalla Commissione, dall’altro dal Consiglio europeo, il cui Presidente sarebbe eletto secondo modalità che lo renderebbero più indipendente dai membri di tale organo di quanto non lo sia oggi (i capi di Stato e di Governo dovrebbero selezionare ciascuno due candidati e questi sarebbero sottoposti al voto di elettori presidenziali organizzati in collegi elettorali nazionali). I due rami dell’esecutivo avrebbero così due legittimazioni diverse: la Commissione riceverebbe la sua legittimazione dal Parlamento; il Presidente del Consiglio europeo dai governi nazionali e dagli elettori presidenziali, cioè dai cittadini.
Un modello di tale genere sarebbe in grado secondo Fabbrini di conciliare la necessità che il nucleo federale possa prendere decisioni efficaci e sia dotato delle risorse per agire con l’esigenza che il ruolo degli Stati membri non sia eccessivamente compresso, come avverrebbe invece se la rappresentanza degli Stati fosse garantita unicamente nella Camera alta dell’organo legislativo. Si tratta di un problema che si era posto già in occasione della redazione del Trattato istitutivo di una Comunità politica europea che avrebbe dovuto affiancare il Trattato CED, laddove accanto a un Parlamento bicamerale e a un Consiglio esecutivo (il governo della Comunità) si attribuiva un ruolo anche al Consiglio dei Ministri, organo formato da rappresentanti degli Stati membri. Ed è una questione sulla quale, in vista di una revisione dei trattati, una riflessione è più che opportuna.