Il 1° ottobre scorso oltre 2 milioni di cittadini europei residenti in Catalogna si sono recati alle urne per votare l’indipendenza della Catalogna dallo Stato spagnolo. Com’era facile prevedere, il Tribunale Costituzionale spagnolo aveva da subito dichiarato incostituzionale la legge referendaria di inizio settembre, poiché in violazione palese del principio fondamentale di unità dello Stato spagnolo. Inoltre, la legge violava anche lo stesso Statuto catalano che prevede una maggioranza qualificata per indire un referendum.

Il caos è iniziato subito dopo, con le principali società commerciali e banche che si affrettavano a trasferire la propria sede fuori dalla Catalogna, temendo che la situazione precipitasse e che da un giorno all’altro Barcellona si sarebbe trovata fuori dall’UE. Apparentemente, il referendum allontanerà i catalani dal risultato sperato, quando il governo spagnolo, attivando i poteri previsti dall’art. 155 della Costituzione, “commissarierà” la Catalogna revocando l’autonomia. Non possiamo sapere, al momento, quali saranno gli sviluppi della situazione, ma da federalisti possiamo svolgere alcune considerazioni.

  • La storia dei rapporti di forza tra Madrid e Barcellona nell’ultimo decennio è quella di una serie di richieste di maggiore autonomia, non solo fiscale, sempre respinte dal governo centrale. In questo clima è stato facile per alcuni politici cavalcare una spinta indipendentista che veniva disegnata come l’unica via per ottenere maggiore autonomia. Questa promessa si è rivelata una truffa e oggi la Catalogna è in un vicolo cieco, dal quale tutti speriamo che esca senza incidenti. A patirne non sarebbero solo i catalani, ma tutti gli spagnoli e gli europei. Una guerra civile o la disgregazione della Spagna avrebbe effetti dirompenti anche sulla struttura europea, che si troverebbe davanti a una situazione di instabilità interna senza precedenti, anche per le possibili reazioni degli altri movimenti indipendentisti che agitano molti stati membri.
  • Diversamente dalla Brexit, il referendum catalano non è stato presentato come un “attacco all’UE”, anzi molti degli indipendentisti catalani si professano europeisti e hanno chiesto aiuto alle istituzioni europee. Ma a ben vedere l’ideale europeo è l’esatto opposto “politico” delle ragioni indipendentiste. Se infatti l’UE nasce per realizzare l’unità nella diversità, gli indipendentisti desiderano una divisione fondata sulle diversità. Se la prima si è occupata di distruggere i confini per condividere la sovranità, i secondi vogliono costruirne di nuovi per recuperarne una assoluta. Se l’UE è testimone della convivenza pacifica (perché sotto comuni istituzioni) tra identità storiche e culturali diverse, gli indipendentisti rivendicano un confine per ogni identità storica e culturale. L’unità europea e il secessionismo sono le due risposte, opposte, che possiamo dare a una domanda originaria: come fronteggiare la progressiva asfissia dello Stato nazione?
  • La comunità politica catalana non crede più che il governo nazionale sia da solo in grado di risolvere i suoi problemi e chiede che alcune competenze e poteri siano trasferiti a livello regionale. Allo stesso modo, la comunità politica europea non crede più che i governi nazionali possano risolvere i suoi problemi e chiede che alcune competenze e poteri siano trasferiti a livello europeo. Entrambe le istanze possono trovare soluzione nel quadro di un sistema federale, dove il livello nazionale è solo uno dei livelli di governo (locale, nazionale ed europeo) in cui si possa esercitare la sovranità. Il federalismo consente dunque di realizzare l’autonomia dei livelli di governo garantendo insieme l’unità e quindi la pace.
  • Ed è questa la grande contraddizione della vicenda catalana: invece che essere una lotta per garantire la convivenza di livelli di governo autonomi e coordinati, tutti in Spagna cercano di spostare su un solo livello di governo tutti i poteri. Madrid per Rajoy, Barcellona per Puigdemont. L’indipendentismo nasce in risposta al “nazionalismo” del governo spagnolo, ma allo stesso tempo si propone come un altro nazionalismo, sostenuto dalle forze nazionaliste di destra e di sinistra.
  • In Europa stiamo vivendo una grande transizione dal modello dello Stato nazionale a quello dello Stato sovranazionale. Mentre il vecchio modello non risponde più alle esigenze dei cittadini, quello nuovo tarda a sorgere. Come scrive Bernard Guetta (Internazionale, 12 settembre 2017) “il problema è che gli stati europei s’indeboliscono più rapidamente di quanto l’Unione si rafforzi, e questo crea un preoccupante vuoto”. Tra queste due sponde sta la fase di transizione, necessaria in tutti i processi storici. Mentre la teoria federalista offre una visione istituzionale precisa sul modello futuro, l’azione federalista ha proposto e propone una gestione della transizione, che è quella del trasferimento democratico, inclusivo e pacifico di alcuni poteri al livello europeo.

Lungo la strada troviamo persone che riconoscono la crisi di questo modello e vorrebbero superarlo. Il fatto che lo facciano percorrendo strade sbagliate è un nostro problema, su cui dovremmo interrogarci. Dovremmo parlare di più ai movimenti autonomisti, prima che diventino indipendentisti: potremmo scoprire di essere in possesso della chiave che stanno cercando.

  

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