Il 14 ottobre Robert Menasse ha rilasciato su questi temi un’intervista a Le Monde (dichiarazioni raccolte da Blaise Gauquelin): ne pubblichiamo alcuni passaggi nella traduzione di Franco Praussello.
In questa sua nuova opera i funzionari della Commissione europea, tanto criticati, vengono trasformati in personaggi romanzeschi. La fiction per lei è una scappatoia di fronte a una realtà deludente o un mezzo per rendere nuovamente affascinante il continente?
Questo lavoro costituisce il primo progetto di romanzo europeo. Al termine di una lunga ricerca sono giunto alla conclusione seguente: per quanto possa sembrare sorprendente nessuno ha finora avuto l’idea di superare le letterature nazionali. Un giorno Balzac aveva dato il consiglio che segue a un giovane scrittore: “ Devi raccontare le cose in modo che i nostri contemporanei vi si riconoscano e che coloro che verranno al mondo più tardi siano in grado di comprenderci”. Questa citazione, da vent’anni, fa bella mostra di sé in alto nella mia stanza di lavoro. Ora, quali sono gli elementi di cui si possa dire che sono cruciali e degni d’interesse? Quelli di cui nessuno ha ancora avuto l’idea di impadronirsi con la radicalità letteraria necessaria, come il fatto che, per la prima volta nella storia, le regole che organizzano la vita di tutto un continente, collegando culture, lingue e mentalità differenti siano prodotte in una stessa e sola città, vale a dire a Bruxelles.
Siamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo. A una lenta rivoluzione. Quale che sia ciò che se ne può pensare, d’altro canto: si tratta di un fatto. Mi sono quindi domandato se fosse possibile raccontare tutto ciò, in forma di un romanzo. E certo, è una cosa possibile. Tutto ciò che gli esseri umani realizzano è possibile raccontarlo. E’ questa la ragione che mi ha portato a Bruxelles. Vi sono rimasto tre anni. Ho osservato. E racconto come operino i giochi istituzionali che vi si svolgono, quali siano le vite miracolose e appassionanti di persone dai meriti scarsamente riconosciuti, nel corso di lotte comuni esemplari, che lavorano in quella città. Il progetto europeo si fonda sull’idea di un superamento dei nazionalismi che avevano ridotto in cenere questo continente. Esso tende a incoraggiare la diversità culturale ma anche a superare gli stati nazione. Penso che la nascita del romanzo europeo, oggi, sia la conseguenza logica di ciò che viviamo nella realtà.
L’europeo entusiasta che è in lei, come reagisce di fronte al lirismo comunitario del presidente Emmanuel Macron ?
Nell’aprile 1992, appena dopo la riunificazione tedesca e la decisione di adottare una moneta comune, il cancelliere Helmut Kohl aveva tenuto un discorso al Bundestag che fissava delle priorità quasi simili a quelle formulate da Emmanuel Macron nella sua allocuzione alla Sorbona di fine settembre. Ci si può quindi chiedere cosa si è fatto durante tutto questo tempo e chi siano stati i responsabili dei ritardi. Avevo scommesso 300 euro con un amico che se Macron avesse vinto la Merkel avrebbe licenziato Wolfgang Schäuble perché con un tale ministro delle finanze la cancelliera non avrebbe potuto fare avanzare alcun progetto insieme alla Francia. Beh, ho vinto la scommessa. Si può criticare il presidente francese su molti punti, ma non si può che apprezzare l’energia con cui si impegna per ottenere dei progressi e la sua lucidità circa il carattere sterile di un ritorno alle chiusure nazionali. L’allontanamento di Schäuble e l’arrivo di Macron garantiranno a Bruxelles un’importanza maggiore, dato che vi si saranno di nuovo prese le decisioni ultime.
Dopo la Brexit, si assiste a una ripresa delle fortune per il francese e il tedesco come lingue di lavoro nelle istituzioni europee. Pensa che questo fatto possa contribuire a fare avanzare la costruzione comune?
Prima, quando un cittadino ceco si rivolgeva a un polacco, entrambi utilizzavano l’inglese. All’improvviso, ho visto i funzionari mettersi a utilizzare il francese, di tanto in tanto. E si tratta di un fenomeno destinato ad accentuarsi. Il giorno del referendum britannico mi trovavo in un caffè di Bruxelles con una ventina di funzionari europei. Quando sono stati annunciati i risultati hanno stappato lo champagne! Erano sollevati dal fatto che finalmente i britannici abbandonassero la nave comune. Si dicevano che se quelli che bloccavano tutto finivano per andarsene, le cose si mettevano nuovamente in movimento.
La decisione dei britannici non sembra convincere i dirigenti dell’Ungheria Viktor Orban e della Polonia Jaroslaw Kaczynsky ad abbandonare le loro velleità sovraniste…
Al contrario. La Brexit è una buona notizia. Se la Gran Bretagna fosse rimasta nell’Unione sarebbe aumentato il pericolo di vedere dei paesi, a partire dall’Austria e andando più all’est, di reclamare a loro volta le eccezioni di cui godeva Londra. I paesi che restano si accorgono bene che la sterlina s’indebolisce, i posti di lavoro si spostano verso Parigi o Francoforte. Di nuovo, le cose si sono messe in movimento, il periodo è eccitante. Si assiste evidentemente a delle manovre per frenare questi sviluppi, ma occorre vederli in prospettiva: la storia non ha mai funzionato in modo diverso.
Il senso della storia, appunto, va in direzione di un ampliamento dell’Unione europea? Eppure nessuno sembra volerlo…
Non lo vivrò personalmente, ma sono persuaso che a termine bisognerà integrare tutti i paesi del circuito mediterraneo in una zona comune di sicurezza e di pace. Il conflitto israelo-palestinese, ad esempio, è un problema che è stato generato a partire dall’Europa e che l’Europa ha il dovere di risolvere. Le coste del Mediterraneo appartengono a un solo insieme di scambi culturali, e questo a partire all’antichità.
Al momento della sua creazione, l’Unione africana si è ispirata all’esempio della costruzione europea. Jacques Delors ne ha fortemente sostenuto lo sviluppo. L’Ue è un progetto di pace che tenta di difendere gli interessi dei cittadini attraverso dei trattati e non con la polvere da sparo. Essa costituisce l’avanguardia politica di questo mondo.
Eppure, i popoli europei sembrano allontanarsi da questo ideale di pace. Quanto agli intellettuali, non si può dire che la loro reazione sia stata all’altezza della sfida che rappresenta l’emergenza politica di un’estrema destra tedesca…
La Germania fa oggi l’esperienza di ciò che ha vissuto l’Austria con l’arrivo di Jörg Haider trent’anni fa. Tuttavia, per quanto riguarda la Germania sono molto sereno. Perché sono certo che la politica tedesca non ripeterà gli errori commessi in Austria. La Germania è un paese molto più lungimirante.(…) Dal presidente Frank-Walter Steinmeier alla cancelliera Angela Merkel, a colui che i socialdemocratici sceglieranno per rappresentarli, sono certo che l’intera classe politica tedesca formerà senza esitazione un cordone sanitario intorno all’AfD.
Non ritiene che ciò che accade in Catalogna sia più pericoloso ai fini della distruzione del progetto comune?
(…) Il Sudtirolo rappresenta un modello per la Catalogna. Ho parlato con uno scrittore di questa regione germanofona del Settentrione d’Italia, il quale mi ha supplicato:
“Per favore, Robert, cerca di spiegare a Bruxelles che siamo noi i veri europei”.
Come i Baschi, gli Scozzesi e i Corsi, i Catalani dimostrano che oggi gli stati nazione non funzionano più. E’ per questo che stanno esplodendo. Sta nascendo qualcosa di nuovo. L’unificazione delle province da parte degli stati non era la fine della storia. Un giorno, tutte le province si uniranno nell’ambito di una grande fratellanza. Sarà la Repubblica europea.