Il mese di Dicembre 2017 ci ha offerto tre importanti fatti che vanno tutti nella direzione di un avanzamento del processo di unificazione europea e dei quali diamo conto in questo numero del giornale. Di seguito, in ordine temporale.

Il primo è la proclamazione, da parte delle istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio europeo), del pilastro europeo dei diritti sociali. La Dichiarazione offre VENTI PRINCIPI (in certi casi anche diritti in senso stretto) che l’Unione e gli Stati dovrebbero raggiungere in campo sociale, articolati su tre assi tematici: “eguaglianza di opportunità e di accesso al mercato del lavoro”, “eque condizioni di lavoro”, “protezione ed inclusione sociale”. Dopo dieci anni di crisi economica e sociale, che ci hanno mostrato come i sistemi nazionali di welfare siano in grande difficoltà di fronte alla globalizzazione (senza un governo), la Commissione e il Parlamento fanno un primo passo per riportare in agenda la questione sociale in Europa: questa solenne proclamazione può essere un ottimo pro-memoria per i legislatori (europei e nazionali) e per tutti coloro che vorranno sinceramente cimentarsi con la costruzione di un sistema europeo di welfare, sempre più necessario.

Oggi ci impegniamo in una serie di 20 principi e diritti. Dal diritto alla giusta retribuzione al diritto all'assistenza sanitaria; dall'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e uguaglianza di genere al reddito minimo: con il pilastro europeo dei diritti sociali, l'UE difende i diritti dei suoi cittadini in un mondo in rapida evoluzione.

(Jean-Claude Juncker - Sulla proclamazione del pilastro europeo dei diritti sociali, 17 novembre)

Il secondo è costituito dall’avvio di una ‘cooperazione strutturata permanente” tra 25 Paesi dell’UE in tema di difesa europea. Dopo la caduta della CED (1954) si ripropone il tema della nascita di una difesa comune. Come all’epoca la spinta fu data da un fattore esterno (la minaccia sovietica), così oggi il disimpegno americano in Europa, unitamente al crescente disordine mondiale alle porte del nostro continente, spinge gli Europei a “prendere in mano il proprio destino”.

Sappiamo che la PeSCo nasce come soluzione intergovernativa, in un’area – quella della sicurezza – ancora affidata totalmente alle fittizie sovranità nazionali. Ma è un fatto che, con questo atto, i governi nazionali riconoscono che gli eserciti nazionali non sono in grado, da soli, di garantire la sicurezza. A partire da questo fatto, limitato ma irreversibile, si potrà andare solo avanti. Sarà il bisogno di affermare una posizione nel mondo che spingerà gli Europei a interrogarsi sui tempi e modi per giungere ad una difesa ‘federale’.

Il terzo è costituito dal progetto di riforma dell’Unione Economica e Monetaria, concretizzato dalla Commissione europea, dopo più di due anni di incubazione e di dibattiti europei (dal Rapporto dei Cinque Presidenti del giugno 2015 in poi). Dopo dieci anni di crisi economico-finanziaria, la necessità di giungere ad un assetto federale dell’Eurozona appare evidente, anche per alcuni governi.

Lo abbiamo fatto. Nel modo più ambizioso e inclusivo, con 25 Stati membri, abbiamo lanciato insieme la PESCO.
I 25 hanno assunto impegni vincolanti per migliorare la loro cooperazione e inizieremo con una prima serie di 17 progetti molto concreti, che vanno dalla formazione militare comune, al supporto medico per le nostre operazioni.
Le possibilità del PESCO sono immense.

(Federica Mogherini, 12 dicembre – Avvio di una politica europea di difesa comune)/em>

Completare l’Unione bancaria, integrare il Fiscal Compact nella legislazione UE, assicurare nuovi strumenti di bilancio per rafforzare l’Eurozona, trasformare il c.d. Fondo Salva-Stati in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo e creare un Ministro europeo delle Finanze quale punto di riferimento economico e politico, sono tutti decisivi banchi di prova sui quali si misurerà l’effettiva volontà dei governi di passare dalle parole ai fatti. In primis, da Macron a Merkel, a Gentiloni.

Ci sono, infine, una serie di fatti (dei quali non diamo ancora conto in questo numero del giornale), sul terreno della questione migratoria e dello ‘stato di diritto’ in Europa, che possono essere collegati tra di loro, perché si riconducono allo scontro, in atto da tempo, tra legge europea e leggi nazionali, se non addirittura tra la difesa dei valori della tradizione giuridico-politica europea e la loro negazione.

La questione della ripartizione dei richiedenti asilo tra i Paesi UE sulla base di “quote obbligatorie” è già legge europea, dopo la votazione a maggioranza del Parlamento e del Consiglio (dei Ministri) nell’ottobre 2015. Ma, come è noto, resta disapplicata, per l’opposizione dei Paesi di Visegrad. La Commissione europea ha deciso (dicembre) di deferire per questo Polonia, Ungheria e Rep. Ceca alla Corte Europea di Giustizia. Si tratta, in concreto, di stabilire chi è ‘sovrano’ sul tema dell’immigrazione: se è l’Unione o i singoli Stati. Una decisione che sarà di capitale importanza. Parimenti la Commissione europea ha avviato, nei confronti del governo polacco, una procedura d’infrazione perché intravede, nella riforma che pone la giustizia sotto il controllo di fatto del governo, un attacco ai principi dello stato di diritto e dei principi democratici che sono alla base del progetto europeo. Possiamo vedere, in queste iniziative della Commissione, la volontà di accelerare il suo cammino verso la caratterizzazione di governo politico, come affermato da Juncker nel giorno del suo insediamento alla Presidenza della Commissione.

Dopo anni di crisi, è giunto il momento di prendere in mano il futuro dell'Europa.
La robusta crescita economica di oggi ci incoraggia ad andare avanti per garantire che la nostra Unione economica e monetaria sia più unita, efficiente e democratica e che funzioni per tutti i nostri cittadini, non c'è momento migliore per riparare il tetto di quando splende il sole.

(Jean Claude Juncker - 6 dicembre – Piano di riforma dell’Unione economica e monetaria)

 

Sono anche questi i temi che emergeranno nella Convenzione per un’Europa federale che i federalisti terranno a Roma (27 gennaio), sui quali avviare un confronto con i cittadini, le forze politiche, economiche e sociali, anche a partire dalla ‘questione italiana’, fatta di trascinamenti di problemi insoluti, dal peso del debito pubblico all’opacità dei rapporti politica/economia/pubblica amministrazione. Una questione che rischia di diventare ‘europea’ a causa dell’irresponsabilità della politica italiana che tarda a comprendere che solo dandosi un ‘progetto europeo’ riuscirà ad uscire dalle secche in cui è precipitata e rischia di precipitare il Paese.

  

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