Stiamo vivendo un momento di transizione; l'opinione pubblica europea riguardo il progetto di integrazione, da sempre dicotomicamente divisa in due componenti di eguale grandezza, quella euroscettica e quella euroentusiasta, sembra orientarsi con maggiore decisione verso il polo europeista, e alcuni dati statistici confermano la tendenza.
Ovviamente formulare giudizi di valore partendo da analisi di tale natura può essere fuorviante: innanzitutto l'oggetto dell'indagine, cioè il giudizio e il modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini, è estremamente oscillante e sensibile non solo ad eventi e fatti oggettivi, ma anche a dinamiche ingannevoli come dicerie, fake news, gossip. I soggetti stessi di un'indagine statistica riguardante l'opinione pubblica, e cioè i cittadini, sono schizofrenici, suscettibili a dinamiche comunicative imprevedibili che sfuggono a disegni interpretativi chiari.
I numeri, che certo non mentono, a volte suggeriscono implicazioni errate; ma se l'indagine statistica di un momento preciso è suscettibile a cambiamenti repentini, il confronto dei risultati di analisi statistiche periodiche, che consente l'individuazione di tendenze generali, ha maggiore validità euristica; tale è la natura dei dati dall'Eurobarometro, uno studio sullo stato dell'opinione pubblica nei Paesi membri finanziato dal Parlamento europeo, volto a cogliere le percezioni e le attese dei cittadini in merito alla zona euro, il nucleo duro dell'Unione.
Dal suo ultimo Report (dicembre 2017), confrontando gli indici di gradimento dell'euro rilevati nei sondaggi degli ultimi anni, è possibile formulare riflessioni interessanti.
Se si considerano i due estremi del periodo di tempo preso in considerazione nella tabella, è evidente un netto aumento del favore cittadino nei confronti della moneta comunitaria; dal 56% dei cittadini dell'eurozona che gradivano l'euro nel 2011, si è passati al 64% nel 2017, con un aumento di ben 8 punti percentuali. |
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Il trend sembra interrompersi solo nel 2016, anno durante il quale è stato rilevato un calo netto dell'indice di gradimento; non c'è alcuna ragione di meravigliarsi; come già detto, l'opinione pubblica è sensibile agli stimoli più variegati; il 2016, definito “annus horribilis” da Jean-Claude Juncker stesso, è stato segnato da eventi di assoluta rilevanza.
In primo luogo, Brexit, che ha mostrato la fragilità del progetto di integrazione svelandone la reversibilità e stuzzicando gli appetiti dei grandi partiti euroscettici; in secondo luogo, il terrorismo, fenomeno che ha messo in discussione un assunto fondamentale dell'UE, per il quale essa è garante della pace interna al continente; infine, la crisi migratoria, di fronte alla quale l'Unione non trova una linea d'azione comune.
A queste problematiche recenti si aggiungono anche la crisi economica e la crisi del mercato del lavoro; il quadro che ne è risultato è quello di un continente passivo e sofferente, incapace di dare risposte nell'epoca delle crisi molteplici.
Il 2016 è stato un anno di grande confusione per i cittadini; l'indice di gradimento rilevato quell'anno, più che un calo netto del favore verso l'euro, subito negato con il sondaggio dell'anno seguente, suggerisce un momento di rimescolamento dell'opinione pubblica, una trasformazione del sistema di credenze riguardante la cosa pubblica europea, una fase di transizione, come già detto.
Spiegate le ragioni di questo calo, si comprendono anche le premesse di inizio articolo: i numeri, che certo non mentono, a volte suggeriscono implicazioni errate.
Subito dopo l'Annus Horribilis per l'UE è giunto il 2017, l'anno delle proposte; dinnanzi a questi profondi cambiamenti che hanno stravolto i cittadini dell'Unione, grandi leaders europei hanno affrontato di petto le molteplici crisi, ignorando i vuoti giochi retorici dei demagoghi e avanzando piani tanto realistici quando ambiziosi. Emmanuel Macron verrà ricordato come il primo politico europeo di questa fase storica ad aver collegato il proprio progetto politico nazionale ad un progetto di crescita politica dell'UE, svelando la saldatura indissolubile che lega i destini delle nazioni europee all'Unione. Jean-Claude Juncker, seppur con alcune fondamentali differenze di metodo nel suo discorso sullo Stato dell'Unione (settembre) e successivamente ha avanzato proposte di maggiore integrazione, illustrando il progetto di governo della Commissione per i prossimi mesi (dicembre). Molti leaders nazionali hanno osservato con curiosità le mosse del Presidente della Repubblica francese e del Presidente della Commissione europea. Sulla loro scia, Paolo Gentiloni, Angela Merkel, Martin Schulz e altri ancora hanno adottato approcci simili.
Nel 2016 le grandi crisi che si sono abbattute sugli stati veterocontinentali hanno messo in crisi l'intera arena politica, incapace di dare risposte. Il 2017, anche grazie anche allo slancio creativo di Macron, ha sancito il passaggio dall'interesse per la sola lotta politica nazionale alla lotta politica europea, sulla quale quell'8% dei cittadini dell'eurozona ripongono le proprie rinnovate speranze di cambiamento, unendosi ai precedenti 56% e stabilendo finalmente una netta maggioranza cittadina dichiaratamente europeista;.Il 2018, sperabilmente, sarà l'anno delle risposte e delle decisioni.