La Commissione Europea ha reso pubblico l’atteso “pacchetto” di proposte sul completamento dell’unione economica e monetaria. Un “pacchetto” già annunciato da Juncker nel discorso sullo Stato dell’Unione del settembre scorso, che segue il Reflection paper di fine maggio e riprende il Blueprint del novembre 2012, scritto con la piena consapevolezza che il completamento della governance economica europea, da affiancare a quella monetaria, sia un punto cruciale per recuperare la fiducia di cittadini ed imprese.
Quello che ci dobbiamo domandare è se i documenti appena pubblicati siano all’altezza del problema, ossia rovesciare le aspettative negative di imprese e cittadini nei confronti della capacità dell’Europa di risolvere, piuttosto che di generare, i loro problemi più pressanti.
Su questo, il giudizio deve essere positivo, ma anche estremamente cauto.
Le aspettative sono una delle poche variabili chiave per il funzionamento di un sistema economico; ma sono allo stesso tempo difficili da modificare. Serve credibilità, autorevolezza. Tutte cose che, fino ad oggi almeno, sono mancate nella guida dell’Unione Europea e dell’eurozona. Le proposte della Commissione possono essere giudicate positivamente solo nella misura in cui generano ulteriori contraddizioni che dovranno essere sanate; e che ci si augura quindi possano aiutare l’Unione a procedere a ritmi serrati verso una genuina democrazia sovranazionale.
Le proposte
In sintesi, le proposte della Commissione vanno principalmente in due direzioni. La prima è il consolidamento nella legislazione europea degli strumenti della governance economica, adottati negli ultimi anni sotto la spinta delle varie emergenze dettate dalla crisi dei debiti-sovrani. Tra queste iniziative, anche se con ritmi e tempistiche diverse: la trasformazione dello European Stability Mechanism (il fondo salva-Stati) in un Fondo Monetario Europeo e l’inclusione del Fiscal Compact nei Trattati.
Per quanto riguarda il Fondo Monetario Europeo la proposta principale (ragionevole e facilmente realizzabile) concerne il completamento dell’Unione bancaria, della quale il fondo dovrebbe diventare lo strumento a garanzia dello European Deposit Insurance Scheme e del Single Resolution Mechanism. La delusione maggiore su questo punto deriva dal mantenimento di una governance di tipo intergovernativo.
L’inclusione del Fiscal Compact nei Trattati è invece più controversa, perché sembra avallare le richieste tedesche di continuare una linea rigorista (il mito dell’austerità espansiva) che ha creato divergenze profonde fra i paesi dell’euro-zona ed ha favorito il neomercantilismo tedesco. Qui si annida naturalmente la prima contraddizione: la ‘costituzionalizzazione’ (peraltro già in vigore nei vari paesi) del Fiscal Compact è perfettamente coerente con una struttura istituzionale in cui, come suggeriva Padoa-Schioppa, agli Stati compete il rispetto del rigore finanziario mentre al livello sovranazionale deve essere attribuita la capacità di mettere in atto politiche anticicliche, di sostegno dello stato sociale, di razionalizzazione delle spese, di assunzione di nuove competenze da sottrarre agli Stati. Senza un impegno preciso e vincolante in tal senso, si rischia che le intenzioni della Commissione rimangano lettera morta; senza procedere di pari passo all’inclusione del Fiscal Compact nei Trattati ed alla creazione di un ampio bilancio per fornire i beni pubblici europei di cui si sente sempre maggiore urgenza (rimandato però al futuro), si rischia un distacco ancora maggiore dei cittadini dal sistema istituzionale europeo, facile preda, in queste condizioni, del populismo e del sovranismo nazionalista: il modo peggiore per cambiare in positivo le aspettative di imprese e cittadini.
Questa consapevolezza ha spinto la Commissione ad abbozzare anche delle proposte per, in prospettiva, il rafforzamento del bilancio europeo, da affidare ad un Commissario con funzioni di Ministro del Tesoro e Vice-Presidente della Commissione, oltre che Presidente dell’Eurogruppo.
E qui veniamo alla seconda proposta interessante contenuta nel pacchetto della Commissione (cfr. riquadro delle quattro funzioni degli strumenti di bilancio). Questo nuovo e più ampio (ma solo, eventualmente, per la prossima stagione di negoziazioni del bilancio pluriennale in seno al Consiglio) strumento di politica fiscale “potrebbe contribuire all'elaborazione e all'attuazione di una politica di bilancio appropriata per l'intera zona euro”: frase fortemente ambigua, che lascia aperta anche la soluzione del semplice coordinamento e quindi con una ‘potenza di fuoco’ pressoché nulla per contrastare eventuali shock asimmetrici (che interessino uno o più paesi) e soprattutto simmetrici (che interessino l’Europa nel suo complesso). Inoltre, teoricamente, dovrebbe finanziare (ma solo nell’ottica di aumentare le “sinergie” dei bilanci nazionali) l’erogazione di beni pubblici europei, accrescere la capacità di attrazione di capitali privati per investimenti pubblici (in linea col Piano Juncker), agevolare le riforme strutturali nei vari paesi e sostenere politiche sociali nell’ottica di una stabilizzazione macroeconomica (all’interno dell’area euro), oltre che agevolare le riforme strutturali necessarie per la convergenza dei paesi ancora fuori dalla moneta unica.
Purtroppo, le indicazioni concrete in questo ambito sono lasciate alla fantasia (o alle negoziazioni intergovernative). Inoltre, prevale una logica di coordinamento delle politiche macroeconomiche nazionali, piuttosto che una genuina visione complessiva di una politica di bilancio europea. Un elemento di debolezza di non poco conto.
Una valutazione
Nonostante questi limiti, che devono indurre cautela nella valutazione, il giudizio sul pacchetto di proposte della Commissione è a mio avviso positivo. Perché riapre un dialogo rimasto troppo a lungo sopito fra il Parlamento Europeo e la Commissione Europea. Perché prevede dal 2019 una rappresentanza unica della Ue in seno al Fondo Monetario Internazionale (un elemento non solo simbolico, perché all’interno del Fmi le decisioni devono essere prese a maggioranza qualificata dell’85% dei voti, ossia delle quote; e in questo modo la Ue si affiancherebbe agli Usa nel detenere un diritto di veto sulle decisioni più importanti, rafforzandone il peso politico internazionale).
È positivo inoltre perché costringe i governi a confrontarsi con una proposta politica e (seppur in minima parte) istituzionale realistica, già pronta e servita sul tavolo di eventuali negoziati che si dovessero aprire in seno al Consiglio (non a caso l’Italia ha preso subito posizione, col documento – più avanzato – presentato pochi giorni dopo); perché fornisce qualche chiave operativa alle indicazioni espresse da Macron nel discorso alla Sorbona del 26 settembre, anche se con toni ed accenti diversi (e soprattutto senza indicare un metodo cantierabile per il cambiamento); perché crea i presupposti per spostare una parte del potere di scelta verso organi europei a scarsa rappresentatività democratica, aprendo così un nuovo vulnus nella legittimità del sistema decisionale della Ue, che dovrà necessariamente portare a sempre maggiori e più forti rivendicazioni per sanare il deficit democratico.
E perché lega in maniera stringente l’aumento del bilancio alla necessità di finanziare la fornitura di beni collettivi quali la politica di difesa, la cooperazione internazionale, ecc.; il che pone evidentemente il problema di rivedere l’intera ripartizione delle competenze fra Stati nazionali ed Unione Europea: un tema squisitamente di natura costituzionale che impone non solo una riforma dei Trattati, ma di fatto il passaggio ad una forma di governo federale.
Allo stesso modo, fornire beni pubblici a livello sovranazionale implica capacità di spesa; il che presuppone un aumento delle risorse proprie (che devono diventare prevalenti rispetto ai trasferimenti nazionali) e capacità d’indebitarsi sul mercato.
Tutti obiettivi che il documento della Commissione richiama, pur senza fornire indicazioni concrete, senza indicare un percorso di revisione della dimensione del bilancio (giustamente connessa alle competenze… ma per rivedere le competenze servono riforme costituzionali, e in questo modo serve un assist formidabile alle dichiarazioni di Macron), né soffermarsi sul fatto che le eventuali scelte sull’imposizione fiscale e sull’allocazione delle spese presuppongono una legittimità democratica che ad oggi la struttura istituzionale europea non possiede.
Insomma, come abbiamo anticipato, un documento pieno di contraddizioni; che diventerà quindi necessario sanare. Ma che proprio per questo potrebbe trasformarsi in uno strumento molto utile per riprendere il cammino d’integrazione e condivisione della sovranità che, almeno negli ultimi trent’anni, non è mai davvero avanzato in maniera diversa.