E’ impressionante l’accelerazione degli attentati terroristici in Europa nel 2015-2016 e, soprattutto, la loro concentrazione in Francia e in Germania.
Dopo gli attentati del 2004 a Madrid (191 morti) in tre stazioni ferroviarie e a Londra nel 2005 (56 morti) in metropolitana, c’è il salto al biennio 2015-2016. A Parigi, nel gennaio 2015, con i 16 morti di Charlie Hebdo (e altro ) e ancora a novembre con i 130 morti del Bataclan (e altro). Poi, un 2016 terrificante: a marzo a Bruxelles, con i 31 morti all’aeroporto Zavanten; a luglio, a Nizza con 84 morti della passeggiata a mare e poi a Monaco con i 9 morti del centro commerciale (più molti episodi ‘minori’ in Francia e Germania), per finire a dicembre a Berlino con i 12 morti al mercatino di Natale.
Dobbiamo interrogarci sul senso di questi attacchi continui in Europa. A differenza del terrorismo che alcuni Paesi europei hanno conosciuto negli anni ’70 (e che mirava a destabilizzare un potere ‘locale’, cioè nazionale), oggi, nell’era della globalizzazione, in cui la lotta per il potere è globale, il terrorismo è diventato anch’esso un’espressione della lotta per un potere politico tendenzialmente ‘globale’, privo di confini.
Questo metodo brutale di lotta di potere vede l’Europa come ventre molle degli equilibri mondiali e la colpisce, proprio perché riscontra in essa un vuoto di potere, nei suoi punti centrali: Parigi, Bruxelles, Berlino. Il terrorismo ha una propria logica.
Questo vuoto di potere dura da troppo tempo in un’Europa che:
- è priva di una propria identità politica e culturale
- mostra di non avere capacità di integrare i milioni di immigrati che varcano le sue porte (e di cui pur avrebbe bisogno), perché non ha una propria politica ed un proprio modello d’integrazione
- continua a vivere una lunga crisi economica e politica, praticamente in quasi tutti gli stati, che privi di un potere federale comune, appaiono deboli e impauriti
- non ha una politica estera e di sicurezza verso l’area mediorientale e nord africana, da cui proviene l’immigrazione economica e politica
- last but not least , è priva di una politica estera reale verso le superpotenze, USA , Russia e Cina.
In queste condizioni non possiamo stupirci che il terrorismo abbia ‘scelto’ l’Europa quale terra ‘ideale’ per la diffusione della propria pratica stragista.
La politica dorme sonni profondi all’interno dei Paesi europei. La Francia ha rinunciato da tempo a svolgere un ruolo europeo attivo: la sua crisi politica è profonda e riflette, più degli altri Paesi, la crisi stessa di quel modello (comunitario) di integrazione europea che pur aveva avviato negli anni ‘50. Bloccata di fronte al timore di un’avanzata del lépenismo, s’illude di fermarlo accentuando il ritorno al ‘sovranismo’ in politica e nell’economia. L’Italia è alle prese da sempre con una debolezza di fondo delle proprie istituzioni politiche e con la crisi del sistema dei partiti, cosa che rende difficile una sua iniziativa di rilievo sul terreno europeo. La Spagna non ha un governo da un anno, ma nessuno se ne accorge: altro segno che la politica nazionale è divenuta irrilevante. La Germania che ha guidato l’Unione sul tema della difesa dell’euro e della questione migratoria, ora sembra assopita, con lo sguardo alle proprie elezioni politiche del prossimo autunno, e cerca la quadratura del cerchio tra una politica nazionale da offrire al proprio elettorato ed una europea che non entri in rotta di collisione con la prima: di fatto appare anch’essa bloccata, almeno finora.
Reggono il fronte europeo: la BCE che svolge il ruolo di potere federatore de facto per la parte monetaria-economica; e la Commissione europea, che ha mostrato: a) che il piano Juncker funziona e, pur con i propri limiti strutturali (mancanza di risorse proprie), ha messo in moto un po’ di investimenti privati; b) che con la sua azione propulsiva sul fronte della sicurezza (Security Union e Fondo europeo di difesa), cerca di vincere le resistenze dei governi nazionali a dotarsi di infrastrutture comuni sulla difesa; c) che con la sua politica d’immigrazione (superamento di Dublino e ripartizione degli immigrati secondo quote obbligatorie per Paese) ha ingaggiato una prova di forza con gli Stati che pretendono di mantenere la propria sovranità sulla politica migratoria.
Il Parlamento europeo ha di recente battuto un colpo con i due Rapporti approvati dalla Commissione istituzionale (Bresso-Brok per implementare una serie di riforme a trattati vigenti; e Verhofstadt per introdurre modifiche che vadano ‘oltre i Trattati’) e di cui diamo ampia informazione nelle pagine centrali di questo numero del giornale. Se i due Rapporti venissero approvati in seduta plenaria del Parlamento europeo, ciò rappresenterebbe un punto di svolta nella politica europea, il cui significato sarebbe indubbio: di fronte all’impasse dei governi nazionali, l’istituzione che rappresenta i cittadini europei mostra la via.
Per questo è importante la scadenza del 25 marzo 2017: per mostrare che l’alleanza del Parlamento con il popolo europeo funziona e può mettere i governi nazionali – i padroni di questa Europa intergovernativa – con le spalle al muro.
Qui sta la chiave di volta: un forte shock popolare per mostrare che l’avanguardia del popolo europeo non si arrende, anzi sfida il nazionalismo e il populismo, ha un progetto per dare sia risposte immediate alla crisi europea , sia risposte che vanno diritte al cuore del problema: cambiare quelle regole assurde (potere di veto degli Stati sulla politica di sicurezza e sulla fiscalità) che impediscono all’Europa di esprimere una propria sovranità politica, una propria identità. Con un Governo ed una Costituzione.