Un tempo, ad Atene si poteva intravvedere nella penombra di un vicolo il filosofo Diogene il Cinico, lanterna alla mano. “Cerco un vero uomo”, avrebbe urlato a chiunque di passaggio. Per quanto strana potesse essere la sua ricerca, Diogene sfidava Platone, il quale, senza dubbio un po’ troppo sognatore a suo giudizio, delineava i tratti dell’Uomo ideale, l’Uomo vero. Per Diogene, invece, c’erano solo degli uomini.
Oggi, in Europa, il patriota europeo fa molto parlare di sé. A volte umanista, a volte cosmopolita, il patriota europeo celebra la sua eredità culturale europea. Ama il suo continente, i suoi grandi uomini, la sua storia, i suoi valori, i suoi popoli. Si rivendica transnazionale, transfrontaliero, forse anche un po’ “transumanista”. Ma, per molti, il patriota europeo non sarebbe altro che un cavallo di Troia che dissimula nelle sue viscere le più pericolose patologie politiche. Un volgare surrogato del patriottismo, l’amante dell’Europa getterebbe spudoratamente alle ortiche la sacralità dello Stato-nazione, spoglierebbe i popoli delle loro culture e dei loro valori e imporrebbe loro principi universalisti che in realtà nascondono un neocolonialismo occidentale. Il patriota europeo non sarebbe allora che un sogno? Non ci sono che solo dei patrioti nazionali? Esattamente come l’Uomo ideale, il patriota europeo non è solo che un’ideale, un delirio assurdo del filosofo chiuso nella torre d’avorio?
Secondo i critici più virulenti, il patriota europeo sorge come un tornado che, nello sconquasso del disordine, si appropria volgarmente di qualche ornamento culturale e distrugge tutto ciò che non gli piace. Il Diogene del XXI secolo disprezza questo borghese sradicato, egoista e la cui celebrazione dell’Europa somiglia più a una discriminazione culturale à la carte che a un riconoscimento della ricchezza europea. Perché per il patriota europeo l’Europa è Victor Hugo, Miguel de Cervantes e Umberto Eco; la Torre Eiffel, il Colosseo e la Porta di Brandeburgo; in breve, il patriota europeo non è che uno sciovinismo dell’Europa occidentale, che dimentica la danza popolare magiara, l’arte baltica e i canti ortodossi bizantini. Fragile mosaico di patrimoni culturali frivoli o celebrazione della ricchezza culturale europea? L’Unione europea deve raccogliere l’incerta sfida di muoversi tra un nazionalismo che schiaccerebbe la ricchezza culturale dell’Europa e un individualismo universalista che atomizzerebbe ogni forma di coesione sociale.
La spinosa questione della democrazia europea
Non c’è che un problema veramente serio: quello della democrazia. Crisi migratoria, crisi politica, crisi economica; la crisi europea è prima di tutto una crisi di legittimità. La democrazia è una comunità politica in cui i destinatari delle leggi ne sono allo stesso tempo gli autori. Pensare la democrazia è immaginare il popolo come un insieme attivo e coerente. Ecco perché fondare l’Unione europea sotto l’egida di una nazione sembra così allettante. Inculcando una memoria collettiva, l’omogeneità etnico-culturale dello Stato-nazione permette di generare una nuova forma di integrazione sociale. Questo sentimento di unità nazionale apre la strada a una vera e propria cultura democratica fondata sul sentimento di dovere verso il prossimo, all’opposto di una democrazia “procedurale” vuota di contenuti, nella quale l’interesse generale non sarebbe altro che una massa di interessi di individui atomizzati.
Ma la storia ci ha mostrato chiaramente che ogni forma di nazionalismo si è realizzata a danno delle culture minoritarie. L’esempio della Francia non potrebbe essere più evidente: il martellamento del francese come lingua nazionale cui è seguita la scomparsa delle lingue regionali. Dato che il nazionalismo è essenzialmente normativo, esso si traduce necessariamente in una logica di coercizione. Se può fare a meno della violenza, il nazionalismo si tradurrà con la sua scomparsa, in assenza di un futile sciovinismo. Fondare una Nazione europea vorrebbe dire distruggere la sua ricchezza culturale.
Costituzione, patriota, cittadino: la piccola guida dell’europeo
Come conciliare, allora, l’identità europea con l’eterogeneità culturale dell’Europa? Una soluzione potrebbe essere quello di fondare un patriottismo che non sarebbe culturale, ma costituzionale. Immaginato dal grande filosofo Jürgen Habermas, il patriottismo costituzionale riunisce l’insieme dei cittadini attorno a dei principi universali. Permette di realizzare questo obiettivo invitando i cittadini che compongono la società a ritrovarsi attorno a dei principi politici comuni. malgrado le loro differenze culturali. La democrazia costituzionale si emancipa, dunque, dall’armonia culturale ed è la prassi di cittadinanza che crea il legame tra membri della stessa comunità.
Adottando il patriottismo costituzionale, l’Europeo risponde alla sfida dell’identità europea, che era quella di evitare un individualismo che atomizzerebbe ogni forma di coesione sociale. La soluzione si trova nella distinzione fra l’idea di Costituzione e la Costituzione stessa. Non basta che i cittadini riconoscano l’esistenza della Costituzione: essi devono sentirsi legati anche alla sua idea e alla procedura tramite la quale si realizza la promulgazione legittima delle leggi e l’esercizio del potere. Al posto di legami con dei valori astratti, il patriottismo costituzionale mira alla loro applicazione concreta. In altri termini, bisogna saper far vivere la Costituzione. In effetti, lo schiudersi della società civile ha bisogno di una cultura democratica: al di là del ripetersi delle elezioni questa cultura deve interiorizzare il potere deliberativo e cooperativo fra cittadini che pur hanno orizzonti diversi. Bisogna che i cittadini discutano dei contenuti della Costituzione nel quadro di un dialogo costante. Invece di sottomettersi senza spirito critico a dei diritti fondamentali paternalistici, i patrioti costituzionali interpretano la Costituzione misurandola con le contingenze della società attuale.
Il patriota europeo, un vero patriota?
Ma lo spirito di Diogene ci provoca. “Cercalo, un vero patriota costituzionale!”, si intenderebbe in giro. Egli direbbe che il patriota costituzionale corre il rischio di privare la democrazia di ogni sostanza e passione, dissociando ciò che è politico da ciò che è culturale. Ma la cultura costituzionale non è capace di scatenare le passioni? L’indignazione (in parte) condivisa verso la crisi migratoria non ha a che fare con un umanismo in nome dei diritti dell’Uomo, in nome della dignità umana?
Un’altra preoccupazione è che il patriottismo costituzionale sarebbe a-storico e dunque non potrebbe suscitare alcuna memoria condivisa. Ma, al contrario, il patriottismo costituzionale si ricollega a una coscienza etica rispetto al passato degli individui, che perciò viene visto in modo autocritico. Le guerre tra nazioni non sono più viste come delle rivendicazioni nazionali, ma come delle prove che gli europei hanno dovuto affrontare prima di approdare a un’Unione europea. Per esempio, la guerra franco-prussiana non sarà più vista secondo il metro dell’irredentismo francese o come la tappa fondamentale nella formazione dello Stato tedesco. Al contrario, sarà percepita con oggettività, come una prova che gli europei hanno dovuto superare prima di unirsi.
L’identità europea non si basa su un’eredità culturale particolare. Deve sempre esistere nell’alterità, e nella negazione. Dopotutto, la critica della civiltà occidentale, non è propria dell’Europa? Stando sempre entro una logica decostruttiva, l’identità europea si è sempre rivendicata come rivoluzionaria. Ora come rivoluzione copernicana, ora come rivoluzione dei Lumi, la cultura europea s’identifica con l’autocritica. Ecco perché il patriota europeo non deve avere paura di respingere la fedeltà verso la nazione, progenitrice dell’Europa occidentale. L’amore per l’Europa non è un nazionalismo; è un post-nazionalismo, è un costituzionalismo.
(Articolo pubblicato in francese sul webzine Le Taurillon - traduzione a cura di Gianluca Bonato)