Cos’hanno gli Stati Uniti che l’Unione Europea non ha? Agli occhi di chi si occupa di imprese hanno giganti come IBM, Apple, Microsoft, Facebook, Twitter, Netflix.Cos’hanno gli Stati Uniti che l’Unione Europea non ha? Agli occhi di chi si occupa di imprese hanno giganti come IBM, Apple, Microsoft, Facebook, Twitter, Netflix. Dalla fine degli anni settanta gli Stati Uniti hanno subito delocalizzazioni forse in modo più pesante delle regioni europee a tradizione industriale, tuttavia hanno saputo sostituire le produzioni tradizionali con nuove produzioni. L’avvento del personal computer nel terziario, il web 2.0 ed i social network che hanno avuto un impatto devastante sul mondo dell’informazione e sulla pubblicità, le applicazioni di internet al commercio sono tutte rivoluzioni “made in America.” Gli Stati Uniti appaiono nuovamente in una posizione di vantaggio anche nei primi sviluppi della manifattura 4.0.
Oggi anche gli economisti liberisti riconoscono che senza il contributo della ricerca pubblica, in particolare quella del settore della difesa, Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg forse non avrebbero trovato il loro ecosistema ideale negli Stati Uniti. Dalla nostra parte dell’Atlantico la dimensione ideale per fare politiche industriali è quella europea. Solo a livello europeo esiste la possibilità di lanciare piani di investimenti di diverse centinaia di miliardi, la Commissione ci sta provando con il piano Juncker. Solo a livello europeo esiste una banca centrale che può comprare le obbligazioni emesse da un soggetto pubblico europeo per finanziare un piano di investimenti, per quella stessa banca centrale è più difficile sottoscrivere titoli di debito emessi dai singoli Stati europei senza essere accusata di fare politica e di favorire alcuni Stati a scapito di altri. Solo a livello europeo è possibile effettuare gli investimenti in tecnologia per la difesa e più in generale per il settore pubblico che poi possono avere ricadute sul settore privato. Solo a livello europeo possono essere efficacemente attivate quelle politiche che servono a mitigare gli effetti negativi di breve periodo dei salti tecnologici, si pensi alle politiche per la disoccupazione.
La politica industriale europea deve essere orientata in modo più efficace e più coraggioso verso alcuni obiettivi dichiarati dell’Unione Europea, per esempio la riduzione delle disparità geografiche, per cui serve un più intelligente uso dei fondi strutturali, o la transizione verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica, che nei documenti della Commissione è un traguardo da raggiungere entro il 2020.
La madre di tutte le sfide di ogni politica industriale è l’addizionalità. La mano pubblica deve servire a fare quelle cose che il privato non riesce a fare. L’addizionalità pone non poche sfide di misurazione delle performance. Che si tratti di sgravi fiscali per le assunzioni, di contributi per la ricerca o di altre misure, spesso il bilancio delle politiche pubbliche è controverso. I governativi snocciolano dati sugli investimenti e sui posti di lavoro creati, i critici affermano che si tratta di assunzioni che sarebbero state fatte comunque e di nuove imprese che sarebbero state fondate comunque. Sotto tale profilo le principali sfide per gli europei sono l’aumento della ricerca pubblica e privata e la nascita di imprese in aree che non hanno una tradizione industriale o in cui la produzione industriale rappresenta da troppi anni una percentuale del PIL troppo piccola.
L’Unione Europea, in scala fino ad oggi troppo ridotta, fa già un ampio novero di politiche industriali. Tali politiche, per fare un salto di qualità, dovranno fare un salto di quantità. Esistono diverse leve che devono essere valutate senza preclusioni:
- Incentivi fiscali. Efficacia media, difficoltà di misurare il reale contributo della mano pubblica in termini di addizionalità. Poiché non esiste un’imposta europea sulle società o sulle imprese l’unica soluzione percorribile è un coordinamento delle politiche degli sgravi fiscali dei paesi dell’Unione. Per esempio si potrebbe irrigidire il patto di stabilità consentendo però più ampi margini per chi concede sgravi fiscali alle imprese che fanno innovazione. Sarebbe necessario anche stabilire prioritariamente cos’è un’impresa che fa innovazione.
- Garanzie pubbliche. Efficacia spesso bassa. Le regioni italiane per esempio partecipano al capitale dei Confidi, realtà che dovrebbero facilitare, tramite alcune garanzie, l’accesso delle piccole e medie imprese al sistema bancario. I confidi in Italia stanno vivendo purtroppo anni difficili. Il Piano Juncker prevede uno stanziamento fino a 5 miliardi per garantire il debito delle imprese. L’analisi empirica dimostra che tale approccio difficilmente consente di ottenere grossi risparmi alle piccole imprese sul costo dell’indebitamento. Non si tratta quindi di una carta che può essere facilmente giocata per startup o piccole imprese che vogliono avviare un processo di digitalizzazione o fare un salto dimensionale che consenta loro di avere la taglia minima per fare ricerca. Bisogna quindi avere la consapevolezza che le garanzie pubbliche sono uno strumento efficace solo in alcuni paesi o addirittura in alcune aree dell’Unione.
- Technology transfer, efficacia alta, ma rischi elevati. Si tratta in sostanza di ricerca pubblica fatta in collaborazione con le imprese che in ultima istanza ne dovrebbero beneficiare. E’ assai utile in contesti caratterizzati dal nanismo delle imprese. Non può costituire la prima voce di spesa di un piano di investimenti, ma può essere finanziato con qualche miliardo l’anno.
- Investimenti diretti nel capitale di startup o di imprese che devono compiere un salto tecnologico e dimensionale. Efficacia alta. Necessitano dell’attrazione di adeguate figure professionali per la selezione degli investimenti. Il Fondo Europeo degli investimenti (FEI) attualmente ha in portafoglio partecipazioni in imprese per circa 350 milioni, il piano Juncker dovrebbe portare ad investimenti nel capitale delle imprese per altre centinaia di milioni. Si tratta di una tipologia di interventi che può avere un significativo moltiplicatore delle risorse pubbliche. L’esperienza della Banca Europea degli investimenti (BEI) insegna che per ogni Euro di risorse proprie dell’Unione è possibile emettere 3 euro di obbligazioni. Inoltre il Fondo Europeo degli Investimenti, sulla base della sua credibilità e delle relazioni costruite in passato potrebbe coinvolgere, nei suoi investimenti in capitale privato delle imprese, fondi di emanazione degli Stati, si pensi a Fondo Italiano d’Investimento, all’Italiana Cassa Depositi e Prestiti ed ai suoi omologhi francesi tedeschi, e potrebbe poi coinvolgere anche fondi d’investimento privati
- Consulenza alle imprese. Efficacia elevata. Necessita dell’attrazione di figure professionali in grado di coadiuvare imprenditori brillanti ma inesperti. Le imprese innovative non hanno solo problemi nella ricerca di azionisti e finanziamenti bancari. Spesso vengono fondate da brillanti ingegneri che hanno grandissime competenze di prodotto ma che non hanno competenze manageriali, un grosso lavoro di consulenza a favore di una startup tecnologica può essere la ricerca di un adeguato direttore finanziario o direttore marketing. Sotto tale profilo il compito dell’Unione Europea è quello di creare in Europa gli ecosistemi che i fondi d’investimento hanno realizzato nella Silicon Valley.
L’Europa deve tornare alla politica industriale e per far questo non deve sfatare taboo, deve solo dotarsi di “risorse proprie”, credere nei principi enunciati sui siti istituzionali dell’Unione Europea e potenziare strumenti che già esistono.
Che cos'è Manifattura 4.0
Con il termine manifattura 4.0 si indica l’evoluzione che sta vivendo in questi anni il mondo delle imprese, dovuta all’applicazione di internet e delle nuove tecnologie informatiche ai sistemi produttivi. È in corso un processo di digitalizzazione che per certi versi ricorda l’automazione delle imprese industriali del secolo scorso e per altri versi i cambiamenti avvenuti nel terziario con l’avvento del personal computer.
Si parla di 4.0 perché oggi siamo vivendo la quarta rivoluzione industriale, dopo quella del vapore, dell’elettricità e dei computer. La notazione 4.0 è mutuata dal linguaggio dell’informatica, il web 2.0 è quell’evoluzione di internet che ha portato all’avvento di piattaforme come Youtube, dei blog e dei social network.
Nella categoria industria 4.0 o manifattura 4.0 si annoverano diversi tipi di produzione e diversi processi: i Fab-Lab, piccole realtà che potrebbero essere defi nite “artigianato tecnologico”, che realizzano beni molto personalizzati attraverso tecnologie quali le stampanti 3D ed i laser; il cosiddetto Internet degli oggetti (IOT, Internet of things, in inglese), ovvero un sistema che consente ai mezzi di produzione di comunicare tra di loro attraverso la rete; i processi di digitalizzazione delle imprese, cioè le attività produttive e informative.
In Europa, ed in particolar modo in Italia, il dibattito sulla nuova rivoluzione industriale è arrivato tardi. Il governatore dei Banca d’Italia Ignazio Visco ha dichiarato che ci attende una nuova sfi da tecnologica, da cui non si potrà sfuggire e che però nel breve periodo avrà ricadute occupazionali che devono essere gestite. L’espressione manifattura 4.0 sta assumendo in questi mesi una certa visibilità per le iniziative del Ministero dello sviluppo economico. Il governo italiano sembra intenzionato a stimolare con sgravi fi scali e contributi pubblici (in gergo tecnico il superammortamento del 250%) i processi di digitalizzazione delle piccole e medie imprese.