Quest’anno ricorre l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941, durante il confino, da Altiero Spinelli insieme ad Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Il Manifesto è diventato ormai la pietra miliare del processo di unificazione politica dell’Europa, cui fanno riferimento tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali che vogliono indicare il valore ideale e politico del cammino europeo di unificazione. Al di là dei contenuti specifici, ciò che lo ha reso il fondamento ideale e politico del processo di unificazione sono infatti proprio la visione e l’azione politica che il Manifesto indica come compito per la ricostruzione di una nuova Europa e un nuovo mondo all’indomani della Seconda Guerra mondiale. “Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. “Occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federati le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. … Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del Movimento per l’Europa libera e unita. La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”.

Il Manifesto è anche il testo fondativo del Movimento Federalista Europeo, promosso da Spinelli, insieme a Rossi, nel 1943. Il MFE è quel nuovo ”Movimento per l’Europa libera ed unita”, creato per promuovere “l’opera nuova”, indicato da Spinelli; ed è così, pertanto, che come federalisti europei celebriamo questo anniversario, cercando di farne un momento di riflessione e di bilancio di una battaglia politica che si appresta a sua volta a raggiungere il traguardo degli 80 anni, in un contesto europeo ben diverso, ma accomunato ai tempi della stesura del Manifesto dal fatto di attraversare un passaggio epocale. Allora il passaggio era sancito dalla guerra che decretava la fine di un sistema internazionale eurocentrico, dominato dagli Stati nazionali europei; oggi è una pandemia globale che accelera la crisi del vecchio sistema a guida americana uscito dalla Seconda guerra mondiale e rende indilazionabile la costruzione di un mondo nuovo per affrontare una serie di sfide esistenziali per l’umanità. Mentre la guerra stava spazzando via il vecchio ordine, il Manifesto indicava nella rivoluzione di un’Europa federale il cardine del nuovo mondo: per un nuovo sistema internazionale e per un nuovo modello di liberal-democrazia più evoluta e in grado di includere il valore della giustizia sociale. L’Europa del Manifesto è quindi già pensata come un laboratorio per costruire le forme del governo dell’interdipendenza, superando il dogma della sovranità assoluta degli Stati e indicando nella creazione di un’Unione federale, una Federazione sulla base del modello degli USA, la condizione per l’instaurazione della pace e la realizzazione di una nuova solidarietà transnazionale.

Oggi queste indicazioni mantengono tutto il loro valore; anzi, in qualche modo sono ancora più profetiche ai giorni nostri in cui non esiste una potenza extra-europea in grado di sviluppare un progetto globale che vada nella direzione indicata dal Manifesto – come in parte sono stati gli Stati Uniti all’indomani della guerra. Il futuro della pace e della democrazia, la salvezza del pianeta, i lineamenti della nuova società che uscirà dalla transizione digitale ed ecologica oggi dipendono dalla capacità dell’Europa di farsi leader globale nella ricostituzione di un nuovo sistema internazionale; così come la capacità dell’Europa di assumersi questa responsabilità dipende dalla possibilità che l’Unione europea sia finalmente dotata “di un vero potere politico” – per usare sempre le parole di Spinelli, nel 1984 davanti all’Assemblea di Strasburgo nel presentare il suo “Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea” –; ossia che “abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federati le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.

Non è un caso dunque che il valore del Manifesto abbia ricevuto i suoi maggiori riconoscimenti pubblici proprio in questi ultimi anni, in cui l’Europa si è trovata davanti ad un bivio, minacciata da spinte disgregatrici interne ed esterne che ne hanno messo a rischio il futuro e l’esistenza. In un’Unione europea in gran parte prigioniera di un sistema intergovernativo utilizzato per regolare le questioni cruciali della sovranità, e resa precaria e fragile proprio da questo sistema, il richiamo agli ideali contenuti nel Manifesto ha la funzione non solo di motivare il sostegno al progetto europeo, ma anche di tenere viva l’indicazione federalista per poter superare lo stallo attuale.

Se ciò è avvenuto ed avviene è anche perché il nostro Movimento, nei decenni, ha saputo tenere alta la bandiera della battaglia federalista del Manifesto, portando avanti con un’azione politica tenace le rivendicazioni utili, nelle condizioni date del processo europeo, a far avanzare la costruzione europea in direzione federale, denunciando al tempo stesso i limiti e gli errori delle forze politiche e dei governi quando necessario (il che ha voluto dire: spesso), e contribuendo alla loro evoluzione tutte le volte che i fatti li hanno costretti ad abbandonare le illusorie soluzioni nazionali. E’ stata davvero una battaglia di decenni, spesso di resistenza, che ha fortemente contribuito ad impedire che la visione federale e federalista dell’Europa fosse inghiottita dal sistema e dal modello comunitario; e oggi, in questo momento decisivo in cui si decide il futuro della costruzione europea, l’alternativa federalista è potuta tornare, nuovamente dopo tanto, al centro del confronto sul cambiamento di cui l’Europa ha bisogno.

Starà ora anche a noi federalisti saper essere all’altezza della battaglia che si apre. Mentre molte forze condividono con noi ideali, valori, prospettive e priorità, e hanno idee chiare sulle politiche che dovranno fare l’Unione europea e i suoi Stati membri per fronteggiare le sfide drammatiche in campo economico, ambientale e sociale, e per colmare il divario generazionale e di genere, solo una minoranza ha consapevolezza della priorità, rispetto alla possibilità di attuare politiche efficaci, delle riforme politico-istituzionali necessarie a tale scopo. Forse l’esempio delle difficoltà che sta incontrando l’UE sul fronte dei vaccini – denunciato da molti con tanta chiarezza in questi giorni, uno fra tutti Sergio Fabbrini sul Sole24ore del 28 febbraio – aiuterà anche altri ad aprire gli occhi su quella che è la vera debolezza della nostra Unione: vale a dire la mancanza di una capacità di governo autonomo che la sottragga al ricatto dei 27 Stati membri in una serie di materie cruciali; una debolezza che si manifesta in modo drammatico e paralizzante, impedendo anche di sviluppare una visone e dei veri progetti, non appena entrano in gioco le relazioni esterne in materie che non siano esclusivamente commerciali, come l’umiliazione subita da Josep Borrell a Mosca ha brutalmente mostrato.

Il nostro ruolo per supportare, sia nei contenuti, sia nella strategia necessaria per allargarsi e rafforzarsi, il fronte ancora minoritario che possiamo chiamare federalista nel senso che capisce la priorità della battaglia per una riforma federale dell’UE, è e sarà davvero fondamentale. Si tratta di un fronte che comprende un’avanguardia all’interno del Parlamento europeo, alcuni governi nazionali (e sotto questo profilo quello italiano, con Draghi, rappresenta un valore aggiunto inestimabile), una parte della Commissione, e che deve essere raccordata con i Parlamenti nazionali favorevoli, per fare massa critica, e con la società civile. Sarà qui – e solo qui, deve esserci chiaro: non sui contenuti – che come federalisti faremo la differenza, con un’azione a tenaglia sulla politica e sui rappresentanti della società in senso lato, agendo sui vertici e nel territorio, per rendere viva alla base, e chiara ai vertici, la natura del cambiamento che serve all’Europa per diventare protagonista delle battaglie politiche per il progresso politico, civile e sociale.

Con questo spirito dovremo pensare ed organizzare il nostro contributo alla Conferenza sul futuro dell’Europa ormai in dirittura di partenza. La Conferenza non parte certo con un mandato forte e non è sicuramente una battaglia vinta in partenza; ma ha già creato molte aspettative, sta animando molte energie, e i federalisti – il MFE, la forza federalista, ma in generale il fronte delle forze consapevoli – dovrà saperla far diventare il volano del cambiamento europeo. La nostra parola d’ordine è chiara e nota da tempo, ed è già stata condivisa con tutto il fronte delle forze su posizioni federaliste: la priorità, la conditio sine qua non di un’Europa federale è l’attribuzione di una capacità autonoma fiscale all’UE, motore indispensabile per la nascita di un vero potere politico europeo autonomo e di tutte le altre riforme politico-istituzionali necessarie. Saper essere all’altezza di questa battaglia sarà il vero modo di celebrare degnamente l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene.


 

  

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