Articolo pubblicato il 19 maggio 2021 su Iusinitinere.
 

Il 26 marzo 2021 la Corte costituzionale tedesca ha ordinato di sospendere la conclusione dell’iter di ratifica sulla decisione UE, Euratom 2020/2053 (che abroga la decisione 2014/335/UE), adottata dal Consiglio europeo il 14 dicembre 2020, inerente al sistema delle risorse proprie inserito nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione 2021-2027.

Si tratta di un provvedimento giuridico che fissa le categorie di risorse proprie dell’Unione, stabilendo degli specifici massimali, ovvero l’ammontare massimo dei fondi che l’Unione può esigere dagli Stati, in un determinato anno, per finanziare i propri programmi di spesa. Mai come questa volta tale passaggio risulta cruciale, poiché consente di rendere operativo l’ambizioso progetto del Next Generation EU.

In virtù di questa sospensione, il Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha dovuto attendere la pronuncia della Corte prima di promulgare l’atto, già ampiamente approvato dal Bundestag e dal Bundesrat.

L’intervento della Corte costituzionale è avvenuto a seguito del ricorso presentato da circa 2000 individui, membri del “Bündnis Bürgerwille”, un gruppo di euroscettici guidati da Bernd Lucke, economista ed ex europarlamentare, nonché fondatore del partito di estrema destra “Alternative für Deutschland” (poi abbandonato) e del movimento dei riformatori liberalconservatori.

L’azione dei ricorrenti era focalizzata su una presunta violazione degli articoli 310 e 311 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), secondo cui il bilancio dell’UE, finanziato tassativamente tramite risorse proprie, deve chiudersi in pareggio; pertanto, dovrebbe ritenersi preclusa la possibilità di indebitamento emettendo titoli comuni di debito.

In particolare, l’articolo 311 TFUE sancisce che “il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie. Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione. In tale contesto è possibile istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali..

Il punto di vista della parte ricorrente richiamava anche la Carta costituzionale tedesca, in base alla quale è il Parlamento che ha la prerogativa di pronunciarsi sul bilancio nazionale e non sarebbe ammissibile una misura dell’Unione che prevarichi la sovranità nazionale, recando pregiudizio al debito dei cittadini tedeschi. Infatti, nel caso del Next Generation EU e in particolare durante le discussioni al Consiglio Europeo del luglio 2020, lo spettro di un “debito comune” aveva già avuto particolare risonanza, in quanto una comunitarizzazione del debito avrebbe derogato all’art. 125 TFUE che proibisce all’Unione e agli Stati membri di assumere gli impegni finanziari siglati dagli altri Paesi (clausola di non salvataggio, cd. no bail-out), fatte però salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico, quale in effetti parrebbe essere il NGEU. Ad ogni modo, ciò avrebbe potuto rappresentare una forma indiretta di “burden sharing” permanente del debito, sulla quale Berlino si è sempre opposta.

 

Ciò premesso, la Corte tedesca ha deciso di respingere il ricorso cautelare mediante la citata ordinanza del 15 aprile 2021, pur dichiarando di continuare il suo esame del caso. Dalla disanima del suo giudizio emerge che, nonostante la Corte riconosca che non si possa trascurare la circostanza per cui la decisione sul sistema delle risorse proprie confligga parzialmente con le prerogative in materia di bilancio del Bundestag, difficilmente la responsabilità di bilancio del Parlamento tedesco potrà essere intaccata.

La Corte ha inoltre affermato che le caratteristiche del Next generation EU in termini di obiettivi, lunghezza temporale e importi totali siano fissate in maniera piuttosto circoscritta, rendendo parimenti limitata la potenziale responsabilità della Germania in caso di inadempienza da parte degli altri Stati.

L’intervento della Corte tedesca sulle decisoni prese dalle istituzioni europee non è di certo inedito, soprattutto in materia economico-finanziaria. Da un rapido excursus storico è possibile rendersi conto delle numerose volte in cui la Corte ha assunto un ruolo di severo interlocutore, sempre attento a tutelare gli interessi tedeschi, in specie la centralità dell’organo legislativo nazionale.

Emblematico è il caso del Public Sector Purchase Programme (PSPP), noto anche con il nome di Quantitative Easing, tramite il quale la Banca centrale europea dal 2015 cominciò ad acquistare, sul mercato secondario, una quota considerevole del debito pubblico degli Stati per risollevare l’Eurozona dalla profonda depressione economica successiva alla crisi del debito sovrano del 2011.

La vicenda ebbe inizio il 18 luglio 2017, quando la Corte costituzionale venne adita da alcuni cittadini tedeschi, i quali contestavano la legittimità del PSPP ritenendolo ultra vires, ossia al di fuori del mandato della BCE. Il Tribunale tedesco interpellò la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi della competenza pregiudiziale riservata a quest’ultima dall’art. 267 TFUE. Tale competenza viene esercitata riguardo a una fattispecie giuridica sorta in un processo nazionale, relativa all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione, la cui soluzione sia necessaria affinché il giudice nazionale possa decidere la causa. In situazioni analoghe il giudice nazionale deve infatti sospendere il processo e rinviare la questione all’esame della Corte di giustizia. Una volta emanata la sentenza da tale Corte, il giudice nazionale, obbligato a ottemperarvi, conclude la causa con propria sentenza .

Nel caso di specie, i giudici europei affermarono la legittimità dell’azione della Banca centrale europea, ribadendo nella sentenza Weiss  quanto già sostenuto in altre sentenze (in primis nella sentenza Pringle), ovvero la necessità di fare riferimento, principalmente, agli obiettivi della misura stessa, senza considerare gli effetti indiretti eventualmente prodotti. In particolare, la Corte dichiarò che afferiscono alla politica monetaria i provvedimenti volti a mantenere la stabilità dei prezzi, mentre nella politica economica rientrano le misure dirette a preservare la stabilità finanziaria dell’intera zona euro.

La questione salì nuovamente alla ribalta qualche tempo dopo, quando la Corte tedesca venne nuovamente chiamata a pronunciarsi sullo stesso caso.

A seguito della sentenza del 5 maggio 2020, la Corte tedesca affermò che, malgrado il Quantitative easing non fosse del tutto contrario all’ordinamento europeo, la Corte di Giustizia aveva sostanzialmente agito in modo arbitrario, sia in tema di riconoscimento di competenze della BCE non previste dai Trattati che sotto il profilo della necessità e della proporzionalità delle azioni adottate. Conseguentemente, dette misure non avrebbero costituito un vincolo per la Germania e la Banca centrale tedesca avrebbe potuto decidere di non prendere parte al PSPP, in mancanza di chiarimenti dalla Banca centrale europea.

Premesso che la Corte di Giustizia, con un comunicato ufficiale dell’8 maggio 2020, arrivò a ribadire la propria esclusiva competenza nel valutare la conformità di un atto degli organi europei all’ordinamento dell’Unione, nelle settimane successive si lavorò senza sosta per risolvere il conflitto istituzionale.

La soluzione all’impasse si materializzò in seguito alla comunicazione resa dal Consiglio della Banca centrale europea nella riunione del 3-4 giugno 2020. Il Ministero delle finanze tedesco, da un lato, e il Bundestag, dall’altro, espressero grande soddisfazione nei giorni seguenti sulle delucidazioni fornite dalla BCE, e la sentenza non ebbe ulteriori conseguenze.

L’intervento della Corte costituzionale tedesca nel procedimento riguardante la ratifica in Germania della decisione sul sistema delle risorse proprie dell’Unione europea ha rappresentato un ostacolo non da poco nell’attivazione del Next Generation EU. L’incertezza nei tempi e nei risultati relativi alla sospensione rischiavano di minare la ripresa economica del Vecchio continente, quanto mai dipendente dall’utilizzo dei nuovi fondi.

Nella fase cautelare la Corte tedesca ha ritenuto meno gravi le conseguenze derivanti dal rischio di incostituzionalità della legge di ratifica del sistema di risorse proprie rispetto ai destabilizzanti esiti connessi all’accoglimento del blocco temporaneo alla ratifica. In quest’ultimo caso, infatti, i tempi di erogazione degli aiuti del Next Generation EU si sarebbero quanto meno dilatati, innescando notevoli ripercussioni sull’intera Unione, alle prese con una recessione economica senza precedenti dal dopoguerra.

Disinnescato il problema della ratifica tedesca, resta tuttora un margine di preoccupazione tra le cancellerie europee dovuto[..] alla prosecuzione nell’esame del ricorso, che dovrà arrivare all’emanazione del giudizio di merito della Corte [..].

Ad ogni modo, non v’è dubbio che un primo risultato sia già stato incassato dai ricorrenti, dato l’ampio clamore mediatico suscitato dall’episodio. Durante un recentissimo dibattito al Bundestag, per esempio, la cancelliera tedesca Angela Merkel si è affrettata ad affermare che il NGEU sia un programma temporaneo, ribadendo il rifiuto di una permanente mutualizzazione del debito europeo.

Resta da vedere se queste parole siano solo contingenti o se dalle stesse possa desumersi la mancata volontà di far progredire il processo di integrazione europea.

 

  

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