“NextGenerationEU non è soltanto un piano per la ripresa. Si tratta di un'occasione unica per uscire più forti dalla pandemia, trasformare le nostre economie, creare opportunità e posti di lavoro per l'Europa in cui vogliamo vivere. Abbiamo tutto ciò che serve per riuscirci. Abbiamo una visione per il futuro, abbiamo un programma e abbiamo concordato di investire insieme 750 miliardi di euro. È giunto il momento di metterci al lavoro, di rendere l'Europa più verde, più digitale e più resiliente.”

Con queste parole inizia la presentazione del Piano per la ripresa dell’Europa nel sito internet della Commissione europea. Un’Europa più verde è quindi la prima delle tre priorità che definiscono gli obiettivi del Piano che l’UE ha messo in campo per i prossimi 7 anni per riprendersi dalla crisi e affrontare le sfide economiche e sociali poste dal riscaldamento globale, dalle nuove tecnologie e dalla competizione internazionale.

Lo sviluppo delle risorse rinnovabili, l’agroecologia, l’economia circolare, la mobilità a zero emissioni, la biodiversità sono i temi della transizione ecologica all’ordine del giorno dei governi di tutto il mondo e l’Unione Europea è da tempo attenta a questi temi ed è impegnata a promuovere le politiche favorevoli all’ambiente sia dei paesi dell’UE sia con gli accordi siglati a livello internazionale. L’obiettivo della Commissione è infatti quello di mantenere la posizione di leadership raggiunta dell’UE in questo campo; anche per questo ha stabilito di riservare alla lotta ai cambiamenti climatici il 30% dei fondi europei, la più alta percentuale di sempre per il bilancio dell'UE.

Il Piano NGEU dovrà essere implementato dagli Stati membri, che devono presentare alla Commissione un pacchetto coerente di riforme e investimenti per il periodo 2021-2026 che soddisfi i principi e gli obiettivi generali del Piano europeo. Un aspetto critico è quindi rappresentato dalle “linee guida”, sia del Piano europeo che di quelli nazionali, in cui gli obiettivi sono dettagliati e che determinano chi riceverà i finanziamenti: è a questo livello che si sono mosse le aziende con le loro organizzazioni di categoria e hanno cercato di inserirsi le organizzazioni ambientaliste.

Le pressioni sulla Commissione si sono concentrate sulla stesura della lista delle fonti energetiche e delle pratiche economiche che riceveranno i finanziamenti del Piano e, di conseguenza, di quelle che ne saranno escluse. Le discussioni hanno riguardato in particolare l’esclusione del carbone e del legno, le compensazioni da assegnare ai Paesi le cui economie saranno più danneggiate e gli investimenti nel settore del gas, che alcuni vorrebbero promuovere nel periodo di transizione, mentre altri temono che riducano le risorse disponibili per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. E’ il caso, per esempio, della decisione di investire o meno nel biogas, come pure, per quanto riguarda la l’idrogeno – uno dei principali vettori energetici verdi -, della scelta tra produrlo con il gas piuttosto che con le fonti rinnovabili. Hanno fatto discutere anche le pratiche di greenwashing con cui aziende, organizzazioni e istituzioni politiche cercano di proteggere attività o prodotti che danneggiano l’ambiente attraverso pratiche di pubblicità ingannevole.

E’ opinione condivisa che la pandemia e le sue conseguenze economiche e sociali abbiano spinto gli europei a cercare soluzioni comuni alla crisi e che con il Piano NGEU, soprattutto con la decisione di finanziarlo anche con prestiti reperiti dalla Commissione per conto dell’UE, abbia ridato slancio al processo di integrazione europea. Le discussioni intorno al Piano europeo hanno anche messo in luce, purtroppo ancora in modo troppo poco importante, il ruolo crescente delle istituzioni europee come interlocutori delle organizzazioni che rappresentano le esigenze delle imprese e dei cittadini.
Sembra ormai assodato che per questioni rilevanti, come quelle della lotta al riscaldamento globale, della transizione digitale e di quella energetica, ai rappresentanti delle forze economiche e di quelle sociali non basti più l’azione a livello nazionale. Si tratta di un fenomeno ancora debole, come dimostra il fatto che l’attività politica che si svolge a livello europeo veda ancora protagonisti il personale diplomatico dei governi e i lobbisti invece dei partiti e dell’opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione.

I governi cercano ancora di tenere sotto il proprio controllo le leve della politica europea, anche se risulta sempre più evidente l’inadeguatezza delle attuali istituzioni europee, soprattutto quella del Consiglio, nell’affrontare in modo efficace le questioni più importanti.
Il Piano NGEU, per esempio, è stato concepito in Europa, ma dovrà essere implementato dagli Stati. E’ a quel livello, quindi, che gli interessi entrano nel vivo, e che risiede ancora il potere, mentre le istituzioni europee - non solo la Commissione e il Parlamento europei, ma lo stesso Consiglio – possono solo ricorrere a minacce proco credibili, come quelle di rigetto dei piani nazionali o di taglio dei finanziamenti, per cercare di imporsi agli Stati.

Ben diversa sarebbe la situazione se le istituzioni europee potessero finanziare in proprio, senza ricorrere agli Stati, i piani europei, almeno per i progetti che hanno una portata continentale. Non solo ci si raggiungerebbero più facilmente gli obiettivi comuni, ma la Commissione acquisterebbe più forza nell’indirizzare i piani nazionali, che, progettati sulla base del principio della sussidiarietà e in coerenza con le politiche comuni europee, avrebbero maggiori possibilità di incidere positivamente sulle realtà nazionali.
Da non trascurare sarebbe l’effetto sulle opinioni pubbliche: ne guadagnerebbe molto lo spirito democratico, in termini di trasparenza e di accountability, perché le decisioni economiche e finanziarie prese a livello europeo dipenderebbero dalle discussioni e dai voti all’interno di un parlamento piuttosto che nel segreto delle attuali riunioni dei governi. Ne guadagnerebbe anche lo spirito di appartenenza alla stessa comunità, dando forza alle politiche europee e alla proiezione esterna dell’UE: oggi le imprese e i cittadini si sentono rappresentati prima di tutto dai loro governi e per questo sono spinti a contrapporsi agli altri Stati e alle istituzioni europee.

E’ con lo scopo di superare questi limiti dell’UE che l’MFE propone da tempo un budget europeo finanziato da risorse proprie, come prerequisito per poter programmare dei piani di investimento nelle infrastrutture che siano veramente europei. Questo budget dovrebbe essere approvato dal Parlamento Europeo e da un Consiglio riformato come Camera degli Stati; dovendo ricorrere a forme di tassazione decise da istituzioni direttamente responsabili verso i cittadini, si creerebbero così le condizioni per un vero dibattito europeo.

La Conferenza sul futuro dell’Europa è un’occasione importante per portare queste idee all’attenzione dei cittadini europei e delle organizzazioni che li rappresentano. Invitiamo tutti ad accedere alla Piattaforma digitale della Conferenza per condividerle, ma soprattutto a mobilitarci per discuterne con i cittadini e a far sentire la loro voce sulla Piattaforma.

 

  

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