Già sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni, Sandro Gozi è eurodeputato di Renew eletto in Francia e segretario generale del Partito Democratico europeo.

Sandro Gozi, condivide il pensiero del presidente Mattarella sulla necessità che l'Europa promuova una politica comune in materia di difesa?

«Concordo con il capo dello Stato che, su questi temi, si è espresso anche nella manifestazione dei Federalisti europei a Ventotene cui ho partecipato. Il presidente Mattarella ha introdotto un tema essenziale, in una fase che definisco darwiniana nella vita dell'Unione europea».

Cosa significa?

«Siamo di fronte a più sfide e c'è bisogno di una elevata capacità di adattamento. L'Europa deve dimostrare di sapere adattarsi e deve rapidamente dotarsi di una politica comune sulla sicurezza che si unisca alle risposte economiche».

Cosa insegna la crisi afghana alla politica europea?

«Ci pone di nuovo di fronte a questioni aperte da anni. Mi riferisco ai nuovi flussi di immigrati che vanno gestiti e non subiti. Su questo, l'Europa deve comportarsi da soggetto politico e governarli con scelte comuni. Se si va di nuovo in ordine sparso seguendo le tesi delle estreme destre, non andiamo lontano. Dobbiamo distinguerci da chi si scandalizza per la partenza dei militari americani da Kabul e poi rifiuta di accogliere i profughi afghani. Esprimono veti inaccettabili per le istituzioni europee».

Cosa dovrebbero fare le istituzioni europee, su questo tema?

«Credo che subito l'Europa debba dotarsi di un piano comune sulle migrazioni, senza attendere la modifica degli accordi di Dublino ».

Crede sia possibile in questa fase politica?

«Sì, sull'asse Roma-Parigi, con il presidente Draghi che guida ormai il G20. Sono proprio Macron e Draghi a doversi assumere il ruolo di leadership, in una fase di transizione politica della Germania alle prese con il post era Merkel».

Anche sulla necessità di avviare una politica unitaria in tema di sicurezza e difesa, come auspica il presidente Mattarella?

«Sicuramente. Sono convinto, come il capo dello Stato, che questo sia un tema vitale per il futuro dell’Europa come soggetto politico autonomo capace di gestire i propri interessi punto siamo di fronte a un passaggio storico fondamentale e l'Europa viene chiamata a diventare una potenza anche militare, con strumenti che peraltro già possiede».

C'è chi sostiene che c'è già la Nato per gli interventi militari anche nelle missioni di pace. Che ne pensa?

«Anche la Nato va ripensata e deve adattarsi ai cambiamenti, che non ci consentono più una totale dipendenza dagli Stati Uniti. Di fronte a minacce comuni, l'Europa deve avviare la strada delle politiche unitarie sulla difesa. È una sfida geopolitica non più rinviabile ».

Con quali strumenti?

«Esistono battaglioni militari dell'unione europea. Una forza di cinquemila uomini dovrebbe essere sempre pronta a intervenire in aree di crisi, per superare emergenze improvvise, come è stata quella dell'evacuazione dei profughi da Kabul. Partendo dal Sahel ad esempio, dove la Francia ha forti interessi, questa forza militare dovrebbe essere sempre pronta a intervenire. Per l'Europa, si tratta di passare dalla fase dell'adolescenza a quella della maturità».

Una politica comune sulla sicurezza significa decisioni europee sulle missioni di pace?

«Credo che dobbiamo superare l'ipocrisia di definire di pace delle missioni che si rivelano di guerra. Si tratta, in maniera più ampia, di garantire interessi comuni anche sulla cybersicurezza, o sulla difesa di poli industriali strategici. Una politica che può consentirci di diventare protagonisti e non più semplici spettatori nella nuova competizione globale oggi in corso tra Cina, Russia e Stati Uniti».

Un’Europa politicamente e militarmente più forte?

«Un’Europa protagonista internazionale, che si adatta ai nuovi scenari politici. Nell'immediato, c'è da decidere aiuti agli Stati vicini all’Afghanistan che subiscono imponenti flussi migratori, ma anche essere molto chiari e molto esigenti con il governo talebano. Poi tenersi pronti, per un eventuale intervento rapido di emergenza ».

Crede che questo sia realisticamente possibile?

«Se va avanti l'asse Francia-Italia penso di sì. Le occasioni ci sono, legate alla guida italiana al G20, alla presidenza di turno francese dell’Ue e alla probabile rielezione di Macron nel 2022».

 

  

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