Mario Draghi è senza dubbio un tecnico economico e finanziario: lo dimostrano diverse attività svolte e la successione degli incarichi affidatigli, di cui alcuni con responsabilità decisionali di natura politica. Questo gli consente di capire gli effetti durevoli che avranno i provvedimenti che gli vengono proposti o che come co-decisore propone agli altri responsabili delle scelte; questo gli conferisce credibilità e autorevolezza nelle riunioni a cui partecipa con poteri decisionali, in particolare comunitarie. Le capacità tecniche non sono sufficienti per convincere i più; è necessario individuare l'obiettivo strategico chiaramente annunciato e adottare la decisione di usare tutti gli strumenti disponibili per realizzarlo nell’ambito di sua competenza.

Come abbiamo visto nel caso della salvezza dell'euro quando molti ritenevano che la moneta unica non avrebbe potuto sopravvivere alle diversità economiche dei paesi membri che negavano la qualità di area monetaria ottimale a quella della moneta unica; è stato l'obiettivo annunciato con forza e decisione a convincere da un lato i mercati e dall'altro il sistema delle banche centrali partecipanti alla BCE. Una volta accettato come irrinunciabile obiettivo strategico della permanenza dell’euro, per i paesi aderenti all'unione monetaria sarebbe stato troppo costoso, internamente ed internazionalmente, bloccare il percorso disegnato da Draghi, sottraendogli gli strumenti individuati.

Assunto l'incarico di Presidente del Consiglio in Italia l'obiettivo primario era ed è ancora quello di garantire il successo nel nostro paese e tramite questo in Europa del piano politico Next Generation EU, tradotto in Italia nel PNRR. Un piano nel quale si perseguano quelle riforme che migliorino la capacità di gestione dell’innovazione da parte delle amministrazioni pubbliche e del quadro legale in cui possono operare le imprese in condizioni concorrenziali con investimenti infrastrutturali che riducano le differenze territoriali e ambientali; che in sintesi consentano all’economia e ai servizi sociali non solo di recuperare le perdite causate dalla pandemia, ma di far convergere l’Italia con gli sviluppi avuti dai paesi centrali dell’area euro negli ultimi 25 anni e non solo di recuperare i danni generati dalla pandemia che vanno al meglio recuperati.

Il tasso di crescita del PIL nel 2021 dimostra che il rimbalzo è già stato promettente; ma la gestione di un programma poliennale di crescita richiede consensi agli investimenti produttivi che troppo spesso sono mancati e hanno lasciato spesso inutilizzati i risparmi così abbondanti in Italia (è questa la politica di resilienza o resistenza alle situazioni congiunturali deboli grazie a politiche anticicliche e di trend positivo). Tutte scelte strategiche che non possono essere estemporanee e pertanto richiedono un progressivo aggiornamento delle consolidate politiche di breve termine dei partiti. Possono mantenere una sostanziale unità con Draghi mediatore e protagonista della politica europea dell’Italia anche nella realizzazione degli obiettivi di rafforzamento istituzionale auspicato con la Conferenza sul futuro dell’Europa, inclusa la trasformazione del Consiglio europeo in Senato dell’Europa federanda.

Si affida a Draghi di proporre le soluzioni per l’unione bancaria, per il mercato europeo dei capitali con incluso il compito di equilibrare risparmio e investimenti (con euro-bond), un bilancio comunitario dotato più di risorse proprie. Si deve garantire la permanenza del governo attuale pienamente operativo per il resto della legislatura. Oppure si licenzia Draghi per andare in un’alternanza di governo tra centro-destra (l’Italia di Visegrad) e centro-sinistra (accordo Francia, Germania, aperto a Italia ed altri?) con due politiche europee ed estere alternative, bloccando Draghi, in posizione di garante settennale, al Quirinale. Elezione significativa se si accettano gli obiettivi strategici adottati, ci si impegna a gestirne la realizzazione in un quadro europeo rafforzato e in quelli multilaterali (atlantico, delle democrazie delle comunità continentali). Inoltre una politica estera attiva deve includere l’ONU e le sue agenzie ed in particolare il FMI per un’evoluzione multidivisa del sistema monetario di riferimento (vedi proposte del Gruppo Triffin).

Il governo del multilateralismo è il punto che resta troppo debole ed episodico. Le agenzie dell’ONU non bastano perché le grandi potenze protagoniste sono troppo eterogenee, l’importanza relativa dei due insiemi atlantici è destinata a ridursi e una delega agli USA a scegliere anche per gli allenti non funziona più. Ci vuole una nuova iniziativa basata su un’evoluzione strategica dell’OCSE. Anche qui ci può essere un ruolo italiano tramite Draghi, ma bisogna scegliere cosa affidargli e con che tempi, le astuzie sovraniste in funzione delle elezioni francesi hanno il respiro troppo corto, come in altri casi possono deludere Orban e alleati.

Tra un mese sapremo le scelte operate dai grandi elettori e quindi dai partiti italiani e poi dagli elettori francesi. In ogni caso bisogna vigilare, perché dopo la caduta della CED De Gasperi fu emarginato dalla DC, la Francia fu incastrata in posizioni nazionalistiche, la Germania restò in attesa e vi fu un arresto della costruzione europea. Ancora una volta, come indicato nel Manifesto di Ventotene la separazione tra progressisti e reazionari è tra chi è pronto a costruire la Federazione europea e chi vuole chiudersi negli stati nazionali pienamente sovrani tendenzialmente autarchici. Sin da ora vigilare, testimoniare e mantenere l’iniziativa.

  

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