Nel 1970, il premio Nobel per la biologia Jacques Monod pubblicava un saggio filosofico-scientifico dal titolo “Il caso e la necessità”, in cui illustrava la sua visione dell’evoluzione della vita. Negando l’esistenza di un grande disegno o di una volontà creatrice, Monod sosteneva che il comportamento ed il destino di ogni essere vivente sulla terra, incluso l’uomo, fossero determinati da due forze dominanti: il caso, quale dato immanente della realtà, e la necessità, cioè la selezione naturale che permette agli esseri viventi l’identificazione dei meccanismi biologici indispensabili per la sopravvivenza. Monod usava queste categorie non solo per spiegare l’evoluzione della vita sulla terra, ma anche per determinare l’autentico compito dell’umanità nella storia: mettere da parte le illusioni, quali l’etica o la fede, e dedicarsi solo alla ricerca della conoscenza di ciò che, volenti o nolenti, accadrà per caso o per necessità.

Agli occhi degli studiosi delle scienze umane e ancora di più degli attivisti politici una simile impostazione non può che far sorridere. Certo potremmo sbagliarci, ma chi studia la storia ed i processi politici tende a rifiutare tanto la favola deterministica, per cui le cose non potevano andare diversamente, quanto quella indeterministica, per cui siamo dominati dal caos. Chiunque sposi una causa politica e si batta per essa, poi, è convinto in cuor suo che il destino delle società umane dipenda soprattutto dalle libere scelte dei suoi membri, da cui deriva la responsabilità di impegnarsi per cambiare il corso degli eventi. I grandi orrori della storia, così come le sue grandi conquiste non sono state solo il frutto del caso e della necessità, ma sono dipese in modo decisivo dalle scelte di attori più o meno consapevoli. Era questo anche il messaggio di Spinelli ai militanti federalisti: l’Europa non cade dal cielo! Così, il passaggio dall’età internazionale all’età federale della storia dell’umanità non si verificherà da solo, ma dipenderà dall’esito di una battaglia politica, che è già in corso. Si badi bene: non si intende rifiutare le conclusioni di Monod sulla base di argomenti scientifici (l’autore di questo editoriale non ne possiede le competenze). Piuttosto si contesta il tentativo di trarre giudizi filosofici sull’irrilevanza della libertà e dell’etica a partire da ipotesi relative alla comparsa della vita cellulare sulla terra. Allo stesso tempo, bisogna ammettere che il discorso di Monod non possa essere del tutto liquidato. Il caso e la necessità, per quanto insufficienti a comprendere il comportamento delle società umane e il loro destino nella storia, giocano un ruolo importante, incluso nelle battaglie politiche.

Facciamo alcuni chiarimenti terminologici: nel contesto politico per “caso” si intende la fortuna, cioè l’insieme dei fattori che non dipendono dalla volontà dei militanti, ma comunque favoriscono il risultato auspicato. La necessità invece va intesa come l’insieme degli elementi fattuali che rendono obbligata una certa azione al fine della preservazione di un certo interesse politico. A queste due forze della storia, se ne aggiunge una terza, che evidentemente è in contrasto con le teorie di Monod: la volontà. In politica, essa potrebbe essere definita come l’impegno individuale e collettivo degli attivisti volto al raggiungimento di un certo risultato non scontato.

Alcuni spunti di riflessioni sull’importanza di queste tre forze possono essere sviluppati guardando alla storia del processo di integrazione europea.

Si pensi alla creazione della moneta unica. Il “caso” ha voluto che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 si verificasse un’occasione irripetibile per realizzarla: non solo il crollo del muro di Berlino produceva nuovi equilibri nel vecchio continente, ma la Presidenza di Mitterand in Francia e di Kohl in Germania garantivano all’Unione una leadership occasionale efficace.  Allo stesso tempo si sono verificati dei forti elementi di necessità che hanno spinto anche i governi più riluttanti ad accettare la prospettiva della moneta unica: il succedersi di crisi finanziarie aveva portato al definitivo fallimento dello Sistema monetario europeo nel 1992, mentre il mercato unico aveva bisogno di essere completato per garantire all’Unione di competere con le altri grandi economie del mondo, in particolare gli Stati Uniti e il Giappone. Inoltre, la questione della riunificazione tedesca obbligava la Germania ad offrire ai suoi alleati delle garanzie circa il suo impegno pro-europeo. In questo contesto, il messaggio dei federalisti che da oltre un decennio si erano battuti per la creazione della moneta unica ebbe finalmente ascolto.

L’importanza del caso e della necessità nel successo delle battaglie politiche può essere rinvenuto guardando anche a quelle perse. Si pensi alla creazione della Comunità europea di difesa all’inizio degli anni ’50. Il fortunato risultato del Trattato CED, reso possibile dall’impegno dei federalisti da poco organizzatisi in movimenti in tutta Europa, veniva bocciato dal Parlamento francese, dove una parte decisiva di deputati riteneva non più necessaria la creazione di un esercito europeo in seguito alla distensione con il blocco sovietico (complice la morte di Stalin nel 1953). Un esempio più recente è offerto dalla crisi del debito sovrano tra il 2009 e il 2012. L’impegno dei federalisti e di gran parte delle forze europeiste a favore di riforme coraggiose e necessarie, quali la creazione degli eurobond o di una capacità fiscale della zona euro, si è infranto davanti all’ottusità della leadership politica tedesca, ideologicamente preclusa all’idea del debito comune, che ha sostenuto soluzioni intergovernative meno efficaci, come l’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità.

In conclusione, l’impegno dei federalisti ha successo e fa la differenza quando, approfittando degli elementi contingenti favorevoli alla causa dell’Europa unita, riesce a far leva sulla necessità degli Stati membri di risolvere problemi impellenti per i quali soluzioni efficaci possono arrivare solo dall’integrazione europea.

Alla luce di queste riflessioni, quali prospettive di successo hanno le proposte più coraggiose di riforma emerse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa grazie al lavoro del MFE e dell’UEF? Ebbene, il caso e la necessità sembrano giocare a favore della causa federalista. Si considerino per prime le contingenze che si sono verificate in questo momento storico: la pandemia e la guerra in Ucraina nella loro tragicità hanno fortemente ricompattato il fronte occidentale e la stessa Unione europea verso la ricerca di soluzioni comuni. Allo stesso tempo, caso unico nella storia, in Francia, Germania e Italia sono presenti delle leadership fortemente a favore dello sviluppo di una sovranità europea, se non esplicitamente di un’evoluzione federale dell’Unione. Quanto alla necessità, i governi da soli faticano a tutelare gli interessi essenziali dei loro cittadini, la cui sicurezza e benessere sono ormai in pericolo con l’arrivo della stagflazione, le difficoltà nell’approvvigionamento del gas e la guerra ai confini dell’Europa. In questo contesto, aumentano le possibilità che le proposte federaliste sviluppate nel corso della Conferenza, in particolare la creazione di una competenza fiscale autonoma dell’Unione, la soppressione del diritto di veto nel Consiglio, l’avvio della difesa comune e la creazione di una politica energetica dell’Unione, vengano fatte proprie dalle istituzioni europee e da un gruppo decisivo di Stati.

Detto questo, non è detto che, nonostante il contesto favorevole, la “finestra di opportunità” aperta dalla Conferenza sul futuro dell’Europa venga effettivamente sfruttata. Ci sono mille ragioni di politica interna ed estera, per cui le leadership in teoria favorevoli alle riforme necessarie alla sopravvivenza degli Europa decidano di tergiversare finché non sarà troppo tardi. La fragilità del quadro politico è stata confermata dai risultati delle elezioni legislative in Francia e lo sarà ancora di più da quelle del prossimo anno in Italia. Nulla è dato per scontato ed è qui che entrano in gioco le forze progressiste che vedono nell’evoluzione federale dell’Unione la chiave per il futuro. In questi mesi chiave, dopo il grande lavoro fatto durante la Conferenza, i federalisti europei devono continuare a rimboccarsi le maniche: bisogna fare pressione sulle istituzioni europee ed i governi affinché le proposte più avanzate della Conferenza vengano effettivamente discusse ed introdotte nel progetto riforma dei Trattati la cui procedura è stata da poco attivata. Ancora una volta, non saranno il caso e la necessità a determinare il destino degli europei: ciò che farà la differenza è l’impegno politico di chi crede nel futuro federale dell’Europa.

 

 

  

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