Durante il XX secolo l’Europa ha sperimentato il fascismo, il nazismo, le dittature, il comunismo ed i conflitti etnici, ma ha anche cercato di promuovere la pace, la democrazia e la solidarietà attraverso l’avvio del processo di integrazione europea. Un processo che ha prodotto una incredibile costruzione istituzionale ed economica che non ha eguali nel mondo e che si è posta all’avanguardia nell’affermazione di una cittadinanza che andasse al di là di quella locale e nazionale. La storia recente, tuttavia, a partire dalla Brexit, ha mostrato come l’unità europea sia tutt’altro che irreversibile, anzi, lo sviluppo di correnti nazionalpopuliste testimonia come i risultati finora raggiunti non siano unanimemente riconosciuti e condivisi. Le crisi che si stanno succedendo, con il crescente nazionalpopulismo, sia nell’Europa occidentale sia in quella orientale, testimoniano quanto sia tuttora fragile l’assetto istituzionale europeo. Anzi, il mito del declino dell’Europa rispetto all’ascesa delle grandi potenze continentali extra europee, alimentando l’illusione della superiorità e ineluttabilità del mito nazionale, in assenza di un progetto di rafforzamento a breve dell’unione politica, non fa che accrescere l’influenza e l’appeal dei movimenti d’opinione e delle forze politiche che tendono a delegittimare il progetto europeo. Ma basterebbe un rapido sguardo alla recente storia europea per rendersi conto di quali e quante ragioni e di quali e quante forze politiche e sociali si sono sprigionate in questi ultimi settant’anni a sostegno del progetto di unificazione europea.

Il libro di Robert Belot e Daniela Preda, Visions of Europe in the Resistence, Figures, Projects, Networks, Ideals (Peter Lang, Bruxelles 2022) ne è una preziosa testimonianza, attraverso un excursus storico che ripercorre la nascita dell’idea europea nel corso della resistenza al nazi-fascismo in generale, e in particolare nel movimento antifascista in Italia e tra gli esiliati in Europa, a partire da Rossi e Spinelli, e da figure quali Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet. In generale, quando si considerano i contributi emersi durante la resistenza a favore dell’unità europea, oltre che in Italia, anche in Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, non si può fare a meno di constatare quanto diffusa fosse già allora la consapevolezza della crescente interdipendenza politica, economica e culturale fra tutti i popoli e della particolare responsabilità che ricadeva, e che tuttora ricade, sugli europei nel promuovere la nascita di un nuovo assetto istituzionale sopranazionale. Non è del resto casuale il fatto che già prima dell’8 settembre 1943 Rossi e Spinelli avessero pensato di organizzare in Svizzera una prima conferenza federalista europea. Come ricorda Altiero Spinelli nel suo libro Come ho tentato di diventare saggio, “Come dei pescatori sulla riva, incominciammo a gettare i nostri ami per pescare i federalisti europei che si trovavano in acque svizzere, della cui esistenza eravamo ormai sicuri. Così preparavamo, traducevamo e distribuivamo articoli ed opuscoli, firmandoci con pseudonimi su giornali e settimanali, ed inviavamo lettere e rapporti, organizzando incontri e studiando la letteratura federalista nella biblioteca della Lega delle Nazioni”. In quegli anni Spinelli intesse contatti con esponenti del Movimento popolare svizzero per la federazione dei popoli. Perché, come ricorda sempre Spinelli, nella libera Svizzera era ancora possibile raccogliere “molto più precise ed abbondanti informazioni di quelle di cui potevamo disporre a Ventotene”. Con il gruppo dei rifugiati in Svizzera, anche grazie alla presenza di un federalista come Luigi Einaudi, si sviluppò una profonda condivisione dell’idea di promuovere una azione federalista su scala europea perché, come ebbe a scrivere Luigi Einaudi, “era ormai evidente la necessità di rimuovere alle radici le cause della guerra… Se l’Italia prendesse un’iniziativa in tal senso, dovremmo sostenerla senza esitazioni, consapevoli del fatto che il sacrificio di parte dell’illusoria e perniciosa sovranità assoluta arricchirebbe la vera sovranità, che consiste nel perseguire il bene comune e la crescita del nostro paese. Siamo sicuri che in un’Europa federata, gli italiani non correrebbero il rischio di rimanere ultimi in questa corsa. E siamo sicuri che gli italiani sapranno distinguersi in questa battaglia e che contribuiranno a vincerla”.

 

 

  

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