Pochi giorni prima delle elezioni politiche italiane dello scorso anno, il leader di partito che poi sarebbe emerso come grande vincitore, Giorgia Meloni, saliva su un palco a Milano, microfono alla mano, per dire chiaramente quale sarebbe stato l’atteggiamento di un, allora ancora eventuale, Governo di centrodestra nei confronti dell’Europa. “In Europa sono un po’ preoccupati, che succederà? Succederà che è finita la pacchia, succederà che anche l’Italia si metterà a difendere i suoi interessi nazionali”.
Per qualunque conservatore, sovranista o euroscettico, tale discorso sarà sicuramente apparso come convincente e credibile. D’altronde, la posizione di Meloni e Fratelli d’Italia sulle politiche comunitarie non ha mai fatto apparire alcun passo ulteriore rispetto all’Europa degli Stati nazionali in tutto l’ultimo decennio di opposizione. Eppure, una volta superato il voto, il nuovo Presidente del Consiglio ha dovuto fare i conti con una realtà diversa da quella raccontata: certi temi - per quanto talvolta siano più incisivi verso alcuni Stati rispetto ad altri - non possono essere affrontati singolarmente, necessitano di una coesione. Migrazioni e politiche migratorie su tutti.
Oggi queste sono codificate nel Regolamento di Dublino, un testo che pare scontentare chiunque in Italia, sia i partiti che auspicano una maggiore integrazione europea, sia quelli che contro le politiche europee hanno negli anni fondato gran parte della propria propaganda, gli stessi che non sopportano l’idea di non poter controllare il fenomeno migratorio. Paradossalmente, il Regolamento che questi ultimi, oggi al Governo, non hanno la minima intenzione di riformare - affiancandosi agli altri esecutivi conservatori d’Europa - è di intralcio innanzitutto per i Paesi di primo approdo, come l’Italia, affacciata sul Mediterraneo, cui sono affidate eccessive responsabilità. Nel corso della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 9 febbraio, sebbene le migrazioni fossero il terzo punto all’ordine del giorno, redatto in ordine di importanza e urgenza, nessun progetto di riforma è stato avanzato. E proprio per la propaganda portata avanti, non ci si poteva aspettare fosse l’Italia di Meloni a farlo. Come ormai da anni a questa parte, i capi di Stato e di Governo hanno lasciato Bruxelles con la promessa di intensificare il lavoro e il coordinamento tanto con i Paesi d’origine quanto con gli altri Paesi membri, con la parziale delega a Commissione e Consiglio sul tema dei visti e della lotta ai trafficanti di esseri umani e con la promessa di proseguire, dando tempo al tempo, i lavori relativi al nuovo patto sulla migrazione e sull’asilo.
In che senso l’Italia prende quindi provvedimenti per gestire una questione tanto importante e attuale come fenomeno migratorio? Nella scorsa legislatura, fu attraverso i Decreti Sicurezza; una strategia nazionale inumana e dannosa che aumenta i respingimenti, anche quando questi determinano il rientro in Paesi in cui vi sono evidenti violazioni dei diritti umani, e rende, per i migranti cui si ammette l’accesso, inutilmente burocratica e faticosa la pratica di ottenimento dei documenti. In questa legislatura, la prospettiva è nebulosa.
La coalizione di centrodestra, nell’accordo quadro presentato per le scorse elezioni, dichiarava di voler confermare i Decreti Sicurezza, come di voler contrastare l’immigrazione irregolare e gestire ordinatamente i flussi legali di immigrazione, di voler difendere i confini nazionali ed europei con il controllo delle frontiere e il blocco degli sbarchi, di voler creare degli hot spot nei territori extra-europei, gestiti dall’Unione europea, per valutare le richieste d’asilo. Nulla di questo è ancora uscito dalla carta. Ad aggravare la possibile attuazione, c’è stato il naufragio del 26 febbraio a Cutro, in Calabria, in cui quasi cento migranti hanno perso la vita, una tragedia che sembra si potesse evitare con un maggior coordinamento.
Il Governo Meloni si è recato sul posto, dove ha svolto un Consiglio dei Ministri straordinario e una conferenza stampa. In questa non ha fatto altro che spiegare come le responsabilità non fossero ad esso addossabili, senza fornire dettagli su una strategia riguardante le prossime migrazioni - che, vista la rinnovata instabilità politica in Sudan e l’aggravarsi dei cambiamenti climatici nel Centro Africa e nel Sudest asiatico, ci si aspetta aumentino - se non quella di “andare a cercare gli scafisti in tutto il globo terracqueo”. Messo alle strette, il Governo ha ultimamente dichiarato lo stato di emergenza sul tema delle migrazioni.
Ciò che infastidisce davanti a questa notizia non è tanto il fatto che gli stessi partiti di maggioranza, fino alla scorsa legislatura, ritenessero incostituzionale il mancato passaggio di provvedimenti, anche urgenti, in Parlamento; cosa che avverrà con le prossime, ancora ignote, misure nazionali sulle migrazioni. Quanto il fatto, appunto, che politiche certe a riguardo non esistano. Non è dato sapere come il Governo risponderà a quella che, stando ai dati UNHCR, non è un’emergenza ma un flusso migratorio nella media. L’annunciata emergenza pare avere un significato opposto a quello oggettivo, pare essere disinteresse, mancanza di volontà.
Eppure, non si può girare il volto dall’altro lato davanti alle migliaia di morti che ogni anno contraddistinguono traversate e rotte insicure affrontate da chi ha diritto, ai sensi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, a lasciare il proprio Paese per un qualsiasi motivo. Da anni si sarebbe dovuta prevedere una nuova azione di salvataggio continentale sul modello di Mare Nostrum, così come uno smantellamento dell’impianto esternalizzante in favore di una politica estera europea mirata alla salvaguardia dei diritti umani e alla stabilizzazione delle aree di vicinato. La situazione attuale non sembra andare affatto in questa direzione, con i Governi nazionali, in primis quello italiano, ancora spaesati e incapaci di comprendere come solo un’azione sovranazionale possa gestire il fenomeno.
Il nuovo patto sulla migrazione e sull’asilo proposto dalla Commissione europea è certamente allettante, con una nuova procedura di controllo alle frontiere, un miglioramento dei sistemi informatici e un adeguamento delle norme per le domande di asilo, ma della sua efficacia non si può essere certi. Considerati i paletti fissati dal Regolamento di Dublino e la logica intergovernativa che ancora definisce l’Europa, è inimmaginabile che si verifichi un sistema completamente solidale. Altra storia è quella che riguarda le idee sulle migrazioni emerse dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa, dirette a un processo di revisione dei regolamenti attuali che preveda un rafforzamento del ruolo dell’Unione europea, una riforma del sistema d’asilo e una elaborazione di mezzi di garanzia per quanto riguarda salute e sicurezza dei migranti.
Non solo, tra le proposte della Conferenza sulle migrazioni spicca la possibilità di avviare un organismo europeo per l’accesso dei migranti al mercato del lavoro dell’Unione o quella di ampliare le competenze della rete europea di cooperazione dei servizi per l’impiego (EURES). Chi raggiunge l’Europa vuole lavorare, e gran parte dei cittadini hanno compreso quanto quella manodopera sia importante. Testimonianza arriva proprio dall’Italia, straordinariamente, con il Clickday del Decreto Flussi: un bando che ha permesso a datori di lavoro stagionali e non di ricercare lavoratori autonomi stranieri che volessero lavorare in Italia o trasformare il proprio permesso di soggiorno in permesso di soggiorno lavorativo. I cittadini che si sono proposti sono stati 82.705. I datori di lavoro li hanno impiegati tutti in una manciata di secondi. Non si deve infatti dimenticare che il migrante perde questa determinata qualifica una volta che raggiunge la propria meta, lì necessita di una seria politica di integrazione, altrimenti andrà incontro a nuove evidenti disparità e quel concetto di “unità nella diversità” europeo verrà sempre meno.
La pacchia non è finita, la pacchia non c’è proprio mai stata. Fin quando un tema europeo, se non mondiale, qual è quello dei fenomeni migratori, resterà gioco dei Governi nazionali, ancorati alla loro sovranità, la storia sarà sempre tragica. Dalla propaganda alle crisi decisorie, passando per mancate riforme e inesistenti politiche lavorative e di integrazione, l’emergenza sarà continua.