I partecipanti al seminario di Ventotene

Piú che tempesta, quella nazionalista sembra una brezza fredda che, senza i clamori mediatici di qualche anno fa, sta abbassando sensibilmente la temperatura degli ottimismi generati dal Next Generation EU e dalla stessa CoFoE. Il progetto europeo è ormai messo in discussione solo dai nazionalisti piú folli, mentre la maggior parte di coloro che raccoglievano le firme contro l’euro sono da tempo saliti sul carro dell’Europa che assicura fondi e investimenti altrimenti inaccessibili. La drammatica guerra in Ucraina ha reso d’altronde necessaria un’Europa capace di agire politicamente sul piano internazionale. Così l’UE si trova ora in un pericoloso guado tra una prospettiva democratica e federale, accennata anche dai cittadini durante la CoFoE; ed una intergovernativa, sempre piú appiattita sulle decisioni del Consiglio e sulle iniziative di qualche stato membro.

Siamo insomma in una terra di mezzo, dove i limiti e le contraddizioni dell’Europa si intrecciano. Questo incerto luogo di frontiera, ideale e geografico, un tempo simbolo delle guerre europee e poi dell’integrazione del continente, sembra essere oggi il luogo dove il futuro della società europea e delle sue istituzioni, politiche e valoriali, sarà definito.

Proprio queste frontiere, che vanno da Kyiv al Mediterraneo e che si materializzano nella sempre maggiore distanza tra i centri e le periferie, sono oggetto dell’impegno politico della JEF (Jeunes Européens Fédéralistes).

Esso si incentra su quattro pilastri di azione, il primo dei quali ruota attorno alla campagna “Democracy Under Pressure”. Durante la settimana di mobilitazione tra il 17 e il 25 marzo 2023 conferenze, azioni di piazza e seminari si sono svolti in oltre cinquanta città europee contro le minacce allo stato di diritto e per riaffermare la centralità dei valori democratici. La continua ricerca di libertà, democrazia e pace sono lo scopo fondante del progetto di un’Europa unita. Probabilmente mai come in questi anni tali valori rischiano di essere travolti dai fallimenti strutturali di una globalizzazione mal governata, di un progressivo affermarsi di regimi illiberali, di velleità imperiali e di una nuova corsa nazionale agli armamenti. Per questo, già a partire dal 2022, si è deciso di affermare che la democrazia non è solo “sotto pressione”, ma “sotto attacco”.

La connessione con la drammatica guerra in Ucraina è evidente e necessaria. Essa pone infatti enormi questioni per il futuro politico ed istituzionale dell’Europa che la JEF sta provando ad affrontare grazie alla propria iniziativa “EU-kraine”. La JEF è stata tra le prime organizzazioni a chiedere la concessione dello status di candidato ad entrare nell’UE non solo per l’Ucraina, ma anche per la Moldavia e la Georgia. Tale proposta era fin da subito legata a quella di una riforma strutturale delle istituzioni europee, altrimenti incapaci di garantire alcuna reale prospettiva di allargamento. L’urgenza geopolitica di quest’ultimo deve infatti andare di pari passo con quella di riformare l’UE, procedendo verso una integrazione a cerchi concentrici in cui l’unione politica rappresenti il fulcro sovranazionale della nuova Unione europea e non un vago consesso intergovernativo senza una precisa struttura.

Come già avvenuto e ben descritto nel Manifesto di Ventotene, la formazione degli stati nazionali europei è stata sì vettore di emancipazione e di progresso, ma anche l’origine di nazionalismi contrapposti e di odio etnico. Senza scomodare le guerre mondiali, basti ricordare quanto l’incapacità di dare seguito ad un concreto processo di allargamento stia riportando in auge le mai sopite tensioni tra gli stati balcanici. Un simile fallimento con l’Ucraina sarebbe tragico per l’intera Unione. Per questo la JEF si è impegnata per sostenere la società civile ucraina, per mantenere un canale di dialogo con l’associazionismo giovanile e per cominciare una riflessione comune sull'Europa del futuro, da pensare adesso, come l’Europa di oggi è stata “pensata” già durante l’ultimo conflitto mondiale.

“Pensare” all’Europa di domani, a partire dall’analisi del presente, è infatti uno dei doveri prioritari dei militanti federalisti, così come lo è il costante aggiornamento del pensiero e delle categorie di interpretazione della contemporaneità. La transnazionalità della JEF, che ha sezioni attive in oltre trenta paesi europei, permette poi di farlo prendendo in considerazione prospettive politiche ed ideali da tutto il continente. Per dare forma a questo costante impegno, la JEF ha quindi lanciato nel 2022 la Federalist Academy, una serie di seminari ed incontri volti a diffondere in tutta Europa le categorie di analisi federaliste e a contribuire così ad un costante processo di elaborazione, essenziale per mantenere non solo a parole, ma anche nei fatti, una posizione di avanguardia politica.

Il primo seminario in presenza si è tenuto nel novembre 2022 a Praga, ed un secondo avrà luogo, in collaborazione con la Casa Jean Monnet e l’Istituto Spinelli nel maggio 2023. Sempre in collaborazione con l’Istituto, la JEF sta anche investendo maggiormente nell’organizzazione del Seminario internazionale di Ventotene. L’obiettivo è far sì che esso diventi sempre di più un riferimento per i giovani federalisti di tutto il continente.

In questo quadro non può poi mancare un'azione politica in vista delle elezioni europee del 2024. Esse saranno un punto di incontro di tutti i temi emersi: dalla possibile riforma dei trattati all’allargamento, dalle politiche migratorie alla guerra in Ucraina, dalla gestione della crisi climatica e della transizione digitale alla salute stessa della democrazia europea.

L’Europa delle emergenze ha certamente dimostrato una buona resilienza. La capacità però di governare il futuro, piuttosto che di subirlo, è invece evidentemente molto limitata.

Non è dunque un caso che, secondo Eurobarometro[1], le emozioni più ricorrenti tra gli europei siano legate ad incertezza, rabbia e paura. Sintomi non tanto di una crisi di fiducia nel progetto europeo, ma nei sistemi democratici in generale, intrappolati nelle sovranità nazionali, sempre più incapaci di rispondere con efficacia alle sfide globali e di garantire ai propri cittadini un generale senso di sicurezza sociale e di stabilità.

Però la speranza non è ancora tramontata. Si tratta dell’unica emozione positiva emersa in cima al sondaggio sopra menzionato, essa può rappresentare il segno di una rinascita. Ecco perché la JEF ha deciso di incentrare su questo concetto la propria campagna per le elezioni europee: EurHope.

Speranza in questo caso non è passiva attesa, ma azione attiva e propositiva, una Rivoluzione della Speranza, come si afferma nell’articolo di lancio pubblicato su dodici giornali europei (in Italia su Domani) con la firma di importanti figure del mondo della politica e della cultura.

EurHope, nata anche grazie alla collaborazione con la piattaforma online Make.org, è organizzata in tre fasi.

La prima consiste nell’ascolto dei cittadini europei e nella raccolta delle loro idee e proposte, combinando eventi dal vivo in tutto il continente e una piattaforma online diffusa e tradotta in 22 lingue: eurhope.org.

Queste idee saranno poi raccolte ed affiancate a concrete proposte politiche per formare un’Agenda of Hope. Il suo obiettivo è influenzare i programmi elettorali e il dibattito in vista delle europee. Nel 2024 poi, con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, una mobilitazione paneuropea punterà alla chiamata al voto e alla creazione di un diretto rapporto di fiducia tra cittadini e candidati, sulla base delle idee raccolte, con la concreta prospettiva di procedere ad una riforma strutturale dell’Unione, che deve essere il principale obiettivo del nuovo Parlamento.

Le urgenze dettate dalle crisi e la spinta del consenso sono le uniche forze in grado di affrontare gli ideologismi nazionalisti e offrire soluzioni reali per le sfide globali che abbiamo di fronte.

Questa rivoluzione di approccio, già iniziata dalla CoFoE, potrà rappresentare allora la concreta speranza di costruire, anche a partire dalle prossime elezioni europee, un’Europa migliore.


[1]  Eurobarometer, Resilience and recovery public opinion one year into the pandemic, spring 2021

 

  

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