La limpidezza del recente intervento di Mario Draghi è tale da renderne doverosa la pubblicazione (vedi pagina 24 e www.mfe.it per la versione integrale). Il distacco tra la sua visione delle priorità per il presente e per il futuro e molta parte del dibattito politico che ci tocca sentire nel nostro paese è imbarazzante.
Il governo italiano non manca di esprimere la volontà di “fare l’interesse nazionale” del nostro paese, di “difendere i confini nazionali”, e di “difendere gli italiani”. Ma l’interesse prioritario dell’Italia è costituire una Federazione europea. Un paese come il nostro, in cui non mancano le eccellenze ma anche con importanti problemi strutturali, è legato a doppio filo all’Unione e ai partner europei: trae immenso giovamento dalle catene del valore che travalicano i confini tra gli stati membri dell’Unione, che si sono sviluppate grazie al Mercato comune; da una moneta solida come l’euro, che ci ha permesso di sbarazzarci senza rimpianti della lira; da una legislazione europea avanzata in molti settori che è fattore di innovazione; dai fondi europei per le aree svantaggiate (se non si riescono a spendere in modo adeguato, non è colpa dell’Europa) e, non da ultimo, da un Recovery Plan che destina all’Italia una percentuale straordinaria del suo importo complessivo. Dove, per i suoi limiti istituzionali, è debole l’Unione europea (ad es. politica estera, politica migratoria), è debole anche l’Italia perché le sfide esistenziali che abbiamo di fronte sono fuori dalla portata di un piccolo paese.
Il governo italiano, in un clima di campagna elettorale permanente e a causa del tentativo da parte dei suoi esponenti di non sembrare incoerenti rispetto alle posizioni anti-europee portate avanti nel recente passato, non può ammetterlo ma sta sbattendo la faccia contro la dura realtà, e invoca l’intervento dell’Europa in continuazione, in un groviglio di contraddizioni che vanno dal prospettare un rafforzamento della dimensione esterna dell’Unione, volendola creare però in alleanza con il premier nazionalista della Polonia o con i “patrioti” spagnoli di Vox, all’affermazione che il MES è inutile perché è preferibile affidarsi agli italiani desiderosi di prestare i propri risparmi allo stato, mentre d’altra parte continua il dialogo serrato del governo con la Commissione europea per arrivare a ottenere gli agognati 19 miliardi di euro di fondi europei, terza rata nell’ambito del PNRR, in una situazione di elevato (preoccupante) fabbisogno per le casse statali.
Le elezioni europee del 2024 potrebbero contribuire a fare chiarezza, nei partiti della coalizione di governo, su chi è disponibile a fare una svolta europea e chi invece continuerà a collocarsi tra i nazionalisti. Come spiega Roberto Castaldi nel suo articolo (pagina 4), “rimanere estremisti” dovrebbe significare, una volta ancora, restare fuori dai giochi delle nomine dei futuri organi dell’UE, per cui c’è una spinta oggettiva ad avvicinarsi ai partiti europei tradizionali, in particolare al Partito Popolare Europeo. I recenti screzi fra Antonio Tajani e Matteo Salvini in merito alle alleanze europee e i frequenti contatti tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni si inseriscono in questo quadro.
I federalisti stanno lavorando per rendere ancora più chiaro alla classe politica che per il nostro paese è puro interesse, non sogno, non ideologia astratta, rafforzare l’Unione sostenendo un piano d’azione, come quello che il Parlamento europeo sta delineando in seguito alla Conferenza sul futuro dell’Europa, che preveda di riformarne i Trattati per creare un potere federale. E’ proprio perché, come ci ricorda il Duca di Rohan, “i prìncipi governano i popoli, ma gli interessi governano i prìncipi” e perché abbiamo dalla nostra parte il vento della Storia che pone la necessità di fare la Federazione europea, che c’è spazio, per il nostro Movimento, per praticare un’opera pedagogica di “europeizzazione” di forze che sicuramente non provengono da un terreno politico e culturale affine al nostro.
L’alternativa a un destino comune disegnato insieme in una compiuta democrazia sovranazionale, come dice Draghi, è il si salvi chi può (spendere), mentre chi non può affronterebbe un declino inesorabile, con il rischio che i cittadini insoddisfatti mandino da più parti al potere i distruttori dell’Unione europea, che tramuterebbero il declino in disastro.