Le scelte decisive avverranno in autunno: se il Parlamento approverà una proposta di riforma organica dei Trattati, chi si opporrà si metterà da solo al di fuori del mainstream europeo, e senza possibilità di rientrare in gioco dopo le elezioni europee. A meno di rinnegare tale scelta a costo di una spaccatura.
Sono iniziate le grandi manovre dei partiti europei verso le elezioni europee del 6-9 giugno 2024 e il dibattito sui possibili esiti e nuovi equilibri politici europei. Ciò è positivo, perché mostra la posta in gioco europea, invece di ridurle a un test elettorale nazionale.
Il Parlamento europeo si sta battendo per la creazione della lista transnazionale, cui è stata legata anche la proposta di redistribuzione dei seggi, che viene fatta prima di ogni elezione europea per tenere conto dei mutamenti demografici. Finora il Consiglio ha fatto muro. E sta redigendo una proposta organica di riforma dei Trattati, su cui chiedere l’avvio di una Convenzione. Se in autunno il Parlamento l’approverà, potrà diventare un tema centrale della campagna elettorale, un metro su cui misurare le posizioni dei partiti europei, per verificare chi vuole rafforzare l’Unione e chi no.
I partiti europei stanno discutendo sui propri candidati alla Presidenza della Commissione (cosiddetti spitzenkandidat). Nel 2014 i maggiori partiti scelsero candidati moderati, che gli altri partiti avrebbero potuto sostenere se il partito proponente fosse risultato di maggioranza relativa, e si arrivò cosi all’elezione di Juncker del Partito Popolare Europeo (PPE). Nel 2019 la scelta andò in altre direzioni, e molti partiti europei si dissero subito indisponibili a scegliere il candidato di altri partiti. Così il Parlamento ha lasciato la decisione in mano al Consiglio europeo, che scelse una popolare tedesca, Ursula von der Leyen, fino ad allora ministra della difesa in Germania, e non Manfred Weber capogruppo e candidato alla Presidenza, anch’egli popolare tedesco. Molti hanno vissuto quella scelta come una vittoria del Consiglio europeo sul Parlamento. Ma il Parlamento si era sconfitto da solo, non riuscendo a convergere su un nome. E il Consiglio europeo, scegliendo un’altra popolare tedesca ha riconosciuto di non poter fare una scelta libera, ma di dover tenere conto in maniera specifica del risultato delle elezioni e dei candidati dei partiti.
La situazione attuale è diversa, e caratterizzata dal successo in vari Paesi di partiti di estrema destra che, spesso per la prima volta, entrano dentro coalizioni di governo nazionale e regionale, o per la prima volta lo guidano, come in Italia. Ciò sta producendo delle contraddizioni evidenti e può portare a una modificazione del quadro politico europeo. All’opposizione è facile fare una retorica nazionalista e anti-europea. Ma al governo bisogna confrontarsi con i problemi reali e con il fatto che senza l’Unione non è possibile affrontare nessuna delle grandi sfide. In Italia la scorsa legislatura ha insegnato che si può vincere le elezioni contro l’Europa, ma poi non si può governare: così si è passati dal Conte I, al Conte II, al governo Draghi.
Così Meloni da un lato si abbarbica alla retorica della difesa dell’interesse nazionale, dall’altro chiede una risposta europea sulle migrazioni, di salvaguardare il mercato unico attraverso un Fondo Europeo per la Sovranità (a parlare di Fondo per la sovranità europea ancora non riesce), per evitare che il via libera agli aiuti di Stato (l’80% erogati dalla sola Germania) distorca il mercato unico. Da un lato rinvia la ratifica del MES, dall’altro chiede il completamento dell’unione bancaria e la riforma del Patto di stabilità e crescita. Da un lato è politicamente vicina a Orbàn e Morawiecki, quest’ultimo con Meloni nei Conservatori e Riformisti (ECR), dall’altro sostiene il Patto europeo sulle migrazioni promosso dalla Commissione e approvato a maggioranza qualificata cui Ungheria e Polonia si oppongono strenuamente, contestandone l’approvazione a maggioranza.
La ragion di Stato dell'Italia e la ragion di potere di Fratelli d'Italia (ma vale per tutti i partiti ECR) sono in contraddizione. Per la loro ideologia dovrebbero dare priorità alla ragion di Stato: che è di avere un rapporto cooperativo con l'UE per riuscire a gestire il PNRR - da cui dipende la ripresa del Paese e la sostenibilità del suo debito pubblico – e di giocare un ruolo sui principali dossier legislativi europei, che definiscono le grandi scelte e orientamenti della società del futuro (dai molteplici aspetti del Green Deal e della transizione ecologica a quella digitale con la regolamentazione del mercato digitale, dell'intelligenza artificiale, ecc.). Questi vengono definiti nei triloghi tra Commissione, Parlamento europeo e Consiglio. Per esercitare influenza è necessario riuscire a giocare su tutti i tavoli. L’ECR al Parlamento non tocca palla. Guida il governo in Polonia, Repubblica Ceca e Italia e fa parte della coalizione di governo in Svezia. Ma in Consiglio non trovano un terreno comune, né sulle migrazioni né sulla Russia, né sui temi economici. E solo l’Italia è nell’eurozona. In Spagna Vox ha stretto un accordo con il Partito Popolare in vista delle prossime elezioni e in caso di vittoria potrebbe quindi entrare nel governo in autunno. In quel caso i governi con dentro l’ECR costituirebbero una minoranza di blocco nel Consiglio e potrebbero paralizzare l’UE o usarla per negoziare e spostare più a destra le politiche dell’Unione. Sembra questo l’intento, se sperano che un forte avanzamento alle elezioni europee possa permettere un’alleanza tra ECR e PPE.
Ma secondo tutti i sondaggi tale coalizione non sarebbe maggioranza. Una maggioranza di centro-destra richiederebbe anche i liberali di Renew Europe, che hanno già rifiutato l’ipotesi. In una simile alleanza vincerebbero quasi sempre le posizioni centrali del PPE. Nell’attuale alleanza con Socialisti e Democratici (S&D) e Popolari – che probabilmente continuerebbe ad essere maggioritaria nel prossimo Parlamento, a maggior ragione se includesse anche i Verdi – i liberali hanno una posizione centrale e influenzano i dossier legislativi molto più di quanto i loro numeri suggerirebbero. Peraltro, le elezioni europee si svolgono con il sistema proporzionale. Ciò spinge tutti i partiti a caratterizzarsi e a non fare alleanze prima delle elezioni.
L’accordo tra PPE e ECR richiederebbe una spaccatura del PPE o dell’ECR. In Polonia il PIS (ECR) è al governo e il maggior partito di opposizione è Piattaforma Civica (PPE), guidata da Donald Tusk, ex Presidente del Consiglio europeo e del Partito Popolare Europeo. Un accordo tra PPE e ECR implica che il PPE cacci Tusk o che ECR cacci PIS. In sostanza il disegno della premier Meloni di portare l’ECR nel mainstream europeo per poter contare sui grandi dossier legislativi implica due scelte traumatiche. Da un lato una svolta europeista, l’accettazione che l’UE sia il quadro in cui si affrontano i grandi problemi e che quindi va rafforzata, a partire dal superamento dell’unanimità. Dall’altro, una spaccatura dell’ECR con l’uscita di chi non può accettare tale svolta, a partire dal PIS che ha demolito l’indipendenza della magistratura e fatto proclamare al nuovo Tribunale Costituzionale – non riconosciuto come una Corte da tutto il resto d’Europa – che i Trattati istitutivi dell’UE sono incompatibili con la Costituzione polacca, oltre a mettere in questione la primazia del diritto europeo. È meglio avere un gruppo più ampio, ma che non influisce minimamente nei negoziati legislativi, come ora; o un gruppo più piccolo, ma strutturalmente inserito in quei negoziati e dunque in grado di influenzarli? In una prospettiva sovranista, si potrebbe chiedere: l’interesse nazionale si difende meglio partecipando alla partita, magari da difensore e non da centravanti, o guardandola con tanti amici dalla panchina o dalla tribuna? In fondo è questa la questione di fronte a Meloni e all’ECR.
La spaccatura dell’ECR è indispensabile per permettere a PPE, Renew, S&D e Verdi di accettare l’ECR come interlocutore politico nel mainstream europeo, potendo presentare al proprio elettorato tale spaccatura come la dimostrazione di un’evoluzione europeista dell’ECR. Perché nel Parlamento europeo la linea di divisione di Ventotene è più forte di quella destra-sinistra. La precondizione per entrare nella maggioranza è l’accettazione dell’europeismo e il rifiuto del nazionalismo. Hic Rhodus hic salta.
Per questo le scelte decisive avverranno in autunno. Se il Parlamento approverà una proposta di riforma organica dei Trattati, cioè delineerà una visione sul futuro dell’Europa. Chi si opporrà si metterà da solo al di fuori del mainstream europeo, e senza possibilità di rientrare in gioco dopo le elezioni europee. A meno di rinnegare tale scelta a costo di una spaccatura.