“Un formato, press’a poco, come il Baretti. Da quattro a sei, massimo otto fogli per numero. Un’impaginazione casta, contenuta, che ricorda il Caffè di Bauer. La maggioranza dei pezzi anonimi o con pseudonimo, com’è nello stile dei fogli clandestini. Solo nell’unico numero che esce durante i quarantacinque giorni di Badoglio (lo preparara a Roma Colorni) c’è un saluto commosso a Ernesto Rossi, a Riccarco Bauer, a Vincenzo Calace, che sono liberati al momento in cui andiamo in macchina”. Sono le parole di Giovanni Spadolini l’indomani la presentazione alla Villa Comunale di Milano di un “libro singolare”, un’anastatica, poche decine di copie, curato dalla “Fondazione europea Luciano Bolis” col contributo della Regione Lombardia. Si tratta della riedizione integrale de “L’unità europea”, la voce clandestina del Movimento federalista europeo, annunciato nella testata, già nel maggio del 1943, prima ancora della riunione di fondazione del MFE del 27 e 28 agosto in casa di Mario Alberto Rollier.
In quel maggio Guglielmo Usellini a Milano e Cerilo Spinelli a Roma avevano elaborato il primo numero poi stampato a Milano, partorito da una riunione in cui aveva partecipato anche Ursula Hirschmann che è stata la vera realizzatrice dell’operazione. Questo “numero 1” sotto il titolo recava la manchette: “Alla fine di questa guerra l’unificazione dell’Europa rappresenterà un compito possibile ed essenziale. La divisione in stati nazionali dell’Europa è oggi il nemico più grave della impostazione e della soluzione umana ai nostri problemi”. Il secondo numero del giornale è Colorni ad elaborarlo e a chiuderlo alla fine di agosto a Roma. La voce del MFE contiene, in questa edizione, 4 articoli fondamentali per il carattere dell’organizzazione del movimento stesso e della elaborazione giunta a seguito del confronto che Colorni aveva avuto appunto con Spinelli. In particolare, l’unità europea è vista come “affratellamento” dei vari popoli, una “comune opera di civiltà”, che può farsi solo dotando l’Europa di una “adeguata struttura internazionale”. Incivilimento umano e federazione europea. Non una lega fra Stati ma una res publica di tutti gli europei! “Gli europei… debbono, con i loro rappresentanti diretti, contribuire alla determinazione della volontà federale… contribuire alle spese federali … essere chiamati a formare una milizia per il mantenimento dell'ordine della federazione… essere responsabili di fronte al potere federale per loro eventuali infrazioni a leggi federali. Si deve insomma creare una vera e propria cittadinanza europea, cioè un legame diretto di diritti e di doveri tra federazione e cittadini federati”. Nell’altro articolo, “Le tendenze federaliste” al centro è la coscienza unitaria europea; certamente non formata, ma “come non esisteva durante il Risorgimento una diffusa coscienza italiana…”. Questa infatti non è stata la premessa per l’unità italiana, ma la conseguenza. “Esistono… degli europei, come esistevano, durante il Risorgimento, degli italiani nelle diverse regioni... questi europei (…) debbono dare tutto il loro aiuto a quelle forze progressiste di quei paesi che possono farsi iniziatori dell'unità federale europea”. Eugenio Colorni è cosciente che questa “situazione favorevole” non durerà a lungo, le vecchie formazioni degli stati sovrani altrimenti avranno il tempo di riconsolidarsi. Allora cosa fare? Due sono le possibilità in campo: attendere che gli Stati uniti d'Europa nascano “spontaneamente” dal libero accordo dei popoli europei oppure siano il prodotto dell'opera delle forze vincitrici la guerra. Ebbene i federalisti sono per questo secondo “atteggiamento”, in più, provocando gli interventi e appoggiando le classi dirigenti di quella o quelle potenze vincitrici che “daranno più affidamento”. Altro articolo fondamentale nell’organizzazione del MFE reca il titolo di “Movimento o Partito?”, come si chiedeva Usellini. Nessun dubbio, anche rispetto alla soluzione di Milano: movimento! Si addice al federalismo nella stagione – come è chiamata – della “semina” il “nome di movimento politico”. Questa forma “consente ai suoi membri… d’appartenere a qualunque partito purché gli scopi di questo non siano in contrasto con il suo scopo fondamentale (…). Sarà bene precisare, che il nome di movimento s’addice al federalismo non in quanto esso si limiti al compito formativo di una coscienza internazionalista (…) ma in quanto consente ai suoi membri una certa larghezza e varietà di vedute nei confronti delle ideologie sociali e dei programmi di governo, che (…) sono più legati alla vita degli stati e quindi faranno fatica a sospingerli con forza verso il loro superamento federalista”. Nell’articolo non è da meno la specifica del compito dei militanti del movimento: “la disciplina, quindi, che il federalismo impone ai suoi aderenti non è meno impegnativa che quella di un vero e proprio partito”. Il carattere “politico” ha l’obiettivo di mobilitare “tutte le energie capaci di operare per esso”.
Dopo la fondazione del MFE, Spinelli e Rossi prendono la via della Svizzera con l’intento di tessere i rapporti con altri movimenti federalisti che sicuramente sono presenti nel seno della Resistenza europea. In particolare, Rossi prima della partenza cura, a Bergamo, la pubblicazione del terzo numero del giornale, che comprende i documenti approvati dal convegno di Milano, due articoli scritti da lui stesso e uno attribuibile a Rollier. “Guerra al nazismo”, la prefigurazione della resistenza, probabilmente parola usata per la prima volta dopo la “fuga di Pescara”. Qui il commento di Rollier, “Intransigenza”, rottura col passato, no alla monarchia, anticipazione della scelta repubblicana; intransigenza nella pregiudiziale istituzionale, ma apertura alle varie tendenze federaliste. “L’unità europea” vive senza intolleranze, senza alcun atteggiamento preventivo, “respira di un clima democratico di sinistra, oscillante fra suggestioni fabiane e inclinazioni socialiste riformatrici, ma non conosce – nella sua prevalente apertura all’Europa federale, nel suo appassionato no alla Stato-nazione come Stato-Moloch – nessuna esclusione preconcetta, nessuna remora faziosa”, ricorda ancora Spadolini.
Sono presenti diverse “sfumature”, che denotano, davvero, il carattere di apertura e di “possibilismo” politico, anche nell’elaborazione. In Rossi si legge l’adesione fiduciosa a Londra e, come nel richiamato numero 3 del “foglio”, non manca la simpatia verso gli Stati Uniti, nel momento di maggior impegno della resistenza, nel numero 6, a notare che “la federazione europea non può sorgere in modo così semplice com’è sorta quella degli Stati Uniti d’America (…) la via sarà probabilmente più tortuosa. Vi saranno abbozzi di legami federali fra vari Stati, tentativi esaltanti e contrastanti di superare la sovranità nazionale”.
Anche Altiero Spinelli lascia l’impronta della sua visione nel numero 4 dove pone il problema delle “autarchie economiche”. Un numero, questo, pubblicato a Milano, nel maggio-giugno 1944, curato da Rollier che approfitta anche per tirare le somme dell’azione del giornale, un cammino che si è fatto – afferma lui – contro il totalitarismo nazista e contro l’egemonia nazionalista e razziale tedesca. Scrive Spinelli: “Se dopo la guerra continueranno a costituirsi le economie nazionali autarchiche (…) l’ulteriore sviluppo storico sarà (…) nel senso della progressiva eliminazione della nostra civiltà, nell’impoverimento e nell’imbarbarimento generale”.
L’ultimo numero de “L’unità europea”, l’ottavo, è pubblicato a Milano e curato da Rollier, gennaio-febbraio 1945, con uno slancio (e non è un caso l’adesione della Associazione mazziniana italiana ai principi del MFE) racchiuso nell’articolo a (probabile) firma di Adriano Olivetti, “Federalismo integrale”, dove emerge con evidenza il carattere del federalismo come “solidarietà e interdipendenza radicale fra tutti gli uomini a qualunque nazionale, popolo o razza appartengano”, perché federare significa “fondare insieme, unire cio che insiste sule differenze (…), collegare, riunire (…) senza compromettere e annullare (le) diversità in quanto non si oppongono allo scopo comune”. Parole che riportano all’Autogoverno del basso, alla Costituente, tema di fondo del numero 5 del foglio, navigando tra federalismo e autonomia politico-amministrativa esaltando anche la Carta di Chivasso, che fa da preludio a “Una dichiarazione federalista internazionale” dell’edizione del luglio-agosto 1944 (edizione milanese).