Questo libro sulle prospettive future dell’Unione europea in un mondo in rapido cambiamento si propone di valutare in profondità le sfide, difficili e complesse, che l’Europa deve affrontare in questo inizio del ventunesimo secolo. La legislatura del Parlamento europeo si è aperta, nel luglio 2019, con la presentazione, da parte della Presidente della Commissione von der Leyen, del Green Deal, che prevede il raggiungimento della neutralità carbonio entro il 2050. E l’Unione ha poi fatto segnare ulteriori passi avanti nella definizione di una politica efficace per il controllo dei cambiamenti climatici, con la Climate Law e con il pacchetto Fit for 55. Ma, nel dicembre dello stesso anno, a Wuhan nella Repubblica Popolare Cinese, si è verificato il primo caso di COVID-19. La diffusione della pandemia in tutto il mondo ha spinto l’Europa a introdurre misure radicali per far fronte alle misure sanitarie e per evitare che si manifestassero rilevanti effetti restrittivi sulla produzione e sull’occupazione. Nel Consiglio europeo del 21 luglio 2020 è stato quindi approvato il piano NextGenerationEU e, per la prima volta, l’Unione ha finanziato una politica espansiva di dimensioni rilevanti con l’emissione di titoli sui mercati finanziari.
Notevoli investimenti sono necessari per far fronte agli impegni legati alla lotta ai cambiamenti climatici, oltre che per la transizione digitale e per l’inclusione sociale, i tre obiettivi di NGEU. Le dimensioni del bilancio dell’Unione devono quindi essere rafforzate in misura significativa, sia per garantire il rimborso sul mercato dei fondi raccolti per NGEU, ma soprattutto per finanziare gli investimenti indispensabili per la produzione di fonti di energia rinnovabile e pulita, destinate a garantire la progressiva eliminazione dell’utilizzo di energie fossili. Agli investimenti europei dovrà inoltre sommarsi una massa di investimenti di notevoli dimensioni, non soltanto da parte degli Stati membri, ma soprattutto dei diversi livelli di poteri locali e, conseguentemente, le città dovranno disporre di risorse proprie prelevate attraverso imposte autonome. E’ quindi indispensabile che la finanza in Europa sia organizzata sulla base di un modello di federalismo fiscale, applicato a partire dal livello europeo per arrivare fino ai quartieri.
La trasformazione della struttura economica, che rappresenta un passaggio obbligato per raggiungere la neutralità carbonio entro il 2050, deve essere accompagnata da politiche profondamente innovative che favoriscano la coesione sociale, con misure destinate a sostenere l’occupazione, anche con nuovi strumenti, a partire da una riduzione concordata a livello europeo e attuata con gradualità, a parità di salario, delle ore lavorate - garantendo in questo modo che gli incrementi di produttività generati dal progresso tecnologico vadano a vantaggio anche dei lavoratori - e da un parallelo spostamento dell’onere fiscale dal lavoro sul capitale e sull’utilizzo di risorse naturali, riducendo finalmente le enormi diseguaglianze che si sono approfondite a seguito delle politiche regressive adottate negli ultimi decenni. Questi interventi devono prevedere non soltanto una maggiore progressività dell’imposizione, ma anche l’utilizzo di strumenti per combattere la povertà e garantire livelli di vita decorosi per le persone con redditi più bassi. E, in effetti, l’inclusione sociale rappresenta uno dei tre cardini su cui si fonda il piano di rilancio dell’economia europea dopo la pandemia.
L’emissione di titoli, garantiti dal bilancio europeo, ha riproposto il problema di creare nuove risorse proprie - in misura pari allo 0.6% del Pil - per finanziare la crescita della spesa. Su questo tema, la Commissione ha già presentato alcune proposte, ma le decisioni in materia fiscale sono ostacolate, oltre che dalle naturali divergenze di interessi fra gli Stati membri, dai vincoli imposti dall’articolo 311 del Trattato, che prevede una procedura assai complessa - con l’approvazione all’unanimità in Consiglio e la ratifica da parte dei 27 paesi membri - per la l’istituzione di nuove risorse. Una riforma di questo articolo appare quindi ineludibile, soprattutto tenendo conto delle nuove esigenze di spesa per la difesa e la sicurezza, legate al deterioramento della situazione internazionale.
Un progetto di trasformazione dell’Unione presuppone evidentemente che l’Europa sappia garantire, con un’autonoma politica estera e di difesa, la propria sicurezza e la stabilità politica dell’area coinvolta nei suoi interessi strategici. Questo obiettivo non implica che la sovranità in questi settori sia trasferita in misura esclusiva all’Unione, ma che l’Unione possa dotarsi dei mezzi, anche di natura militare, necessari per conseguire i propri obiettivi politici.
Il panorama politico ed economico è stato, in effetti, stravolto dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha cambiato radicalmente lo stato delle relazioni internazionali e che si è ulteriormente aggravato con il conflitto che è esploso in Israele e nella Striscia di Gaza. Sul piano politico, l’invasione russa è stata condannata con una mozione approvata a larga maggioranza il 2 marzo 2022 dall’Assemblea delle Nazioni Unite. I paesi dell’Unione hanno votato a favore della mozione, ma fra gli astenuti vi sono Cina e India, nonché 25 paesi africani. Si tratta di un segnale importante, non solo perché i due Stati più importanti del continente asiatico non hanno sottoscritto la mozione, ma anche per il fatto che una parte significativa dell’Africa ha voluto dare un segnale di distanza rispetto alle scelte dei grandi paesi dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti.
In realtà, al di là del tentativo di rilancio dell’egemonia americana sui paesi alleati attraverso il rafforzamento della Nato, nel libro si pone l’accento sul fatto che, dopo il drammatico abbandono dell’Afganistan da parte degli Stati Uniti, che ha segnato simbolicamente la fine del tentativo americano di imporre un governo unilaterale del sistema mondiale degli Stati, l’invasione russa dell’Ucraina rappresenta, a sua volta, l’estremo tentativo del governo di Mosca di giocare un ruolo nei nuovi equilibri che si stanno delineando a livello globale. E anche la crisi in Medio Oriente è un fenomeno generato, oltre che da un’incapacità di arrivare a un accordo politico che contemperi il diritto alla sicurezza di Israele e la creazione di uno Stato in grado di tutelare i diritti dei palestinesi alla libertà e alla crescita, da un confronto fra potenze di medie dimensioni che si contendono un’egemonia regionale nel vuoto di potere generato dalla fine dell’egemonia americana.
In realtà, un governo unilaterale del mondo non è oggi concepibile, non solo per l’affermarsi della potenza cinese, ma soprattutto per l’emergere di altre potenze che non accettano più di subire le decisioni prese dalle superpotenze, e richiedono con forza di partecipare alla definizione di un assetto multilaterale del potere a livello mondiale. In questo contesto un ruolo decisivo può essere giocato dall’Europa, la cui ‘ragion di stato’ implica che la sua politica estera debba essere indirizzata al perseguimento della pace, obiettivo che potrà essere conseguito se l’Europa saprà completare il processo di unificazione con l’attribuzione all’Unione di un potere di decisione nel settore della politica estera e della sicurezza, della linee generali di politica economica e di un Piano finanziario per distribuire le risorse fra i diversi livelli di governo.
In questa prospettiva sarà rilevante l’esito delle prossime elezioni europee del 2024, che potrebbero rappresentare il punto di partenza per una fase costituente in cui avvenga in modo irreversibile il trasferimento di poteri dagli Stati all’Europa che, nel pensiero di Mario Albertini, coincide con “il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il potere europeo”. La conclusione del libro mette l’accento sulla speranza che da queste elezioni possa emergere una decisione strategica per dare all’Unione un assetto istituzionale di natura federale, non soltanto con un rafforzamento di competenze in materia di sicurezza, politica estera e politica economica e fiscale, ma soprattutto con la possibilità di prendere decisioni a maggioranza in questi settori cruciali, grazie a istituzioni federali che gestiscano una sovranità condivisa fra il livello europeo e gli Stati membri, per garantire l’unità nella diversità - secondo la classica definizione di Wheare - e per promuovere un nuovo assetto multipolare del mondo capace di assicurare la pace e lo sviluppo sostenibile di tutto il pianeta.