Intervista con il professor Andrea Manzella, già Europarlamentare e Presidente della Commissione permanente Politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica.

Presidente, a distanza di pochi mesi dalle elezioni europee, si accende la discussione su una possibile riforma dei Trattati per superare il potere di veto in mano agli Stati membri. Questa riforma comporterà un maggior peso del Parlamento europeo? Come potrebbe cambiare il processo co-legislativo? 

Nel processo federativo dell’Unione, il Parlamento europeo ha un’importanza centrale nella difesa dei valori europei. Certo, ciò può sembrare, a volte, cosa un po’ vaga, ma, a ben pensarci, i valori europei, riconosciuti nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione, sono il vero fattore di coesione degli Stati membri. In una visione geopolitica delle relazioni internazionali, ad esempio nel rapporto tra l’Unione europea e gli altri centri in cui il mondo si sta organizzando (Cina, India, Brics), il Parlamento europeo si è ritagliato un ruolo di grande rilevanza politica. 

Naturalmente, il Parlamento europeo non deve essere considerato come una struttura isolata nell’Unione: l’articolo 10 del Trattato precisa, infatti, che “il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa”. Democrazia rappresentativa non è solo il Parlamento europeo, ma sono anche i Parlamenti nazionali. Quindi, ciò su cui io insisto molto nei miei studi è creare dei cordoni ombelicali. La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, ormai da tempo, si sono dotati, nella propria articolazione istituzionale, di commissioni parlamentari dedicate specificamente alle politiche dell’Unione europea. La dimensione geografica è un elemento decisivo nel funzionamento delle democrazie che articolano i propri processi decisionali dai comuni alle regioni, ai Parlamenti nazionali fino al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo, dunque, è il coagulo di questa rete democratica. È il suo snodo più alto, perciò non è da considerare isolatamente, come una realtà chiusa e lontana.

Il dialogo tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, argomento ampliamente lumeggiato nelle sue pubblicazioni, quale ruolo può avere e in quali forme può trovare espressione in una prospettiva federale per l’Unione europea?

In una prospettiva federale noi guardiamo a un rapporto di embricazione, come tegole che si reggono una sull’altra e formano un tetto. Sono necessarie, in questo rapporto, delle parti in comune. Al momento possiamo contare su tre assemblee parlamentari comuni, tre tegole legate l’una all’altra, l’Assemblea sulla cooperazione economica, l’Assemblea sulla cooperazione e sulla sicurezza nazionale e l’Assemblea delle commissioni “europee” dei Parlamenti nazionali. 

Questo processo di integrazione è ostacolato da due opposti egoismi. Da una parte, c’è quello della burocrazia parlamentare europea che teme di perdere poteri a favore delle istituzioni nazionali, dall’altra, c’è l’egoismo dei Parlamenti nazionali, spesso condizionati dal virus del sovranismo. Tuttavia, nella concretezza della vita politica europea, la collaborazione tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo si fa intensa e frena l’avanzare di questi opposti egoismi. Prendendo a titolo di esempio il PNRR, vediamo che ha preso corpo uno stretto e fruttuoso rapporto fra la Commissione bilancio del Parlamento europeo e le commissioni parlamentari analoghe negli Stati membri. La relazione c’è già quindi. Non è organizzata e strutturata in maniera permanente come sarebbe auspicabile.

Nei numeri precedenti, L’Unità europea ha prestato attenzione alla proposta di regole elettorali che permettano o, addirittura, incoraggino i partiti politici a candidare, in ogni circoscrizione, cittadini di altri Paesi membri. Considerando la sua esperienza in Parlamento, quali conseguenze può avere questa riforma sulla formazione di una coscienza politica europea?

Indubbiamente il valore simbolico di una tale riforma sarebbe altissimo. Detto ciò, però, non dobbiamo perdere di vista il fattore geografico, territoriale di cui parlavamo poco fa. È chiaro che gli orientamenti politici dei partiti sono molto importanti. In Italia abbiamo uno dei sistemi elettorali più democratici d’Europa, perché non abbiamo le liste bloccate. Per le elezioni europee, abbiamo le liste con sistema di preferenze. Da un lato, quindi, sarebbe augurabile presentare personalità europee in una lista transnazionale, che cercasse voti nelle varie circoscrizioni nazionali. Dall’altro, però, dobbiamo sempre riservare la dovuta attenzione alla dimensione territoriale: cosa che non è necessariamente un male. L’elettore, infatti, percepisce idee e sensibilità diverse tra candidati della stessa corrente politica. Spesso emergono differenti concezioni di Europa all’interno della stessa famiglia politica. La dimensione territoriale aiuta a mettere ordine nella dinamica politica, mette un filtro nella scelta.

Dal 1979 il Parlamento europeo costituisce una legittimazione democratica di capitale importanza per le Istituzioni europee: quali delle sue prerogative devono essere rafforzate al fine di prevenire un’involuzione tecnocratica dell’Unione europea?

La possibilità di un’involuzione tecnocratica dell’Unione europea è in gran parte una mistificazione, perché la Commissione europea è fatta da decisori politici, non da burocrati. Certamente la componente tecnocratica ha il suo rilievo. Dire, però, che la Commissione non abbia un’anima politica oggi è una sciocchezza, soprattutto se teniamo in considerazione il meccanismo di elezione dei componenti della Commissione e del suo Presidente. È un meccanismo assolutamente democratico, più “parlamentare” di quanto previsto nell’ordinamento italiano, in cui il Governo deve avere fiducia delle Camere nel suo insieme.

Il Parlamento europeo, invece, si pronuncia in due votazioni. Una prima riguarda il Presidente. Poi avviene una seconda votazione che coinvolge il Presidente e i Commissari. Tra queste due votazioni c’è un esame particolarmente complesso del Parlamento europeo. Il Commissario designato per una determinata materia si trova davanti, per un esame appunto, la Commissione parlamentare competente in cui figurano politici di lunga carriera. Si tratta di uno scrutinio non facile per ogni Commissario. È accaduto varie volte che dei Commissari non abbiano superato questo esame, questo momento di confronto in Commissione e siano stati bocciati. Il Presidente che li aveva proposti è stato così costretto a sostituirli.

 

  

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