Attraversando il “Portale dell’India” a Mumbai, giungendo dal mare, si percepisce già qual è l’anima del Paese. Una repubblica federale multiforme e policroma dove convivono diverse nazionalità, culture, religioni, in cui si parlano più di quattrocento lingue di cui le principali trenta, oltre ad essere parlate da milioni di persone, possano vantare più di tremila anni di storia della letteratura. Questo Paese, disteso nell'omonimo subcontinente, incluso tra le vette himalayane e mari tropicali, è il primo Stato, nell’Asia-Pacifico e nel mondo, per numero di abitanti ed è la più popolosa tra le democrazie.

Nel 2024, si sono tenute le elezioni generali. Quasi un miliardo di persone è stato chiamato al voto per il rinnovo della camera bassa del Parlamento, la Lok Sabha. Più di 640 milioni di cittadini si è recato alle urne, con un’affluenza del 66%. A contendersi il governo federale sono state due coalizioni, una di centro-sinistra denominata I.N.D.I.A. (Indian National Developmental Inclusive Alliance), guidata dall’Indian National Congress (INC) e una di destra, denominata N.D.A. (National Democratic Alliance) guidata dal Bharatiya Janata Party (BJP), formazione nazionalista, guidata dal primo ministro uscente, Narendra Modi, in corsa per ottenere la terza riconferma al vertice dell’esecutivo.

Il partito del primo ministro si è presentato alle urne con ottime credenziali elettorali. Nel 2014 e nel 2019, il partito del primo ministro ha potuto godere di un larghissimo consenso, ottenendo la maggioranza assoluta con i soli voti del suo partito. Il bilancio del decennio di governo del BJP è stato positivo sul piano economico. Modi, in un certo senso, ha agito in coerenza con gli orientamenti neoliberisti degli anni Novanta, iniziati dal Primo Ministro Rao e continuate dai suoi successori. A differenza di costoro, però, ha cercato di evitare l’eccessiva sperequazione economica e sociale con una sostanziosa campagna di sussidi pubblici, soprattutto nelle grandi aree rurali.

I dati macroeconomici, sia a livello continentale, sia a livello globale, confermano il dinamismo dell’economia indiana, la sua resistenza agli shock sistemici, ma, soprattutto, una crescita costante che l’ha condotta ad essere la quinta potenza economica al mondo. A trainare lo sviluppo del paese sono stati il terziario avanzato (in particolare, il settore tecnologico ad alto valore aggiunto), il settore manifatturiero e gli investimenti nelle infrastrutture. Ma a garantire la solidità del sistema economico è stata anche la riforma del settore bancario e finanziario e la crescente internazionalizzazione dell’economia con una rinnovata attenzione alla logistica, senza dimenticare la lotta all’inflazione e alla corruzione.

Tuttavia, la retorica nazionalista, di matrice indù ha costituito un problema per la qualità della democrazia in India. Vi è stato un aumento delle tensioni etniche e religiose, ma anche la libera stampa ha sofferto un momento di eccezionale compressione del proprio spazio di azione così come è avvenuto anche per le organizzazioni no-profit e della società civile.

Una conseguenza della retorica nativista e populista è stata, senz’altro, il deterioramento della dialettica e del discorso politico. La controversia che ha visto protagonista Rahul Gandhi, figlio di Rajiv e Sonia Gandhi, uno dei leader del INC, accusato di aver diffamato il primo ministro e, poi, successivamente condannato, rappresenta solo un momento di una più ampia stagione di polarizzazione che ha condizionato l’intera vita politica indiana. Altri due fenomeni, tuttavia, hanno rischiato di condizionare il primato del BJP.

Molto contestata nel 2016, infatti, è stata la misura che consentiva la demonetizzazione delle banconote da 500 da 1000 rupie (l'86% della carta moneta circolante). Tale misura, proposta con le migliori intenzioni, volta, quindi, ad arginare fenomeni quali l'evasione fiscale, la corruzione, e la contraffazione, ha in realtà causato notevoli disagi alla popolazione. Le code agli sportelli automatici, la difficoltà di accedere a strumenti finanziari digitali (il 40% della popolazione non dispone di un conto corrente) ha gettato, nei primissimi momenti, la popolazione nel panico. Ovviamente, i ceti meno abbienti sono stati i più colpiti dalla misura che meritava, con ogni probabilità, una gestione più accorta.

Ma il consenso verso la leadership nazionalista ha probabilmente vacillato, durante l’ondata pandemica da Covid-19 della primavera-estate 2021. In quell’occasione, la crisi sanitaria, il preoccupante numero dei decessi (in tutte le fasce di età), hanno messo in evidenza i notevoli limiti della sanità pubblica e la vulnerabilità - in date condizioni - delle zone più densamente popolate in cui, sovente, si fa i conti con un’ondata migratoria dalle campagne che mette a dura prova l’organizzazione delle città.

Nonostante tali elementi, tuttavia, i partiti di opposizione non hanno saputo capitalizzare gli errori del BJP e del suo governo. Tutto questo appare dovuto all’eccessiva frammentazione politica, al peso (sempre meno crescente) dell’Indian National Congress, il partito di Jawaharlal Nehru e di Indira Gandhi.

Le elezioni generali, gestite con un lungo processo burocratico, iniziate nella seconda metà di aprile e terminate a giugno del 2024, hanno condotto ad una vittoria elettorale per il partito del Primo Ministro. Il BJP ha vinto le elezioni, portando Narendra Modi ad essere il primo leader rieletto per la terza volta consecutiva dall’epoca di Nerhu. Tuttavia, a differenza delle precedenti tornate elettorali, Modi dovrà affidarsi ad un governo di coalizione in cui alcuni partiti minori rischiano di avere un potenziale di ricatto decisivo nella determinazione degli orientamenti del nuovo esecutivo federale.

Non si tratta, come sostengono alcuni commentatori, di una “sconfitta” del BJP, ma di una vittoria “normale”, estranea ai numeri plebiscitari del 2014 e del 2019, che imporrà, non solo la centralità della coalizione, ma un cambiamento radicale del linguaggio e della retorica del BJP nel confronto politico-parlamentare e nella società.

Il risultato elettorale non cambia le sfide dell’India contemporanea: la lotta alla povertà, la crescita del mercato del lavoro, la riforma del settore agricolo (che impiega il 44% della popolazione), la disoccupazione giovanile e femminile rappresentano ancora ostacoli alla modernizzazione che non possono essere ignorati e dai quali dipende, al di là delle diverse misure assistenziali in atto, la transizione dell’India verso una nuova fase della sua storia. Se ignorate, tali sfide sono in grado di erodere il consenso politico verso la coalizione di governo rendendo difficile il viatico del primo ministro in questo cruciale terzo mandato.

Nuova Delhi, però, dovrà confrontarsi con i cambiamenti del contesto internazionale. L’India cercherà di agire in continuità con la politica estera di questi ultimi anni. L’accresciuta visibilità dell’India nei diversi contesti multilaterali rimarrà un elemento centrale. Saranno verosimilmente confermati, infatti, i sodalizi con la Russia in ambito energetico e la presenza nei BRICS come attore di primo piano. In egual misura, la percezione della Cina come rivale nella regione Asia-Pacifico, sia dal punto di vista economico e strategico rimarrà una costante, così come il tentativo di essere un pivot tra l’Occidente e il Resto del Mondo.

Molte di queste ambizioni, tuttavia, dipenderanno dalla capacità dell’India di valorizzare la sua pluralità, il suo elemento di forza, garantito anche dalla struttura federale, in coerenza anche con la sua storia sin dall’indipendenza. Da questo dipenderà anche la capacità di crescere economicamente, lottando contro le diseguaglianze economiche e sociali, difendendo i valori e la sostanza della democrazia indiana.

 

  

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