Il terzo appuntamento della Bussola è dedicato a un testo che è un classico non solo del pensiero federalista, ma anche della scienza politica in toto: i Federalist Papers di Alexander Hamilton, John Jay, James Madison.
Dopo la Dichiarazione di Indipendenza del 1776, le tredici colonie d’oltreoceano sperimentarono i mali di una confederazione: gestione della tassazione e reclutamento dei soldati – in un periodo di guerra – delegati interamente ai singoli Stati, assenza di un esecutivo federale. Alla Convenzione di Philadelphia del 1787 si scontrarono quindi centralisti (fra cui lo stesso Hamilton) e confederalisti, ma il compromesso che ne risultò diede vita a una nuova forma di Stato: la federazione. Per promuovere l’approvazione della nuova Costituzione nello Stato di New York, una serie di articoli furono pubblicati, poi appunto raccolti sotto il titolo di Federalist Papers.

Di seguito riportiamo alcuni estratti, tutti presi da articoli redatti da Hamilton, probabilmente il più incisivo dei tre autori. Non possono che essere piccoli frammenti, da approfondire con una lettura (o rilettura) integrale. Ma nella loro sentenziosità rischiarano tanti problemi che anche l’UE di oggi ben conosce.

Federalist #6 - Circa i pericoli che potrebbero derivare da dissensi tra i vari Stati

[…] Assai, e fin troppo, temprato in speculazioni utopistiche, sarebbe colui che potesse seriamente dubitare del fatto che, ove questi Stati fossero del tutto staccati l’uno dall’altro o riuniti in confederazioni parziali, essi, o le loro federazioni, sarebbero continuamente in lite l’uno con l’altro. Ed il presumere l’assenza di palesi motivi per tali liti rappresenti un argomento contro l’eventualità che esse si abbiano a verificare, significherebbe dimenticare che l’uomo è ambizioso, vendicativo e rapace. Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani, ed andar contro l’esperienza accumulata nel tempo.

Le cause di ostilità tra i popoli sono innumerevoli, e ve ne sono alcune che operano in modo quasi generale e costante sulla società. Così la brama di potere o il desiderio di predominio o preminenza - l’invidia dell’altrui potenza o il desiderio di eguaglianza e sicurezza. [...] (pag. 164)

Federalist #7 - Circa i pericoli che potrebbero derivare da dissensi tra i vari Stati

[…] La conclusione da trarre è che l’America, se non sarà unita, o lo sarà soltanto dal debole legame di una semplice lega offensiva e difensiva, sarà, dal funzionamento di tali contrastanti alleanze, gradualmente trascinata nel pernicioso labirinto della politica e delle guerre europee; e le contese distruttive delle parti nelle quali verrebbe divisa, la renderebbero probabilmente preda degli artifici e delle macchinazioni di potenze che sono nemiche di tutti gli Stati americani. Divide et impera dovrà essere il motto di ogni nazione che ci odii, o ci tema. (pag. 176)

Federalist #8 - Conseguenze dell’ostilità tra i vari Stati

[...] Il Regno di Gran Bretagna cade dentro la prima descrizione [quella del carattere degli Stati nei quali l’esercito, piccolo, non influenza il costume ed il potere]. Una situazione insulare, ed una potente marina che la protegge in gran misura contro la possibilità di invasioni straniere, suppliscono la necessità di un grande esercito dentro il regno. […] Nessuna ragione di politica nazionale ha richiesto, né la pubblica opinione avrebbe tollerato, un grande numero di truppe sul suolo nazionale. […] Questa fortunata peculiarità della situazione ha, in sommo grado, contribuito a preservare la libertà che quel paese oggi gode nonostante la prevalente venalità e corruzione. Se la Gran Bretagna fosse stata situata sul continente, e fosse stata costretta, come lo sarebbe stata, dalla situazione, a sviluppare istituzioni militari della stessa misura di quelle delle altre grandi potenze europee, essa, come quelle, sarebbe oggi probabilmente vittima del potere assoluto di un solo uomo. […]

Se dovessimo restare disuniti, e ciascuna parte dovesse restare separata, o, come è più probabile, dovesse venir gettata in due o tre confederazioni, noi ci troveremmo in breve corso di tempo nella pericolosa situazione delle potenze continentali dell’Europa. Le nostre libertà cadrebbero preda dei mezzi per difendere noi stessi contro le reciproche ambizioni e gelosie. […] (pag. 182)

Federalist #9 - L’Unione come salvaguardia rispetto alle fazioni interne e alle insurrezioni

[…] La scienza politica, tuttavia, come tante altre scienze è molto progredita. È ora ben compresa l’efficacia di vari principi, che non erano conosciuti, od erano imperfettamente conosciuti, dai nostri predecessori. La regolare distribuzione del potere in distinti rami, la introduzione di freni e bilanciamenti legislativi, la istituzione di Corti composte da giudici che mantengono il loro ufficio finché dura il loro buon comportamento, la rappresentanza del popolo nel legislativo per mezzo di deputati di sua propria elezione, queste o sono scoperte interamente nuove, o hanno fatto il loro principale progresso verso la perfezione nei tempi moderni. Sono mezzi, e potenti mezzi, con i quali le virtù del governo repubblicano possono venir mantenute, e le sue imperfezioni diminuite od evitate. A questo elenco di condizioni esistenti che tendono al miglioramento dei sistemi popolari di governo civile, io mi avventurerò ad aggiungerne una, per nuova e strana che possa apparire a qualcuno, ed intendo l’allargamento dell’orbita dentro la quale tali sistemi devono ruotare, sia in relazione ad un singolo Stato, sia in relazione al consolidamento di parecchi piccoli Stati in una grande confederazione. […] (pag. 184)

Federalist #15 - Insufficienza dell’attuale confederazione a preservare l’Unione

[…] Nel momento stesso in cui gli antifederalisti ammettono che il governo degli Stati Uniti è privo di ogni energia, essi si oppongono a concedergli quei poteri necessari a dotarlo di tale energia. Essi sembrano ancora tendere a cose che sono tra loro inconciliabili. Ad un’espansione dell’autorità federale che non diminuisca l’autorità statale; ad una sovranità dell’Unione e ad una completa indipendenza dei singoli membri. […]

Gli Stati Uniti hanno una potestà indefinita di far richieste d’uomini e di denari, ma non hanno l’autorità di ottenerli per mezzo di regole estese ai singoli cittadini d’America. La conseguenza di ciò è che, sebbene in teoria le loro risoluzioni siano leggi, costituzionalmente obbliganti i membri dell’Unione, esse sono in pratica mere raccomandazioni, che gli Stati osservano o trascurano a loro scelta. […] (pag. 224)

Federalist #22 - Altri svantaggi della confederazione vigente

[…] Il Congresso si è spesso trovato, a causa delle assenze di alcuni degli Stati, nelle condizioni di una Dieta polacca, dove un solo voto basta a bloccare qualsiasi iniziativa. Una sessantesima parte dell’Unione - che a tanto ammontano, approssimativamente, il Delaware o il Rhode Island - è stata, più e più volte, in grado di contrastarne il funzionamento. […] (pag. 267)

Federalist #25 - I poteri necessari ad assicurare la comune difesa

[…] I saggi politici dovrebbero essere cauti nel legare il governo con restrizioni che non possono venir osservate, perché essi sanno che ogni violazione delle leggi fondamentali, sebbene dettata dalla necessità, indebolisce la sacra reverenza che dovrebbe essere mantenuta nel cuore dei governanti verso la costituzione di un paese, e costituisce un precedente per altre violazioni, quando la stessa giustificazione della necessità non esiste affatto, o è meno urgente e palpabile. (pag. 290) 

Federalist #28 - Si considera la proposta di limitare i poteri del legislativo in materia di comune difesa

[…] In una federazione il popolo può essere detto, senza esagerazione, padrone del proprio destino. Un potere essendo sempre rivale di un altro potere, il governo generale sarà sempre pronto a frenare le usurpazioni dei governi degli Stati, e questi avranno la stessa disposizione verso il governo generale. […] (pag. 305)

Le pagine fra parentesi sono riferimenti all’edizione edita da Il Mulino nella Biblioteca federalista, 1998

 

  

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