Il Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea.
Lo scorso 9 settembre Mario Draghi ha presentato al Parlamento europeo il rapporto sul futuro della competitività europea che gli era stato commissionato dalla presidenza della Commissione europea. Il Rapporto offre un quadro esaustivo dello stato di salute dell’Unione europea e ne accerta in modo incontestabile le difficoltà e la perdita di competitività, in particolare se paragonata ai due grandi competitor globali, Stati Uniti e Cina. In questi anni, infatti, l’UE ha perso drasticamente terreno nella capacità di innovare nei settori tecnologici d'avanguardia, ha persino accresciuto la propria dipendenza da USA e Cina in molti settori strategici (da quello tecnologico a quello della sicurezza, da quello dell’approvvigionamento delle materie prime essenziali a quello dell’energia), continua a non riuscire a reperire le risorse necessarie per la crescita, ha ancora un mercato dei capitali e un sistema bancario frammentati.
In particolare, Draghi, nel suo rapporto, evidenzia come questo quadro si traduca in un trend di progressivo impoverimento delle nostre società, nella perdita di coesione sociale – legati anche alla difficoltà di mantenere i livelli di welfare che l’Europa era riuscita a raggiungere – e nel conseguente indebolimento del tessuto democratico negli Stati membri; e tutto ciò, unito alla nostra dipendenza strategica e impossibilità di garantire autonomamente la nostra sicurezza, mette a rischio anche la nostra libertà.
La causa del malfunzionamento del sistema europeo, dimostrata chiaramente con dati ed esempi concreti, risiede nella persistente frammentazione sia finanziaria sia economica e – in ultima istanza – politica dell’Unione europea. Sempre e in ogni materia, l’incapacità di sviluppare l’enorme potenziale di cui ancora dispone l’Europa è dovuta al blocco da parte degli Stati membri di passi verso un’indispensabile maggiore integrazione.
Il Rapporto, di fatto, è un grido di allarme rivolto soprattutto agli Stati membri perché capiscano che l’attuale Unione europea deve cambiare il proprio paradigma di riferimento, uscendo dalla logica focalizzata sullo sviluppo del Mercato interno e iniziando a strutturarsi come un’entità politica capace di elaborare una propria visione strategica e di coordinare in modo coerente tutte le proprie politiche per realizzare gli obiettivi comuni identificati. La soluzione che il Rapporto offre è una nuova strategia industriale finalizzata a far fronte alle tre grandi trasformazioni in atto a livello mondiale, rispetto alle quali l’Europa si trova in grave difficoltà e ritardo, ossia a) accelerare l’innovazione tecnologica e trovare nuovi motori per la crescita, b) abbassare il costo dell’energia mentre prosegue la politica di decarbonizzazione e il passaggio ad un’economia circolare, c) sviluppare la capacità di provvedere alla propria sicurezza liberandosi dalle dipendenze verso l’esterno.
Questa nuova strategia industriale dovrebbe diventare il perno su cui si focalizza l‘azione europea, e attorno alla quale si costruisce la visione strategica comune. Si fonda su quattro grandi blocchi, al di là dei dettagli esposti nei vari capitoli: i) completare pienamente il Mercato unico, così come indicato nel rapporto di Enrico Letta “Molto più di un Mercato”, presentato pochi mesi fa; ii) varare politiche industriali, della concorrenza e del commercio, che siano complementari tra di loro e allineate come parte di una strategia globale; iii) finanziare le principali aree di intervento, che necessitano di investimenti massicci mai visti in Europa da mezzo secolo a questa parte; iv) riformare la governance dell'UE. A proposito di quest’ultimo aspetto cruciale, Draghi scrive: “il ‘metodo comunitario’ è stato la fonte del successo dell'UE, ma è stato istituito in un'epoca diversa, quando l'Unione era più piccola e doveva affrontare una serie di sfide diverse. …. Oggi l'UE è molto più grande, con un maggior numero di soggetti che esercitano il diritto di veto, e le sfide che deve affrontare le vengono spesso imposte dall'esterno”. Nella seconda parte del Rapporto aggiunge: “Una nuova strategia industriale per l'Europa non avrà successo senza cambiamenti paralleli nell'assetto istituzionale e nel funzionamento dell'UE. Come dimostrato nel corso di questa relazione, le politiche industriali di successo richiedono oggi strategie che abbracciano gli investimenti, la fiscalità, l'istruzione, l'accesso ai finanziamenti, la regolamentazione, il commercio e la politica estera, unite da un obiettivo strategico concordato. I principali concorrenti dell'Europa, in quanto singoli Paesi, possono applicare queste strategie. Le decisioni (dell’UE, invece) vengono generalmente prese questione per questione in diversi sottocomitati, con uno scarso coordinamento tra le varie aree politiche. La presenza di più soggetti con diritto di veto può ritardare o diluire l'azione. ….. Il rafforzamento dell'UE richiede la modifica dei Trattati”, ma, aggiunge Draghi, “non è un prerequisito per far progredire l'Europa: molto può essere fatto con aggiustamenti mirati…. finché non ci sarà il consenso per le modifiche dei Trattati”.
“Il Rapporto Draghi di fatto è la dimostrazione più efficace della necessità e urgenza di procedere in direzione di una vera unione politica di tipo federale.”
Coerentemente con questa impostazione Draghi indica anche alcuni passaggi e strumenti che andrebbero messi in campo subito, con una prospettiva di breve periodo, e di sviluppi ulteriori nel medio termine: 1) la politica e l'azione legislativa dell'UE dovrebbero concentrarsi sui settori in cui l'UE ha davvero un valore aggiunto maggiore rispetto all'azione politica nazionale o subnazionale, in linea con il principio di sussidiarietà; 2) il coordinamento di tutte le politiche rilevanti per la competitività dell'UE dovrebbe essere unificato in un nuovo Quadro di coordinamento della competitività, sulla base di “priorità dell'UE in materia di competitività” formulate e adottate dal Consiglio europeo; 3) generalizzare le votazioni a maggioranza qualificata anziché all'unanimità nel Consiglio dell’Unione europea, creando un modello di integrazione più profonda basato su “cerchi concentrici”; e, nel caso non si riuscissero ad usare a tale scopo gli strumenti previsti dai Trattati (clausole passerella e cooperazioni rafforzate), bisogna orientarsi verso iniziative intergovernative al di fuori dei Trattati da parte di un nucleo di Stati “volonterosi”. Il superamento dell’unanimità, pertanto, non viene inteso semplicemente nel senso di modificare i meccanismi decisionali all’interno del Consiglio, ma è finalizzato ad avviare “un approccio differenziato all’integrazione” in modo da permettere “agli Stati membri che vogliono avanzare più rapidamente di poterlo fare” costruendo un nucleo capace di identificare “obiettivi comuni …. e agire in modo coerente allineando tutte le politiche in base a questi obiettivi comuni”.
Al di là del tentativo di incoraggiare i governi nazionali (che Draghi, in questo momento, sa bene essere deboli, divisi e paralizzati) ad agire con rapidità, mostrando che si potrebbero iniziare subito fare alcuni primi passaggi, il Rapporto – attraverso la critica, benché costruttiva, più forte e articolata in assoluto al sistema attuale dell’UE – di fatto è la dimostrazione più efficace della necessità e urgenza di procedere in direzione di una vera unione politica di tipo federale (come del resto Draghi aveva più volte già dichiarato in discorsi pubblici). I passaggi e gli strumenti che propone e che abbiamo riportato, infatti, lo dimostrano chiaramente: da un lato, non sono compatibili con gli strumenti di flessibilità presenti nei Trattati (clausole passerella e cooperazioni rafforzate), che sono stati pensati non per rendere possibili avanzamenti effettivi nell’integrazione, ma solo per permettere iniziative settoriali su materie secondarie. Dall’altro, anche l’ipotesi che un nucleo di stati volenterosi prenda l’iniziativa al di fuori dei Trattati, proprio per la debolezza dei governi nazionali, a partire da Francia e Germania, appare molto improbabile; a maggior ragione perché non potrebbero limitarsi ad iniziative congiunte in ambiti limitati, ma dovrebbero condividere una tabella di marcia onnicomprensiva come quella delineata nel suo Rapporto.
Di fatto, la sola via possibile resta quella di una riforma organica dei Trattati che crei gli strumenti europei giuridici e politici necessari, esattamente come proposto dal Parlamento europeo con la risoluzione approvata il 22 novembre 2023 e fatta pervenire al Consiglio europeo con la richiesta di avviare una Convenzione; richiesta ignorata sinora dal Consiglio europeo, ma che, proprio per la forza degli argomenti del Rapporto Draghi, i governi non potranno ignorare per sempre, pena il condannare l’UE ad un’inesorabile agonia. Serve a questo proposito una grande mobilitazione di tutte le forze vive della società per scongiurare questo rischio, ed è n questa direzione che dovrà andare l’impegno politico dei federalisti. In gioco – e questa volta ce lo dice Draghi – c’è il futuro dell’Europa e del mondo.