L'elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea per il quinquennio dal 2024 al 2029 e la designazione dei singoli Commissari da parte sua meritano di essere valutati con attenzione in un'ottica federalista, perché per molti aspetti costituiscono una svolta importante in quella che possiamo denominare la costituzione materiale dell'Unione europea.
Quanto alla presidenza, va anzitutto osservato che la maggioranza parlamentare europea che l’ha votata è costituita dal concorso dei partiti pro-Europa alleatisi alla vigilia del voto del 9 giugno scorso: i popolari, i socialdemocratici, i liberali e i membri di Renew. Si è trattato di un'alleanza sicuramente democratica, conclusa nella prospettiva che nessun partito avrebbe conseguito una maggioranza sufficiente per decidere da solo entro il nuovo Parlamento europeo, come in effetti è accaduto. Ci sono state alcune defezioni ma anche alcune integrazioni, ad esempio da parte di una quota dei Verdi, come d'altronde era già accaduto nel 2019. Bisogna accettare anche la prospettiva di maggioranze variabili su temi per i quali i partiti ed anche i singoli parlamentari hanno sensibilità e opinioni diverse.
Va detto che il successo di Ursula von der Leyen è in larga misura dovuto al prestigio acquisito da lei nel corso della legislatura europea 2019-2024. Senza il suo sostegno non si sarebbe conseguita nel luglio 2020 la storica decisione di aumentare di oltre 700 miliardi di euro la dotazione di ulteriori risorse dell'Unione per interventi non limitati a contrastare la pandemia ma rivolti al futuro con la sigla evocativa di Next Generation EU, risorse ottenute con bonds sia a fondo perduto che con prestiti garantiti dall'Unione, peraltro rigorosamente condizionati ad investimenti e non alla copertura di spese correnti degli Stati. Inoltre, per la prima volta i cittadini europei hanno avuto modo di riconoscere nel volto sorridente e onnipresente della Presidente del Commissione il volto dell'Europa, un risultato di grande impatto.
Un elemento nuovo molto importante è costituito dal programma che Ursula von der Leyen ha enunciato in Parlamento nell'imminenza del voto. Si tratta di un vero e proprio programma di governo, tale per cui il voto del Parlamento ha acquistato molti caratteri propri di un voto non solo sulla persona candidata a presiedere la Commissione ma sui contenuti della sua azione futura.
Mi limito a segnalarne alcuni. L'impegno per una difesa comune dell'Unione, autonoma pur nel quadro dell'Alleanza atlantica, condizione indispensabile per la futura sicurezza europea; la programmazione di investimenti diretti allo sviluppo in continuità con l'indirizzo innovatore del Next Generation EU; la messa a punto di una comune politica migratoria, indispensabile anche perché in parziale ma indispensabile controtendenza rispetto al declino demografico dell'Europa; l'impegno a portare a termine la procedura di allargamento inclusiva di una normativa che superi la strettoia paralizzante del potere di veto ed il connesso grave deficit democratico dell'Unione; la promozione delle nuove tecnologie che sottragga l'Europa a una dipendenza passiva dalle grandi potenze; la prosecuzione delle politiche di sostituzione adeguata e tempestiva delle fonti di energia verde e sostenibile, che tuttavia non pregiudichi l'agricoltura europea né la tutela del territorio; la messa in opera di politiche sociali (sul modello del SURE e delle politiche di coesione) in grado di ridurre le diseguaglianze interne ed esterne all'Unione nonché di rispondere alle sofferenze create dalle nuove povertà; l'incentivazione di iniziative capaci di creare posti di lavoro qualificati che compensino le perdite determinate dal permanere di una politica di scambi che resta vitale sia per l'Europa sia in un contesto internazionale multilaterale; la rigorosa ed efficace difesa della rule of law e dello stato di diritto; il deciso sostegno all'Ucraina e alla sua sovranità minacciata dall'aggressione della Russia, insieme con la prosecuzione dell'iter di un suo futuro ingresso nell'Unione.
Del massimo rilievo è l'impegno assunto nella direzione di nuovi importanti investimenti al livello dell'Unione. Non a caso era stata Ursula von der Leyen a conferire a Mario Draghi il Rapporto che ha da poco visto la luce, estremamente ambizioso ed esplicito quanto alle iniziative di crescita competitiva, di sicurezza e difesa, di politica sociale - da finanziare con risorse proprie e con bonds - senza le quali l'Unione si avvierebbe ad un declino definito drasticamente da Draghi come una "lenta agonia". Anche il Report di Enrico Letta presenta linee ulteriori di grande rilievo.
“Servono tre elementi per una riforma incisiva: crisi, consenso dal basso e leadership. I primi due ci sono; Von der Leyen può essere una leader.”
All'impegnativo programma di governo enunciato dalla futura Presidente si è accompagnato l'esercizio di un suo ruolo determinante nella scelta dei Commissari da lei designati. E questo in una duplice direzione: da un lato la designazione di funzioni nuove, tra le quali quella della difesa europea affidata ad uno di essi e quella delle politiche sul Mediterraneo; dall'altro lato la non casuale assegnazione degli incarichi in considerazione del fatto che talune finalità, quali appunto la sicurezza e la difesa, potranno trovare un sostegno più efficace se gestiti da Commissari provenienti dai Paesi dell'Est dell'Unione, maggiormente sensibili sul tema in quanto più esposti al rischio dell'espansionismo della Russia. Inoltre, il ruolo della Presidente nel governo della Commissione risulta indirettamente accresciuto, in quanto il ruolo dei vicepresidenti da lei indicati risulta più limitato rispetto alla passata legislatura perché di norma non include poteri esecutivi diretti nei settori affidati ai singoli Commissari.
A tutto ciò si aggiunge che la futura Presidente non ha omesso di rammentare che il Parlamento europeo ha avanzato un articolato progetto di revisione dei Trattati chiedendo l'avvio di una Convenzione, una richiesta alla quale sinora il Consiglio europeo ha opposto un silenzio non giustificato. Il fatto che nessun Commissario designato abbia tra le sue competenze tale dossier potrebbe forse significare che la Presidente riserba a se stessa questo ruolo. Ma è molto importante tenere ben presente che proprio l'esperienza del 2020 (ma certo non solo questa) ha mostrato con chiarezza che obbiettivi di grande rilievo sulla via dell'integrazione si possono perseguire anche prima e indipendentemente dalla riforma dei trattati, con strumenti quali l'astensione costruttiva, la cooperazione rafforzata, la cd. clausola passerella, l'opting out - dunque senza la necessità di un consenso unanime. E non va dimenticato che resta aperta anche la prospettiva estrema di un nuovo trattato concluso "con chi ci sta", come è già avvenuto nel 2012. In ogni caso l'urgenza creata dalle molteplici crisi in corso impone di procedere da subito. Non ci sono alternative.
Delle tre componenti che ritengo necessarie per ogni riforma incisiva - la crisi (la "fortuna" di Machiavelli), il consenso dal basso (il popolo in maggioranza pro-europeo) e la leadership (la "virtù" dello stesso Machiavelli) - le prime due sono sul campo mentre la terza oggi trova in Ursula von der Leyen la possibile protagonista (la "leadership occasionale" di Albertini), tanto più in presenza di governi nazionali a loro volta, perché impotenti, paralizzati in crisi molto serie, a cominciare da Francia e Germania. Il fatto che la Presidente sia una cittadina tedesca potrebbe aiutare non poco. Certo lei ha osato molto. Certo gli avversari delle riforme, già ben visibili, saranno tutt'altro che inermi.
Ma la prospettiva di completare nel segno del federalismo la cattedrale incompiuta dell'Unione è ormai sul campo. La nuova legislatura europea potrà essere decisiva. E il tempo per l'Europa si è fatto breve.