Il Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea analizza la posizione dell’UE rispetto a USA e Cina – le principali potenze globali – sotto numerosi settori. Iniziamo con quello dell'energia e transizione verde.
È passato un decennio dall’approvazione del primo Piano europeo per il clima e l’energia con cui l’Unione Europea si poneva obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra e di sviluppo delle rinnovabili; oggi, con il Green Deal, la Commissione europea ha avviato un processo di trasformazione delle politiche in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità con l’obiettivo di fare della lotta al riscaldamento globale il nuovo motore di sviluppo dell’economia europea. La crisi del processo di globalizzazione, con la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina e l’inasprimento dei rapporti con la Cina, stanno però rimettendo in discussione i piani della Commissione.
Il Rapporto Draghi individua due fatti principali che penalizzano il settore europeo dell’energia: i prezzi elevati e la concorrenza delle imprese cinesi, ma anche di quelle statunitensi, nel settore delle tecnologie pulite.
Pur essendo l’UE il maggiore importatore mondiale di gas, le imprese europee devono sostenere costi significativamente maggiori rispetto alla concorrenza (di tre-quattro volte superiori a quelli USA), in parte a causa di un eccessivo ricorso agli acquisti sul mercato spot, dove i prezzi sono più volatili e soggetti alle speculazioni finanziarie rispetto a quelli dei contratti a lungo termine tipici dei rifornimenti via gasdotto.
Andrebbero poi riviste le regole di mercato europee, che trasmettono questa volatilità agli utilizzatori finali, e realizzato il disaccoppiamento del prezzo dell’energia da fonti pulite da quello da combustibili fossili per trasmettere pienamente agli utenti finali i benefici economici della decarbonizzazione. I regolamenti europei e la frammentazione del mercato dei capitali sono poi di ostacolo agli investimenti. Infine, la tassazione dell’energia è un’importante fonte di finanziamento per gli Stati, ma penalizza la competitività delle aziende (negli USA questi consumi non vengono tassati dal governo federale). Tutti temi che dovrebbero essere affrontati con l’Unione europea dell’Energia, che però non riesce a concretizzarsi.
Per quanto riguarda invece il settore delle energie pulite, le imprese europee stanno perdendo il vantaggio competitivo acquisito negli anni passati soprattutto a causa della debolezza dell’ecosistema europeo dell’innovazione. Nonostante la dimensione del suo mercato, l’UE ha perso capacità produttiva in particolare nei confronti della Cina, che è oggi dominante nella produzione di pannelli fotovoltaici e sta mettendo in crisi l’industria automobilistica europea.
Il Rapporto individua la causa principale della crisi di competitività dell’UE nella “mancanza di una strategia industriale equivalente a quella di altre grandi regioni” a cui è necessario rispondere con “un piano congiunto di decarbonizzazione e competitività in cui tutte le politiche siano allineate agli obiettivi dell'UE”. Infatti, sebbene gli Stati europei abbiano iniziato a ricorrere a interventi di politica industriale, questi sono scoordinati tra di loro e non possono sfruttare i fattori di scala su cui i piani dei governi statunitense e cinese possono invece contare; inoltre manca il coordinamento tra “le politiche fiscali per incentivare la produzione interna, le politiche commerciali per penalizzare i comportamenti anti-competitivi di Stati esteri e la politica estera per mettere in sicurezza le forniture”.
Anche sul piano degli investimenti, gli Stati europei non riescono a tenere il passo con i governi statunitensi e cinesi. Draghi, pur evitando di parlare di debito comune europeo, ribadisce la necessità di forme di finanziamento comune per investimenti a livello europeo e un mercato comune dei capitali.
In conclusione, dal rapporto Draghi risulta chiaro che sarà molto difficile per le imprese europee recuperare la perdita di competitività che sta mettendo in crisi l’economia europea, fintanto che i governi europei vorranno mantenere il pieno controllo del settore energetico attualmente assicurato dai Trattati UE.