Luigi Einaudi, a 150 anni dalla nascita, è sempre un punto di riferimento saldo non solo per la ricostruzione politica, istituzionale e morale per un’Italia del “buongoverno” abbattuta dal Ventennio fascista e dalla guerra civile, ma anche per aver gettato le basi della creazione del progetto federalista del Manifesto di Ventotene, realizzato da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli con la collaborazione di Eugenio Colorni e altri compagni antifascisti.
La formazione di Einaudi è stata tutta “coscienza morale” e scientifica: approfondimenti di studio con Salvatore Cognetti de Martiis, Achille Loria, Francesco Ruffini, Gioele Solari e Gaetano Mosca; l’esperienza del “Laboratorio di economia politica”, gli impegni accademici, i confronti con l’apparato economico (dal socialismo politico di Turati al liberalismo-liberista di De Viti de Marco, Pantaleoni, Pareto), le esperienze editoriali, prima con Critica sociale poi con Riforma sociale e con Il Giornale degli economisti, il confronto diretto e indiretto con Gramsci e Croce; la sua iniziale fiducia nel rinnovamento politico statuale con l’avvento del fascismo e la rottura con lo stesso – con Albertini e pochi altri – al momento del voto contro la legge elettorale del 1928 e il “mancato” rifiuto di giuramento dei docenti al regime (dopo un “conveniente” incontro con Croce) fino all’evoluzione nei rapporti di “militanza” con Gobetti (sin dal 1919) e con Carlo Rosselli.
Elementi portanti della speculazione di Einaudi furono, a livello internazionale, Keynes (forte la polemica sulla fine del laissez faire, nel 1926) e von Hayek (con cui condivideva l’avversione per il razionalismo costruttivistico); a livello nazionale, assi principali, i rapporti con economisti della sua generazione: Umberto Ricci, Attilio Cabiati ed Emanuele Sella. Temi che hanno attraversato la sua dottrina liberale con felici esiti in funzione libertaria della classe operaia, contro i sistemi monopolistici, contro le corporazioni, antiproibizionisti. Einaudi, per quanto qui di interesse, alle idee di Cabiati, dedicò sempre grande attenzione, si trattasse di questioni riguardanti il federalismo europeo (ricordiamo Federazione europea o società delle nazioni?, scritto per La Riforma sociale nel 1918) o la teoria del sistema economico collettivista.
“Einaudi considerò Rossi il suo miglior discepolo, ma Rossi non gli risparmiò giudizi aspri.”
Proprio la tematica federalista si insinuò nei suoi studi: il richiamo va a Roepke e al suo Crisis and Cycles (1936) che Einaudi argomentò (nella Rivista di storia economica, 1937) sulle origini economiche della Grande Guerra, nel quale recensì anche un testo decisamente rilevante ovvero Economic Planning and International order di Lionel Robbins. Un autore – Roepke - che Einaudi consigliò a Ernesto Rossi e che incontrò nel suo esilio svizzero quando vi entrò il 26 settembre 1943. Con Rossi, sin dal 1925, ebbe subito un dialogo rispettoso, sfociato nella collaborazione alla Rivista quando era al confino di Ventotene. Da un lato Einaudi, considerò Rossi il miglior discepolo e continuatore (ha scritto Sylos Labini, 1977); dall’altro, Rossi non gli risparmiò giudizi aspri (ha inclinazioni “conservatrici, anzi reazionarie”, 1942) e lucidi sulla forma del suo pensiero, in particolare sul ruolo delle tradizioni nella società politica. “Einaudi era un illuminista scettico – scrisse Rossi – un illuminista che non aveva alcuna fiducia che l’umanità potesse muoversi guidata dalla ragione”; per questo la tradizione, i cui valori “riteneva costituissero gli unici argini solidi contro l’irrompere degli istinti bestiali e delle passioni dissolvitrici di ogni ordine civile” (Il Mondo, 18 novembre 1961), quelli che ebbero la meglio nella Seconda Guerra mondiale, che Rossi e Spinelli affrontarono nel riconosciuto Manifesto per la libertà e l’unità dell’Europa scritto a Ventotene. I due confinati, negli anni 1940-41, cominciarono una profonda meditazione sui rapporti fra Stati, quando, sotto i colpi del nazismo, l’intera Europa era ormai crollata. La loro riflessione si soffermò “in particolare sul significato della povera Società delle Nazioni, di cui le democrazie erano andate così fiere e che aveva così miseramente fallito” - scrisse Spinelli nella sua autobiografia - “scovammo così un volume di scritti di Luigi Einaudi, talmente obliato che esisteva ancora sui cataloghi di Laterza, benché edito nei primi anni ’20, nel quale erano riprodotti alcuni suoi articoli pubblicati sul Corriere della Sera … sotto lo pseudonimo di Junius.”
In quelle pagine di Einaudi, mosse critiche sulla mancanza di un ordine mondiale focalizzato sulla cessione di competenze nazionali, l’indomani della Prima guerra mondiale: “gli sforzi fatti per creare una società di nazioni, rimaste sovrane, servirebbero solo a creare il nulla, l’impensabile, ad aumentare ed invelenire le ragioni di discordia e di guerra. Alle cause esistenti di lotta cruenta si aggiungerebbero le gelosie per la ripartizione delle spese comuni, le ire contro gli stati morosi e recalcitranti”. (Lettere politiche di Junius, Laterza, 1920, pp. 87-88).
Ancora Spinelli: “Il loro autore, che era anche lui un illuminista, aveva portato dinnanzi al tribunale della ragione il progetto della Società delle Nazioni, l’aveva trovato del tutto inconsistente, e, rievocando la problematica costituzionale dalla quale erano nati gli Stati Uniti d’America, aveva proposto una reale federazione che unisse sotto l’impero di una legge comune i popoli che uscivano dal bagno di sangue”.
Rossi era autorizzato a corrispondere con Einaudi. Fra la primavera del 1940 e quella del 1943, lo scambio intellettuale fra i due economisti fu intenso e relativamente continuo. Le pagine di Einaudi, fino a quel momento dimenticate, rivissero poi a distanza di vent’anni.
Nel 1944, Einaudi (Junius) pubblicò un saggio, scritto per il Movimento Federalista Europeo, col titolo I problemi economici della federazione europea (Nuove edizioni di Capolago – Lugano), articolato in cinque capitoli: I. I compiti economici della Federazione; II. La filosofia della scarsità e quella dell'abbondanza; III. Che cosa faremo se non saremo più protetti?; IV. Di alcuni errori e timori volgari in materia economica; V. Conclusioni. Il saggio verrà ristampato dalle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti (1948, 1950 e 1953), insieme alle lettere - citate in precedenza - dello stesso Einaudi, pubblicate dal Corriere della Sera nel 1918, al saggio Per una federazione economica europea (pubblicato nella collezione clandestina del Movimento Liberale Italiano nel settembre 1943), al discorso pronunciato all’Assemblea costituente il 29 luglio 1947 (La guerra e l'unità europea) e all’articolo pubblicato sempre sul Corriere della Sera il 4 aprile 1948 (Chi vuole la pace?).