Se il Parlamento europeo ha potuto nella scorsa legislatura, sotto la spinta dell’avanguardia federalista, avventurarsi nella richiesta di una Convenzione per la riforma dei Trattati - attivando l’articolo 48 del Trattato sull’Unione Europea - è stato in buona parte grazie alla leva offerta dai risultati della Conferenza sul Futuro dell’Europa (CoFoE).
L’azione del Parlamento, tiepidamente supportata dalla Commissione, è stata però sinora ignorata dal Consiglio Europeo. Come tentare di superare questo impasse? Tornando a dare protagonismo diretto alla voce dei cittadini europei.
Sicuramente l’elemento più innovativo della Conferenza sul Futuro era stata in effetti la sperimentazione degli European Citizens Panels (ECP): quattro “assemblee” transnazionali di 200 cittadini e cittadine estratti a sorte (800 in totale), provenienti da ogni angolo d’Europa e da diversi percorsi sociali, con il compito di formulare delle raccomandazioni alle istituzioni UE sulle priorità del continente - sul modello delle citizens assemblies già sperimentate in Irlanda, Belgio, Germania e Francia.
Ricordiamo che, tra le raccomandazioni emersi dagli ECP, emergeva anche la richiesta di “tenere periodicamente assemblee dei cittadini, sulla base di una legge dell'UE giuridicamente vincolante” e la necessità di riaprire il dibattito costituzionale europeo, con un ruolo di primo piano nel processo di revisione dei Trattati da assegnare ai cittadini stessi.
Dopo la fine della CoFoE, una nuova stagione di ECP è stata avviata dalla Commissione Europea, facendone un nuovo strumento istituzionale di consultazione dei cittadini europei, dalle cui raccomandazioni la Commissione si impegna a trarre linee da inserire nell’iter legislativo su alcuni temi cruciali per la vita quotidiana: dall’efficienza energetica allo spreco alimentare, dalla formazione al mondo digitale e alla lotta contro l’odio nella società.
Nelle intenzioni della Commissione von der Leyen II emerge la volontà di continuare a sviluppare le potenzialità degli ECP, ai quali è stato dato un ruolo cruciale nella “lettera di incarico” inviata dalla Presidente della Commissione a ciascuno dei Commissari scelti: “Ci baseremo sulla Conferenza sul Futuro dell'Europa per instillare una vera e duratura cultura di democrazia partecipativa. Sceglieremo le aree e le proposte politiche in cui le raccomandazioni di un European Citizens Panel potranno avere il maggior valore e daremo seguito alle loro proposte”. Questo intento rifletteva quanto dichiarato dalla stessa Presidente il 18 luglio 2024 nel suo discorso al Parlamento in occasione del voto per il rinnovo del suo mandato: “La democrazia europea deve essere più partecipativa, più vivace”. Nelle linee guida politiche da lei presentate contestualmente quel giorno, si leggeva: “La Conferenza sul Futuro dell'Europa e il successo degli European Citizens Panels sono stati passi importanti verso una democrazia più deliberativa e verso il coinvolgimento dei cittadini al di là delle elezioni o della politica. Ora dobbiamo incorporare la partecipazione dei cittadini in tutta l’UE”.
La Commissione sembra insomma voler utilizzare gli ECP in modo sempre più sistematico nell'elaborazione delle sue politiche. Cruciale sarà garantire che essi siano visibili al grande pubblico, anche trattando tematiche più controverse, incluse la difesa europea e il bilancio dell’Unione - magari attraverso un vero e proprio esperimento di bilancio partecipativo europeo. Ciò è necessario per andare al di là del lodevole esercizio confinato nei palazzi di Bruxelles e per garantirne un impatto significativo: occorre evitare un effetto contrario a quello aspettato, a causa di aspettative deluse e di un percepito “citizens-washing” che verrebbe rovesciato dalle forze nazional-populiste contro le stesse istituzioni europee.
Andranno immaginati a tal fine meccanismi certi per rendere la Commissione responsabile nel dare seguito alle raccomandazioni emerse dei panels, facendo sì che esse siano effettivamente inserite nell’iter legislativo europeo.
E allo stesso modo: se mai verrà dato seguito alla richiesta del Parlamento di aprire la Convenzione per la riforma dei Trattati, andranno immaginati con essa meccanismi di coinvolgimento diretto dei cittadini e della società civile sul modello della stessa Conferenza sul Futuro dell’Europa.
Ma, dalla discussione sui temi particolari negli e attorno agli ECP organizzati dalla Commissione, potranno forse riemergere spinte alla ripresa del tema riforma dei trattati?
Sì, se vi sarà una società civile vibrante e organizzata transnazionalmente, capace di far vivere quelle discussioni in una moltiplicazione di assemblee deliberative dal basso in tutto il continente - e se le forze federaliste saranno nuovamente capaci di far leva su questo rinnovato tessuto partecipativo indicando la necessità di una Costituzione democratica europea, contribuendo a costruire dal basso un potere costituente deliberativo che prefiguri e ponga la possibilità stessa di una vera e propria Assemblea Costituente (che potrebbe anche essere l’esito istituzionale della Convenzione).
È chiaro in ogni caso che senza una nuova pressione civica e popolare, capillare e di massa, Paese per Paese, e a livello europeo, la convocazione della Convenzione con molta probabilità non accadrà.
E nell’attesa che il Consiglio forse un giorno convochi la Convenzione, converrà fare leva sugli spazi partecipativi e deliberativi offerti ai cittadini europei dalla Commissione (gli ECP) e quelli organizzati dal basso dalla società civile (come il progetto di European Citizens’Assembly portato avanti dalla coalizione Citizens Take Over Europe, anche attraverso il progetto CitiDem o la Democratic Odyssey organizzata in collaborazione con lo European University Institute).
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Infine: un ruolo importante potrebbe essere dato agli ECP anche in vista dell’allargamento dell’Unione, garantendo la partecipazione in essi dei cittadini dei Paesi in via di adesione.
E ancora: un Nuovo Patto per il Mediterraneo è parte del nuovo mandato dato a Dubravka Šuica che passa a Commissaria per il Mediterraneo lasciando il suo ruolo di Vicepresidente per la Democrazia e Demografia - nelle cui vesti aveva co-presieduto il Comitato esecutivo della CoFoE, insieme a Guy Verhofstadt per il Parlamento e Clément Baune per il Consiglio.
Ma come si dovrebbe arrivare alla definizione di questo patto? Proponiamo che lo si faccia attraverso una Conferenza sul Futuro del Mediterraneo - modellata sullo stesso formato partecipativo della CoFoE – promossa congiuntamente da Commissione e Parlamento Europeo, in collaborazione con l'Unione per il Mediterraneo (UpM) e con l’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo (PAM).
In questo contesto, potrebbero essere avviati inediti Mediterranean Citizens’ Panels - modellati sugli European Citizens Panels, con cittadini e cittadine estratte a sorte da tutti i paesi del Mediterraneo – che col tempo potrebbero evolversi in una vera e propria Mediterranean Citizens’ Assembly (“Assemblea dei Cittadini del Mediterraneo”), che potrà favorire costantemente un dialogo pacifico e continuo tra popoli e persone in quest’area così cruciale per il futuro dell’Europa e del mondo, pensando dal basso le soluzioni alle crisi, oltre i summit intergovernativi in cui inevitabilmente tendono a prevalere quei miopi interessi nazionali che talvolta - e ultimamente non di rado - portano alle guerre.