L'inizio delle negoziazioni sul futuro dell'Ucraina a Riad fra Rubio e Lavrov rendono l'UE sola, vulnerabile e disorientata.

Mentre Trump comincia a trattare con Putin sulla testa degli ucraini e degli europei, diventa sempre più urgente costruire un’Europa capace di decidere.

L’amministrazione Trump ha ormai deciso di abbandonare l’Ucraina al suo destino, negoziando direttamente con Putin un "accordo di pace" che soddisfi i suoi appetiti territoriali, in sfregio al sacrificio di milioni di cittadini ucraini che negli ultimi tre anni hanno eroicamente resistito all’invasione russa e lottato per un futuro europeo.

Vedendo il proprio alleato e protettore allinearsi di fatto con il suo peggior nemico, l’Europa si trova sola, vulnerabile e disorientata. Ma la minaccia non è solo militare: ciò che è in gioco è la sopravvivenza stessa del progetto europeo. Sono tre i fronti che l’Unione dovrà affrontare simultaneamente, con conseguenze potenzialmente devastanti per il suo futuro.

Primo fronte: la Russia. Venendo meno il suo isolamento grazie all’intercessione di Trump, Putin si trova improvvisamente in una posizione di forza. La possibile revoca delle sanzioni economiche gli garantirebbe un’immediata ripresa finanziaria, permettendogli di riorganizzare il proprio arsenale in vista di nuove operazioni militari. Se gli Stati Uniti chiuderanno un occhio sulle sue mire espansionistiche, il Cremlino potrebbe spingere la sua avanzata oltre l’Ucraina, prendendo di mira la Moldavia, i Paesi baltici e persino la Polonia. La NATO, già indebolita da fratture interne e da una crescente sfiducia nelle garanzie americane, rischia di trovarsi paralizzata proprio nel momento di massimo bisogno.

Secondo fronte: la frattura dell’Occidente. La nuova amministrazione Trump rappresenta una rottura epocale con l’ordine internazionale emerso dopo la Seconda Guerra Mondiale. Rinunciando al tradizionale ruolo di guida del "mondo libero", gli Stati Uniti stanno adottando una politica basata esclusivamente sulla logica di potenza e sugli interessi economici bilaterali. L’abbandono di trattati e accordi internazionali, così come il crescente disimpegno americano dagli affari europei, spingono l’UE in una crisi senza precedenti. Le recenti dichiarazioni di Trump e dei suoi alleati suggeriscono che Washington non consideri più la sicurezza europea una priorità strategica, aprendo così la strada a un futuro in cui ogni Stato dovrà difendersi da solo.

Terzo fronte: la destabilizzazione interna. L’ascesa di movimenti nazionalisti ed estremisti rappresenta una minaccia diretta all’integrazione europea. L’influenza crescente di leader populisti, sostenuti da una propaganda aggressiva sui social media, sta erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e la fiducia nelle istituzioni europee. A questo si aggiunge il ruolo di figure come Elon Musk, che con lo slogan "MAKE EUROPE GREAT AGAIN" promuove un’agenda anti-UE, mentre il vicepresidente americano J.D. Vance non nasconde il suo disprezzo per Bruxelles e per le sue politiche regolatorie. Il rischio è che l’Unione, già scossa da tensioni interne, venga progressivamente svuotata dall’interno, minando la sua stessa esistenza come progetto di integrazione politica.

Di fronte a questi pericoli senza precedenti, le risposte per fortuna ci sono e sono già state delineate nei mesi scorsi nei tre rapporti chiave commissionati dalla Commissione europea: il Rapporto Letta sul completamento del mercato interno, il Rapporto Draghi sulla competitività e il Rapporto Niinistö sulla sicurezza. Il messaggio che ne emerge è inequivocabile: l’Unione deve procedere verso una maggiore integrazione politica e prendere azioni concrete per finanziare e sviluppare un’industria europea della difesa, completare il mercato unico dei capitali, promuovere investimenti strategici per la transizione ecologica e digitale e intensificare il supporto militare all’Ucraina. Parallelamente, queste misure dovranno accompagnarsi a un’urgente riforma dell’Unione, che affronti due nodi cruciali: garantire un’autonomia fiscale all’UE e migliorare la capacità decisionale in politica estera e di difesa, superando il diritto di veto dei singoli Stati membri. Si noti che in questa direzione si è già mosso il Parlamento europeo con una proposta di riforma avanzata nel novembre 2023 ed ancora bloccata sul tavolo del Consiglio europeo.

Il vero ostacolo, dunque, non è l’assenza di soluzioni, ma la volontà di adottarle, poiché richiedono nuove condivisioni di sovranità. Invece di avanzare verso un sistema di sicurezza realmente integrato, l’attenzione rimane concentrata su risposte frammentate a livello nazionale, a partire dal riarmo dei singoli Stati. Si tratta, tuttavia, di strategie insufficienti.

Da un lato, il necessario rafforzamento delle forze armate nazionali rischia di tradursi in un incremento degli acquisti di armamenti e tecnologie proprio dagli Stati Uniti, che, paradossalmente, sembrano aver accettato la vittoria di Putin in Ucraina. Dall’altro, le cooperazioni militari su base volontaria, che non mettono in discussione la supremazia delle decisioni nazionali, si rivelano estremamente fragili e rischiano di crollare nel momento in cui in alcuni Paesi prevalgano forze anti-UE al governo.

Per non soccombere a questa svolta storica, l’Europa deve intraprendere una strada diversa: è indispensabile dotarsi di una leadership unitaria, in grado di rappresentare gli interessi collettivi e di assumere decisioni strategiche in modo coordinato ed efficace. Purtroppo, le istituzioni europee non dispongono al momento né delle competenze né delle risorse per sviluppare un progetto di tale portata in tempi rapidi. I governi nazionali, invece, hanno la sovranità necessaria per prendere l’iniziativa. Due sono le strade percorribili.

La prima consiste nello sfruttare le basi giuridiche già offerte dai Trattati – a partire dalla Cooperazione strutturata permanente – per creare nuovi organismi decisionali in grado di adottare decisioni a maggioranza su investimenti comuni nella difesa e sull’impiego delle forze militari. Questo permetterebbe di coinvolgere la Commissione e il Parlamento europeo, dando forma a un primo nucleo di governo sovranazionale all’interno dell’UE.

L’alternativa è creare una cooperazione al di fuori dei Trattati, ispirandosi a modelli come il MES, con l’obiettivo di sviluppare una governance comune della difesa. In un secondo momento, si potrebbero avviare i negoziati per integrare questa struttura nell’Unione attraverso le necessarie riforme istituzionali.

Se i governi europei e le forze democratiche vogliono affrontare seriamente l’emergenza rappresentata dalle minacce alla sicurezza, alla libertà e alla democrazia, non hanno altra scelta che avviare subito una collaborazione tra i Paesi disposti a condividere strategie e decisioni politiche. Di fronte alla crescente influenza delle grandi potenze autocratiche, l’unico modo per difendere la democrazia è costruire una forza politica capace di contrastarle. Il tempo è ormai agli sgoccioli. Come ha ricordato Mario Draghi all'Europarlamento, presto l'Europa si troverà da sola a difendere sé stessa. Se non verranno prese presto delle iniziative, da parte delle istituzioni europee e di un gruppo di Paesi chiave a partire dalla Francia e dalla Germania, l'Europa verrà completamente ignorata dalla gestione della crisi ucraina. Il crollo di Kiev allora rischia di essere solo la premessa di una totale destabilizzazione del continente europeo, le cui vittime finali saranno l'Unione europea e la democrazia.

 

 

  

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