Draghi il 18 febbraio ha ricordato che l'UE deve comportarsi come un unico Stato.

Trump sfascia le istituzioni USA, insulta i vecchi alleati e scende a patti con le autocrazie nazionaliste. Gli europei dell’est e dell’ovest devono guardare in faccia la realtà e scegliere fra l’indipendenza e l’umiliazione.

Qualsiasi nostra riflessione o documento in queste settimane non può non partire dall’amara constatazione che stiamo vivendo una trasformazione politica profonda e drammatica.  L’avvio del secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca sta riportando le lancette della storia ai tempi del confronto più brutale tra potenze: potenze imperiali animate da una volontà egemonica. Si è chiusa la lunga fase della politica internazionale che faceva riferimento al multilateralismo e ai principi dell’ordine liberale, di cui gli USA sono stati i leader dalla Seconda guerra mondiale in poi.

La strategia della nuova Amministrazione americana è molto chiara nella sua brutalità e nei suoi obiettivi. Le reiterate minacce di annettere nuovi territori non sono semplici provocazioni, ma l’espressione della volontà di espandere il controllo e allargare la propria sfera di influenza innanzitutto nel “cortile di casa”; così come le minacce commerciali sono funzionali al piegare non l’avversario, ma quello che fino a poco tempo prima era un Paese amico. Chi cerca di ridurre questi comportamenti a tecniche spregiudicate di negoziazione sbaglia profondamente; non bisogna minimizzare il fatto che il Paese più potente del mondo, che fino a pochi giorni fa – per quanto in una situazione asimmetrica di potere – era un alleato, oggi è diventato un padrone brutale, determinato ad usare la sua superiorità per dimostrare che non esiste nessuna reciprocità, ma solo l’interesse del più forte.

Anche l’aspetto ideologico dell’offensiva trumpiana non deve essere sottovalutato. Pure in questo caso, chi vuole ridimensionare la gravità dell’attacco alla democrazia che è in corso all’interno degli USA e all’esterno commette un grave errore. I riferimenti valoriali e culturali del movimento MAGA sono chiari, e lo sono anche le ragioni per cui vengono perseguiti e le linee guida cui si fa riferimento per metterli in atto. All’interno, tutto è funzionale al piegare la macchina federale: dallo smantellamento delle politiche di welfare e di integrazione, all’abbandono della partecipazione ai progetti internazionali di solidarietà, così come l’uscita dalle organizzazioni internazionali e dagli accordi multilaterali; lo stesso vale per i licenziamenti dei funzionari pubblici che non si allineano politicamente alla nuova amministrazione e per il clima di completo caos che si cerca di creare con lo smantellamento di agenzie e uffici cruciali, o con gli interventi anti-costituzionali continui.

Tutto questo si accompagna con la sostituzione di funzionari in posti chiave; addirittura, proprio in questi giorni di febbraio, c’è stato il licenziamento del Generale capo di stato maggiore e altri cinque generali a capo di Esercito, Marina e Aeronautica o dei loro settori legali. Trump non solo è riuscito ad impadronirsi dei principali contro-poteri democratici federali (Senato, Congresso, Corte Suprema) e non solo ha un potere enorme nel mondo della comunicazione, dai social ai giornali, ma vuole anche funzionari che siano al suo servizio. Duecento ex alti funzionari della CIA hanno cercato di avvisare il Congresso dei danni che questo modo di operare sta apportando al funzionamento dell’intelligence americana, e dei rischi che questo comporta per la sicurezza nazionale; ma in questo ciclone nessuno capisce più neppure quali direttive stanno procedendo, cosa viene fermato e per quanto tempo dalle corti o dai procedimenti aperti dagli Stati, cosa invece va avanti legalmente. Una situazione di caos e paralisi, che è difficile immaginare come possa proseguire e dove possa portare; ma che punta a smantellare il sistema democratico e le sue regole, per lasciare il campo alla formazione di un’oligarchia monopolista.

All’esterno l’obiettivo è quello di strutturare un’alleanza internazionale delle autocrazie populiste e nazionaliste, fondate sul conservatorismo ideologico estremo, nemici del liberalismo, della democrazia, dell’idea stessa di solidarietà, e anche in questo caso dominate da un’oligarchia monopolista. Un’internazionale in cui gli amici sono chiamati ad essere al servizio degli interessi americani. Questo obiettivo viene perseguito attivamente, e non stupiscono certo né la convergenza in tutto questo con Putin né, anche in questo ambito, la battaglia per distruggere l’UE, che non è solo un competitor in campo commerciale, ma nel mondo è percepita come un baluardo di democrazia e un riferimento per chi crede nei valori universali e nella libertà, oltre che nella politica che cerca di perseguire obiettivi di progresso civile, morale e sociale. Il MEGA sbandierato da Musk è molto funzionale al MAGA, come è chiaro per chiunque non cerchi di negare la realtà.

Per l’Europa la situazione è pericolosissima, proprio a causa delle sue dipendenze in più ambiti dagli USA. La sua debolezza politica, che è frutto della sua mai superata divisione in Stati nazionali piccoli e deboli, ma tutti caparbiamente “sovrani”, l’ha già portata a perdere pericolosamente terreno sul piano della competitività (come ben spiega il Rapporto Draghi), e la rende fragile e vulnerabile. Soprattutto, come emerge drammaticamente in questi giorni, gli europei sono sostanzialmente impotenti sul piano della sicurezza; e quello che Trump sta facendo con la Russia e l’Ucraina li mette con le spalle al muro.

L’Europa – si dice sempre citando Monnet – cresce nelle crisi; ma questa volta la crisi è davvero mortale, il pericolo di essere distrutti è molto forte, e l’Europa per salvarsi non potrà prescindere da un cambiamento radicale. Siamo solo all’inizio, anche se non possiamo sottovalutare l’ipotesi che la fine arrivi più velocemente del previsto, magari con i carri armati russi sul territorio UE; ma pur essendo solo ai primi passi e pur con le incognite imperscrutabili davanti a noi, possiamo fissare alcuni punti da cui partire.

Il primo è che non possiamo fare nessun affidamento sul supporto americano nella NATO. Se confidiamo nel fatto che gli USA ci proteggeranno o ci difenderanno, o comunque ci aiuteranno, rischiamo di avere delle pessime sorprese. Questo vale soprattutto per i Paesi che sono maggiormente minacciati dalla Russia. L’incapacità militare europea li spaventa, e li spinge a cercare di conservare il sostegno statunitense, anche se sanno che non sarà pieno; ma in questo modo rischiano di ritrovarsi come l’Ucraina, abbandonati e svenduti, insultati e sbeffeggiati nonostante l’eroismo dimostrato difendendo il proprio Stato e la libertà - o proprio a causa di questo.

I punti successivi derivano da questa presa d’atto. Innanzitutto, è chiaro che il segnale di reazione gli europei lo potranno dare davvero solo a partire dalla dimostrazione di: i) non abbandonare l’Ucraina – e quindi capire come difenderla militarmente e politicamente, come sostenere la sua democrazia, come integrarla velocemente in Europa (perché non pensare di realizzare l’adesione immediata e valutare come poterlo fare?); ii) avere la volontà di costruire un proprio sistema di sicurezza autonomo – cosa che implica la necessità di affrontare anche la questione dell’integrazione politica necessaria sia per risolvere il problema degli ingenti finanziamenti necessari, sia del controllo politico democratico insieme alla capacità decisionale unitaria, sia dell’elaborazione e attuazione di una strategia coerente sul piano industriale, tecnologico e di tutti gli aspetti militari; iii) avere la volontà di andare avanti con chi ci sta – perché è evidente che alcuni Stati cercheranno di opporsi o di frenare - e quindi bisognerà “piegare” i Trattati o addirittura agire al di fuori del quadro dell’Unione - e perché serve la consapevolezza che in fondo al percorso (che di fatto significa: molto rapidamente) bisogna arrivare a creare un nucleo federale e ristrutturare istituzionalmente l’Unione europea.

Draghi nel suo intervento al Parlamento europeo il 18 febbraio ha riassunto tutto questo: ha sferzato la politica, in primo luogo gli Stati membri (“ci troveremo soli a dover garantire la sicurezza nostra e dell’Ucraina e dovremo saper agire sempre più come un unico Stato”; “non continuate a dire sempre no, fate il primo passo che volete, ma fatelo”), e ha ricordato che la direzione è chiara e le cose da fare pure, e che portano ad una nuova Unione europea “che deve farsi Stato”.

L’Unione europea come la conosciamo in questo momento non potrà più esistere: o diventerà rapidamente una Federazione, o resterà solo la parvenza dell’ambizioso tentativo di indicare una nuova strada all’umanità, oppure neanche quello. Inizia una fase in cui la priorità è fermare la guerra con la forza della deterrenza militare, civile e politica; e questo non si fa con un grande Mercato come siamo ora, ma solo con un grande Stato federale democratico.

Per l’Italia del Governo Meloni sarà un momento di verità: o con Trump o con l’Europa. La Germania ha votato, e si prepara a tornare protagonista in Europa con la Francia, per reagire a Trump. Le scelte si faranno a breve. Non sembra ben orientata per ora la Presidente del Consiglio. Il Parlamento e la società italiani dovranno prepararsi a rivendicare con durezza un’Italia europea.

 

  

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