Negli ultimi anni le istituzioni europee si sono fatte largo nel dibattito pubblico. Come è successo? È una conquista definitiva?

Le grandi novità nella storia di un’organizzazione o di un processo non sono sempre annunciate con la fanfara, le majorettes e i ballerini. Anzi, spesso non è così.

Mi sono accorto di qualcosa di interessante parlando del processo di integrazione europea con gli studenti. Ho posto la stessa domanda a ragazze e ragazzi di classi quinte di istituti superiori della città di Vicenza: il primo gruppo nel 2018, il secondo nel 2021. In queste classi ho mostrato una foto del Presidente della Commissione Europea. Come noto, nel 2018 era Jean-Claude Juncker, mentre nel 2021 era Ursula von der Leyen. Ho fatto la stessa domanda a entrambe le classi: "Chi è questa persona?". Nel 2018, nessuno sapeva chi fosse Juncker. Ma nel 2021, l’80% degli studenti riconosceva von der Leyen.

Nel processo di integrazione europea negli ultimi anni stanno avvenendo due fenomeni molto significativi ma che sono stati poco considerati e analizzati: l’esistenza di un’opinione pubblica europea e il rafforzamento della Commissione. Questi due fenomeni porteranno a un’effettiva maggiore integrazione? Non lo sappiamo. Saranno un fenomeno che passa e poi svanisce? Non lo sappiamo. Intanto, però, è doveroso comprenderli, tenerne conto nelle analisi e comprendere se stiano avendo impatti e riverberi grandi o piccoli in altri ambiti sociali, comunitari, culturali e politici.

Iniziamo dall’opinione pubblica europea. Un’opinione pubblica europea esiste da sempre, anche da prima della nascita dell’Unione. È esistita in forma di confronto intellettuale, religioso, diplomatico. È esistita in forma di opinioni dei cittadini su quanto accadeva negli altri Paesi. Ma un’opinione pubblica sui fatti dell’Unione Europea è un fenomeno in progressivo ampliamento solo negli ultimi anni. Deriva da una scelta precisa e specifica di quello che viene definito il “quarto potere”, ossia dei mass media, che hanno deciso di accendere un faro su quel che accade a Bruxelles. Chi si occupa di notizie tende a cercare di capire dove sono le leve del potere e per questa ragione, in conseguenza del ruolo giocato dalle istituzioni europee nel contesto della crisi del COVID-19 e dell’invasione russa dell’Ucraina, è aumentata l’attenzione per quanto accade a Bruxelles. Proprio per questo troviamo articoli di giornale, telegiornali, podcast e ogni altro tipo di informazione che si concentra su quanto viene deciso nelle istituzioni europee. Implicitamente, questo tipo di informazione legata alle scelte fornisce un’informazione di base sul funzionamento delle istituzioni, sui loro limiti (che sono intuibili a chiunque ne capisca il funzionamento) e sulle posizioni politiche dei diversi attori in campo. In questo modo la dialettica si sposta da “Europa sì o Europa no” a “quale Europa vogliamo”, sia in termini di politiche (ambientali, economiche, di difesa…) sia in termini di regole del gioco (ruolo degli Stati, metodi decisionali…). Tale spostamento di dialettica obbliga anche al riposizionamento degli attori politici.

E veniamo al rafforzamento dell’esecutivo, o della Commissione. O, almeno, della sua Presidente. La Commissione europea, secondo la maggior parte degli studiosi di sistemi istituzionali dell’Unione, è un esecutivo con molti limiti: il fatto che i membri sono nominati dai capi di Governo e non scelti dal Presidente della Commissione; un ruolo anche di carattere giudiziario nel rapporto con i governi; ovviamente la mancanza di un bilancio sufficiente alle policies che ogni volta intende promuovere. Ma la nuova Commissione pare volonterosa di agire un proprio percorso più autonomo e più netto rispetto alla volontà degli Stati membri. Le scelte di Ursula von der Leyen per la nuova compagine sono state molto più autonome di quanto accaduto cinque anni fa, addirittura con la capacità di far cambiare al secondo Paese dell’Unione, la Francia, il commissario indicato. Ursula von der Leyen ha chiarissimi i limiti del proprio mandato e del proprio potere. Eppure prova ad esercitare una leadership decisamente diversa da quella esercitata tra il 2019 e il 2024. Dalla sua ha il vantaggio che, rispetto ai precedenti Presidenti della Commissione, gli europei la conoscono. L’hanno vista in tv centinaia di ore di più di Barroso o Juncker. E questa è probabilmente la ragione per cui i ragazzi delle quinte superiori di oggi sanno chi è.

L’Unione sta diventando davvero l’unico terreno di gioco del potere politico lasciando agli Stati membri un ruolo secondario? No. Gli Stati giocano ancora pesantemente il loro ruolo. Intanto, però, ci sono più decisioni che devono essere prese a Bruxelles per la dimensione dei fenomeni che investono e quindi ci sono più informazioni per l’opinione pubblica e più potere all’esecutivo. Ovviamente senza una riforma dei Trattati rischiano di essere conquiste vane. Ma intanto sono fatti nuovi, rilevanti per un’Europa che si faccia per tutti comunità, unione e luogo di confronto e scontro politico.

 

  

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