Con eccessiva fiducia sulla mia capacità di riflettere mi è stato chiesto quale sarebbe oggi il giudizio di Robert Schuman sull’Europa, la creatura nei confronti della quale ha speso i migliori anni della sua vita politica.
Per rispondere con la dovuta chiarezza e con una tollerabile semplicità a questa domanda sento la necessità di richiamare brevemente i due obiettivi che Schuman si proponeva quando pensava all’Europa.
Il primo era la pace: immediata totale e duratura. Una pace resa difficile dalla storia e dai sentimenti di reciproca ostilità che essa aveva impresso nei cittadini dei diversi paesi. Cittadini che erano perciò fatalmente spinti a pensare che rinunciare alla storia e fare la pace fra antichi nemici fosse come tradire le guerre di indipendenza sulle quali si era fondata l’unità della loro nazione.
Schuman era inoltre convinto che questo nuovo cammino verso la pace in Europa poteva essere costruito solo attraverso un rapporto stretto e obbligante fra i due grandi litiganti d’Europa, cioè fra la Francia e la Germania. Nessuno meglio di lui sentiva l’importanza ma anche la difficoltà del raggiungimento di quest’obiettivo. Nato in Lussemburgo, cittadino prima tedesco e poi francese, nutrito della cultura di entrambi i paesi, egli capiva meglio di ogni altro l’importanza e la difficoltà della sfida. Se ragioniamo col metro di oggi quest’obiettivo è stato raggiunto in pieno e non è a rischio nemmeno nel prevedibile futuro. Arrivo fino a dire che non lo è nemmeno in caso di una pur ipotizzabile crescita di forze antieuropee in uno o entrambi i paesi. Vi sono stati infatti nella storia dell’Unione molti casi nei quali le politiche dei due paesi hanno accumulato forti contrasti, ma essi sono sempre stati affrontati con la ferma convinzione che si trattava di conflitti parziali e provvisori e che perciò, in quanto tali, sarebbero stati superati. In effetti così è stato.
La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, primo passo della nuova convergenza, ha centrato in pieno quest’obiettivo anche se poi, con l’evolversi degli eventi, si è dovuta sobbarcare il peso di chiudere e non di aprire le miniere e ha dovuto portare avanti il compito, non certo previsto quando la Ceca fu costituita, di procedere al licenziamento di decine e decine di migliaia di addetti delle imprese siderurgiche.
Il secondo obiettivo di Schuman era quello di costruire una realtà politica che, attraverso una progressiva costruzione di nuove istituzioni, legasse fra di loro non solo la Francia e la Germania ma tutti i paesi europei, anche se, nei tempi della guerra fredda, nessuno poteva immaginare di coinvolgere in questo processo anche i paesi al di là della cortina di ferro.
In questa visione di un’Europa necessariamente unitaria di Schuman un’importante eccezione era riservata alla Gran Bretagna, il cui spirito profondo era ritenuto troppo diverso da quello che avrebbe dovuto legare fra di loro i paesi europei. Non dico che se Schuman fosse vivo direbbe nei confronti della Brexit “ve l’avevo detto” ma certo, rileggendo i suoi scritti, mi ha sempre sorpreso come egli fosse senza riserve sulla positività e la necessità di un accordo fra Francia e Germania e come invece nutrisse profondi dubbi sull’ipotesi di un legame con la Gran Bretagna, che pure aveva avuto un ruolo fondamentale nella vittoria della Francia, paese di cui era ministro degli Esteri.
Arrivando ora al giudizio che Schuman darebbe al raggiungimento del secondo obiettivo (cioè la creazione di una sostanziale unità europea) credo che egli sarebbe in fondo abbastanza contento del fatto che l’Unione ha progredito passo per passo, costruendo rapporti sempre più stretti fra i diversi paesi nei settori che concretamente potevano sfociare in positivi legami di cooperazione. Legami non effimeri ma fondati su istituzioni che, da un lato hanno progressivamente allargato le proprie competenze e, dall’altro, ne hanno anche esteso la base democratica, con l’elezione del Parlamento e con il successivo, anche se non completo, allargamento delle sue competenze.
Il lancio della Ceca come primo passo verso l’Unione è stato in fondo fecondo di conseguenze positive, ma con lentezze e soste che certamente raccoglierebbero un giudizio non entusiastico da parte sua. Riceverebbe invece il suo plauso l’immenso aumento dei rapporti fra i diversi paesi europei, con il progressivo abbattimento delle frontiere, viste da Schuman come un vero e proprio simbolo dell’irrazionalità umana. Nei sui appunti egli insiste infatti sulla necessità che i confini si trasformino in occasioni di cooperazione non solo materiale ma anche culturale.
L’Europa avrebbe dovuto, secondo le proposte di Schuman, fondarsi su una volontà politica condivisa, posta al servizio dell’unica comunità umana.
Si può certamente concludere che in questi pensieri fosse contenuta una forte percentuale di utopia. Questo è vero: non sono poche infatti le pagine dei suoi scritti che contengono un profondo desiderio di universalismo e siamo ben consapevoli che il giudizio di ogni “universalista” nei confronti degli avvenimenti storici non può che contenere riserve e interrogativi.
Molto probabilmente Schuman porterebbe quindi avanti fondati dubbi sulla messa in atto di due concetti che stavano alla base del suo pensiero: la solidarietà e la necessità di progredire nel cammino della sovranazionalità, anche se rispettosa delle tradizioni e delle eredità nazionali.
Nella storia dell’Unione Europea la solidarietà ha infatti avuto molti alti e bassi, soprattutto quando si è trovata di fronte ad eventi, come le migrazioni, che incidevano profondamente sulle sicurezze e sulle paure dei cittadini dei diversi paesi.
A queste sono legati gli altrettanti numerosi gli alti e bassi attraverso i quali il concetto di sovranazionalità è passato, con una particolare tendenza verso il basso nel periodo della storia europea che segue la bocciatura del progetto di Costituzione da parte del popolo francese, il cui universalismo era pure tanto caro a Schuman.
D’altra parte le cose non possono andare in modo diverso finché la politica nazionale ha assoluto predominio rispetto a quella europea, che viene quindi ad essa subordinata e condizionata.
Gli ultimi tristi eventi della pandemia che stiamo sperimentando, insieme al dolore per quanto sta avvenendo, offrirebbero tuttavia a Schuman la possibilità di credere che anche il suo secondo obiettivo possa avere maggiori possibilità di essere perseguito nel prossimo futuro. Ci troviamo infatti di fronte a un evento non imputabile a nessuno, riguardo al quale i confini nazionali (anche se si è tentato di tenerne conto) non possono esistere. Un evento nel quale la necessità di solidarietà e di cooperazione sovranazionale è più evidente che in qualsiasi altro caso.
Di tutto questo i popoli europei, e di riflesso i loro governanti, sembrano tenere conto, portando avanti progetti di cooperazione solidale che, fino a pochi mesi fa, sembravano del tutto improponibili. Penso perciò che il giudizio di Robert Schuman sulla possibilità che l’Europa possa riprendere con più vigore il suo cammino verso l’unità tenderebbe oggi ad essere più ottimista.